Perché uno come Milei riesce a salire alla Casa Rosada. Intervista ad Alfredo Herman, esule argentino dal 1976
(Don’t) cry for me, Argentina…
Lunedì ci siamo svegliati con una brutta notizia, una notizia che ci sconvolge: in Argentina il candidato dell’estrema destra, Javier Milei, vince le elezioni, battendo al ballottaggio con oltre 11 punti di vantaggio, raggiungendo così il 56% dei voti, il ministro dell’Economia della Produzione e dell’Agricoltura uscente, leader del Fronte rinnovatore.
Ne abbiamo voluto parlare con Alfredo Herman, 88 anni compiuti lo scorso 30 settembre, rifugiato politico argentino in Italia, perché oppositore alla dittatura di Videla, che vive ora a Viareggio.
Prima di dirci la tua opinione sull’esito elettorale di oggi, raccontaci brevemente la tua vicenda? Come e perché sei arrivato in Italia?
Nell’ottobre 1976, io, mia moglie e i miei due figli abbiamo dovuto prendere il cammino dell’esilio. Non avevamo altra scelta: in quel momento avevo sulla mia testa un mandato di cattura. Se fossi rimasto in Argentina e fossi stato preso, sarei diventato un deparecido, sparito nel nulla, gettato giù dall’aereo come è successo a 30.000 compagni compatrioti. Siamo in Italia quell’ottobre, arrivati con una nave che faceva servizio regolare a quel tempo fra l’Italia e l’Argentina. Eravamo in 400 fra ragazzi e ragazze argentini a bordo, tutti esiliati, che erano riusciti in modo rocambolesco a imbarcarsi su quella nave e scappare dalla dittatura. Infatti il 24 marzo 1976 un colpo di stato militare dalle forze armate argentine con il supporto esterno degli USA aveva destituito la presidente Isabel Martínez de Perón e istituito la dittatura di Jorge Rafael Videla, la più crudele e inumana che l’Argentina abbia mai conosciuto. Quando noi abbiamo preso la via dell’esilio, l’Argentina viveva nel terrore: tutti quelli che in qualche modo avevano partecipato alla vita politica del partito Popular, di sinistra, correvamo il rischio che di notte un gruppo paramilitare facesse irruzione in casa a prendesse te e la tua famiglia. Poi sapevi cosa ti sarebbe capitato: finivi un campo di concentramento – solo a Buenos Aires ce ne erano sette, e un’altra trentina in tutto il paese – e lì venivi fucilato o caricato su un volo della morte e precipitato nell’Oceano o nel Rio de la Plata. Tutte le notti vivevamo nel terrore ogni volta che una macchina parcheggiava davanti a casa.
Veniamo a tempi più recenti: come è la situazione in Argentina?
Il mio paese ha subito, in quest’ultimo tempo, molte variazioni. Con i governi di stampo peronista, fra il 2003 e il 2015, di Nestor Kirchner e poi di Fernández de Kirchner per due mandati, l’Argentina ha vissuto un momento di tranquillità e di benessere. La ricchezza pro capite era cresciuta: la gente poteva comprarsi una macchina, un cellulare, una tv, andare in vacanza. Tutte cose che erano impossibili prima. Se vi ricordate, nel 2001 l’Argentina aveva vissuto una terribile crisi economica, tanto che eravamo tornati anche al baratto. Il problema principale era la fame. Dal 2003 la situazione ha iniziato a migliorare e il paese è riuscito a ripagare il debito che aveva con il Fondo Monetario Internazionale. Sembrava che le cose stessero andando bene. Poi abbiamo perso le elezioni nel 2015 e il governo del Presidente Mauricio Macri ha iniziato a far aumentare il debito con l’estero, una vera pietra al collo per il popolo argentino. Solo l’anno scorso l’Argentina ha pagato 3mila milioni di dollari di interessi al Fondo Monetario Internazionale. Dopo Macri è venuto un governo peronista, quello di Alberto Fernández. Purtroppo questo governo non è riuscito a rispondere alle speranze e ai bisogni della gente che lo aveva votato con tanto entusiasmo e con tanta allegria, per vari motivi: innanzi tutto il covid, poi la siccità devastante, che ha danneggiato la raccolta del mais della soia, e inoltre le richieste del Fondo Monetario Internazionale. Come prodotto di questa cattiva amministrazione e di questi problemi, l’inflazione è schizzata al 120-130% e adesso il 40% della popolazione argentina vive al di sotto della soglia della povertà. Tutto questo ha favorito enormemente l’ascesa di Milei, che fino a due anni fa era uno sconosciuto.
Come ha fatto breccia Milei?
Melei ha iniziato a comparire spessissimo alla televisione dicendo: “dobbiamo cambiare!” e ad inveire contro “la casta” che secondo lui erano tutti i politici, tutti i sindacalisti. “La casta va tagliata con la motosega!”, diceva. Con queste trovate pubblicitarie è riuscito a convincere il 55% degli argentini stufi di questa situazione. Ma sono solo trovate elettorali: non è vero che lui ha mandato tutti i vecchi politici a casa. In realtà si è servito di tutti i vecchi politici di destra, soprattutto di Macri, che ha dato il suo appoggio esplicito a questa candidatura. I politici in lizza per queste elezioni erano in tre: il peronista Sergio Massa (sostenuto da radicali, socialisti, comunisti), la seguace di Macri e sua Ministra alla sicurezza, Patricia Bullrich, e Javier Melei. Al primo turno risultava in vantaggio Massa ma, quando siamo andati al ballottaggio, i voti per la Bullrich sono confluiti su Melei, entrambi di destra, ma non di centro-destra, proprio di destra-destra! E così si giunge al drammatico risultato attuale.
Qual è la proposta politica di Milei per il suo governo?
Ecco il piano di Milei: privatizzare tutto, il petrolio, le pensioni, la compagnia aerea di bandiera, insomma tutte le attività che ora sono in mano dello stato. Pensa ad una istruzione a pagamento, che significa che chi non può pagare non studia, una sanità a pagamento, cioè chi non può pagare non si cura e non guarisce. Pensa che tutto il piano sociale che fino ad adesso dava un aiuto a mitigare gli effetti della crisi e dell’inflazione debba finire.
A cosa porterà questa linea politica?
Alla dittatura, alla soppressione dei diritti, delle proteste. Videla non è più visto come un dittatore ma come un eroe. Milei vuole finire il lavoro iniziato da Videla, smantellare tutto lo stato sociale e previdenziale, sopprimere le opposizioni, i sindacati, fare di nuovo dell’esercito uno strumento di repressione. Milei è chiaramente intenzionato a fare questo.
Come si può contenere questo scivolamento verso la dittatura?
L’unico strumento di contenimento è il Parlamento, dove ancora i peronisti hanno la maggioranza, sia al Senato che alla Camera dei Deputati. Il Parlamento deve essere un baluardo per mantenere in piedi la democrazia contro la dittatura. Spero anche che la gente, che si vedrà privata dei suoi diritti, scenda per strada a protestare. Conto anche sul fatto che un settore dell’esercito voglia fare il suo lavoro per difendere il proprio paese e non per attaccare il proprio popolo.
E l’opposizione politica cosa dovrebbe fare?
È l’ora che il peronismo si rifondi, che butti giù un programma giusto, che la sinistra scelga rappresentanti politici che siano in grado di captare i bisogni del paese, di chi vive in miseria e soprattutto dei giovani, che in queste elezioni hanno votato per i fascisti.
Milei secondo te è un caso isolato?
Milei non è altro che una espressione del fascismo che sta soffocando di nuovo il pianeta, da Trump a Bolsonaro, dalla Le Pen alla Meloni, senza parlare del partito neonazista in Germania che ha raggiunto quasi il 15% dei voti. Questa tendenza in tutto il pianeta fa paura, fa risuonare in noi un campanello di allarme.
Cosa prevedi per il futuro?
Ho vissuto 88 anni, ho visto tante crisi, ho vissuto l’esilio, ho visto amici morti e sepolti. Ma voglio continuare a credere, a pensare che le cose possano migliorare, anche in Argentina. È un momento duro, ma passerà. Alla mia età voglio ancora sperare in un futuro di pace e di benessere sociale. Dobbiamo vincere i due tradizionali nemici del popolo: l’imperialismo e l’oligarchia. Lo potremo fare dando giustizia al popolo. Come diceva il Comandante: “hasta la victoria, siempre”!