Sonoma, la macchina surreale di Marcos Morao, in scena al Teatro della Tosse di Genova
“Beati i ciechi, che non potranno vedersi invecchiare; beati i corpi che si sfiorano per l’ultima volta senza sapere che sarà l’ultima; beato chi muore in solitudine; beato chi nasce in solitudine; beate Sarajevo e Aleppo, Nagasaki e Hiroshima…”
Scorre una litania laica sui sottotitoli tradotti dal francese a commento di quanto avviene sul palco, dove 9 danzatrici in costumi popolari tradizionali accudiscono un crocefisso disertato da un Cristo che non è già più Carne per tornare a essere Verbo. Parola di benedizione che si distribuisce, come pioggia, su ogni cosa, su ogni creatura: pura e impura, degna e indegna, preda e predatore, vittima e carnefice. In un’equanimità siderale che a noi mortali non può essere concessa. Sala piena e standing ovation per i tempi supplementari della rassegna Resistere e Creare al Teatro di S. Agostino di Genova. Che mette in scena Sonoma, spettacolo pluripremiato di parole e coreografia potentissime, realizzato con la sua compagnia di danza La Veronal dal regista e coreografo valenciano Marcel Morau, – artista eclettico che si ispira al surrealismo onirico del regista Luis Buñuel – su una linea di continuità con il precedente Le Surréalisme au service de la révolution.
Lavoro nato nell’estate 2020, subito dopo la prima ondata pandemica e che di quella stagione tragica conserva tutto il sapore da tempi ultimi, Sonoma – dal greco soma (corpo) e dal latino sonum (suono) fonde senza soluzione di continuità tecniche, stili e suggestioni di un viaggio in un universo visionario, Affidandolo a un corpo di ballo tutto al femminile che del Femminile, in una scelta di costumi tutti declinati nelle tonalità del bianco, del nero e del grigio, riesce a raccogliere tutte le epifanie. E sono bambine, fanciulle, anziane, educande e prostitute, madri, gesti osceni e pudica compostezza, sorgente di vita, acqua che scorre e lambisce, foce di un delta che, alla fine del transito, restituisce ogni goccia al suo mare. Icone e topoi che richiamano, anche nella scelta della colonna sonora, un mondo arcaico di religione, tradizioni popolari, misticismo, ritualità e motivi folklorici di un’Europa ancestrale che seppe raccogliere, al principio della sua avventura, tutte queste apparenze disperse in un logos intessuto del filo del pensiero interrogante.
Perché anche la creazione e l’ordine sono atti di forza e di violazione, altrettanto come la distruzione e il caos cui pongono fine. E l’Inizio di Tutto non chiese permesso a nessuno. Non avrebbe, semplicemente, potuto farlo.
Appuntamento conclusivo della rassegna Resistere e Creare il 21 dicembre con la prima nazionale di PLEASE COME di Chiara Ameglio, produzione Fattoria Vittadini.
foto di copertina ©Anna_Fabrega