In scena a Genova: Come gli uccelli di Wajdi Mouawad e La Ferocia, di Nicola Lagioia
L’amore ci salverà. E con noi il mondo intero dalla fine che gli incombe addosso. Oppure no. Ma è in ogni caso bello pensarlo. E se artisti e autori di ogni tempo continuano a farlo in ogni formulazione possibile qualcosa di vero ci deve essere, come quelle dicerie che contengono sempre un fondo di verità. Come una profezia che, prima o poi, magari si avvererà.
Rientra in questa categoria di utopia artistica anche Come gli uccelli del franco-libanese Wajdi Mouawad, tradotto in italiano da Monica Capuani per la regia di Marco Lorenzi, approdato al teatro Modena di Sampierdarena in una coproduzione di Teatro Nazionale di Genova e A.M.A. Factory, ERT–Emilia Romagna Teatro Fondazione, Elsinor Centro di Produzione Teatrale.
Giovani e innamorati Eitan e Wahida, si conoscono nella biblioteca dell’Università di New York, Di origine ebraica lui, palestinese lei. A dispetto delle loro provenienze, il loro amore fiorisce e cerca di resistere alle diffidenze della famiglia di lui con cui i due ragazzi devono inevitabilmente fare i conti. Ma nel loro destino, qualcosa va storto sull’Allenby Bridge il ponte che collega, ma allo stesso tempo divide, Israele e Giordania. Eitan rimane vittima di un attentato terroristico e cade in coma in un’ esplosione che diventa anche detonazione di un dramma familiare che si fonda su un segreto custodito da tre generazioni. E al cui brutale svelamento il diretto interessato non riuscirà a sopravvivere quando scoprirà di essere lui stesso il suo stesso nemico. Un corto circuito fatale nell’economia di odio che alimentava la sua stessa identità e sul quale aveva costruito la sua vita. Che era fondata sulla memoria di un dolore che scopre non appartenergli più per diritto di nascita. Di più: non gli era mai appartenuta.
In una delle più potenti scene dello spettacolo il pianto e la disperazione di Wahida per il suo amore sospeso tra la vita e la morte vengono sovrastati e soffocati, al suo capezzale, dal rombo dei jet israeliani che decollano per portare la morte della rappresaglia in Palestina. Testo tragicamente contemporaneo e insieme inattuale in questi giorni, politicamente attualissimo e già obsoleto nel suo sforzo di equidistanza, nella sua scommessa artistica di tenere insieme le ragioni e le s/ragioni dell’uno e dell’altro popolo. Ma il tutto ormai irrimediabilmente affogato nel sangue della dismisura inaudita di una vendetta che ha superato ogni limite e il cui contatore di vittime è in aggiornamento ogni minuto. E che ha fatto di Gaza una fossa comune vista mare per oltre 25 mila civili palestinesi.
Ancora un atto di violenza è quello che fa deflagrare un altro dramma familiare, diverso per dimensioni e latitudine geografica in La Ferocia, omonimo testo di Nicola Lagioia vincitore del premio Strega 2015, portato in scena sempre dal TNG in una coproduzione con la giovane e pluripremiata compagnia VicoQuartoMazzini, fondata da Michele Altamura e Gabriele Paolocà. In una calda notte di primavera, una giovane donna cammina nel centro di una strada provinciale. È nuda e ricoperta di sangue. Quando, poche ore dopo, verrà ritrovata morta, si scopre essere la prima figlia della più influente famiglia di costruttori locali. Per tutti è un suicidio.
Ma le cose sono davvero andate così? In un incedere da thriller la sua storia si sviluppa in una tonalità che non è tanto quella di un’esplosione, quanto di un collasso, del ricco universo borghese di una famiglia di imprenditori del Sud. Dando così vita a un mosaico in cui l’amore fisico – l’unico dato sperimentare a esseri incarnati come gli umani – diviene cifra di prevaricazione assoluta. E le cui tessere e personaggi svelano la pulsione metafisica a una violenza che si riconosce come feroce legge universale della natura: «Una coccinella – scrive Lagioia – arriva a divorare anche cento afidi al giorno, e lo fa con una voracità, con un freddo e convulsivo movimento mascellare che in scala grande risulterebbe insostenibile per la sensibilità degli uomini».