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Depistaggi Cucchi, processo per altri tre carabinieri

Secondo i pm dissero il falso durante il processo sui depistaggi. Rinviati a giudizio un ufficiale e due marescialli dell’Arma

Affermazioni false fatte sia nel corso del processo ma anche quando vennero sentiti durante le indagini. Per questo un ufficiale e due marescialli dei carabinieri sono stati rinviati a giudizio dal gup di Roma in uno dei filoni di inchiesta legati alla vicenda di Stefano Cucchi, il geometra romano morto nell’ottobre del 2009 ad una settimana dal suo arresto. Secondo varie inchieste, i depistaggi seguiti alla morte del giovane detenuto sono evidentemente una trama complessa di comportamenti che hanno coinvolto trasversalmente diversi settori dell’Arma dei carabinieri a partire dal maresciallo che comandava gli autori materiali delle torture che hanno innescato il calvario del trentunenne dopo l’arresto.

Le accuse della Procura, in questo caso, riguardano Maurizio Bertolino, all’epoca dei fatti maresciallo presso la stazione di Tor Sapienza, Fortunato Prospero, all’epoca capitano e comandante della sezione infortunistica e polizia giudiziaria presso il nucleo Radio Mobile di Roma e il collega di quest’ultimo Giuseppe Perri, all’epoca dei fatti maresciallo. Nei loro confronti i pm contestano, a seconda delle posizioni, i reati di depistaggio (per quanto affermato durante le indagini) e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Per loro, accusati anche di avere sviato le verifiche su quanto accaduto 15 anni fa, il processo è stato fissato per il prossimo 25 settembre davanti ai giudici della ottava sezione collegiale. Nel procedimento il ministero della Difesa compare come responsabile civile.

Intanto è  stato fissato per il 25 giugno il processo di appello del filone principale sui depistaggi. Nell’aprile del 2022, il giudice monocratico ha emesso otto condanne. Tra i militari dell’Arma coinvolti anche il generale Alessandro Casarsa, a cui furono inflitti 5 anni di carcere, e il colonnello Lorenzo Sabatino, condannato ad 1 anno e tre mesi. In quel procedimento il pm Giovanni Musarò contestava, a seconda delle posizioni, i reati di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Nelle motivazioni di quella sentenza il giudice ha scritto che “l’attività istruttoria dibattimentale ha permesso di ricostruire i fatti contestati e di accertare un’attività di sviamento posta in essere nell’immediatezza della morte di Cucchi, volta ad allontanare i sospetti che ricadevano sui carabinieri per evitare le possibili ricadute sul vertice di comando del territorio capitolino”.

E ancora: “la versione ufficiale dell’Arma era stata ‘confezionata’ escludendo ogni possibile coinvolgimento dei militari così che l’immagine e la carriera dei vertici non fosse minata. Allontanando i sospetti dai carabinieri non poteva di certo mettersi in discussione l’azione di comando da parte del vertice del Comando Gruppo Carabinieri Roma la cui figura rischiava di essere quanto meno indebolita dalla vicenda”, ha aggiunto il giudice. Sulle note di servizio modificate, il tribunale sostiene che “tutti gli imputati avevano la consapevolezza che attraverso le condotte da ciascuno poste in essere, si giungeva alla modifica e all’alterazione del contenuto delle annotazioni, consentendo così di rappresentare un Cucchi che stava male di suo, perché molto magro, tossicodipendente, epilettico”.

Parlando di Casarsa, il più  alto in grado tra gli imputati, il giudice afferma che la condanna si giustifica con “il disvalore del fatto delittuoso e la lesione al bene della fede pubblica, ai riflessi che ha avuto nella reale ricostruzione della vicenda, il danno arrecato all’Arma dei carabinieri, alla personalità  dell’imputato che, a dispetto del giuramento prestato e della sua qualità di ufficiale dei carabinieri, con il ruolo di Comandante del Gruppo Carabinieri Roma, ha concepito e determinato le condotte di falso, dell’intensità del dolo che emerge da quanto accertato”.

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