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Cento anni dall’Aventino

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Il 27 giugno 1924 iniziava la protesta delle opposizioni parlamentari al governo fascista dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti

27 giugno 1924, esattamente 100 anni fa in questo giorno aveva inizio la “Secessione dell’Aventino”, modo in cui, con allusione alla storia romana, è chiamata la protesta delle opposizioni parlamentari al governo fascista che dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti proclamarono l’impossibilità di riprendere i lavori della Camera del Parlamento finché un nuovo governo non avesse ristabilito le libertà democratiche. Solo i deputati comunisti decisero di ritornare nell’aula nel mese di novembre, dopo che gli altri partiti avevano respinto il loro programma di dare vita a un anti-parlamento. Tutti i deputati aventiniani vennero destituiti dall’incarico.

E il 27 giugno 2024, per commemorare l’Aventino, alla Camera dei deputati, proprio nella Sala Matteotti, si è tenuto il convegno dal titolo 27 giugno 1924: Matteotti e l’Aventino.

Ha introdotto e moderato l’evento Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri: «in occasione del centenario, solo negli ultimi sei mesi sono stati pubblicati 53 libri su Matteotti, stima fatta al ribasso. Due ottimi libri su questo argomento sono presentati qui oggi. Eppure i suoi discorsi parlamentari sono stati pubblicati solo quasi 50 anni dopo, per volere dell’allora Presidente della Camera dei deputati, On. Sandro Pertini (che proprio nel 1924, dopo l’assassinio di Matteotti, aveva deciso di iscriversi al Partito Socialista Unitario), nel 1970, venticinque anni dopo la fine della guerra; la prima biografia uscì soltanto nel ’74 a cura di Antonio Casanova, ventinove anni dopo la Liberazione; l’avvio della pubblicazione delle opere complete, a cura di Stefano Caretti, è iniziata nel 1983, trentotto anni dopo».

In apertura ha tenuto un vibrante discorso la Vicepresidente della Camera dei deputati, Anna Ascani, ricordando che «in questo palazzo, nella Sala della Lupa, si ritirarono i deputati aventiniani il 27 giugno di cento anni fa. La secessione non fu un atto di immobilismo rinunciatario, ma la volontà di non essere complici di un regime dittatoriale e assassino».

Il convegno è occasione di presentare l’anteprima della mostra che verrà inaugurata alla Casa della Memoria di Milano, all’interno del progetto Vivi, presenti, pugnanti, il cui titolo richiama le parole pronunciate da Turati «Egli vive, egli è qui presente e pugnante». Le parole con cui Filippo Turati ricorda Giacomo Matteotti, nel commosso discorso del 27 giugno del 1924 Filippo durante la riunione delle opposizioni parlamentari, in ricordo dell’amico assassinato. Questo è l’incipit del leader socialista, riascoltato durante il convegno odierno: «Vorrei che a questa riunione non si desse il nome logoro, consunto – specialmente qui dentro – di “commemorazione”. Noi non “commemoriamo”. Il fratello, quegli che io non ho bisogno di nominare, perché il Suo nome è evocato in questo stesso momento da tutti gli uomini di cuore, al di qua e al di là dell’Alpe e dei mari, non è un morto, non è un vinto, non è neppure un assassinato. Egli vive, Egli è qui presente, e pugnante. Egli è un accusatore; Egli è un giudicatore; Egli è un vindice […] ormai immortale, […] lui rappresenta tutte le vittime oscure […] una nazione non vive senza un parlamento libero e un governo democratico».

Il discorso poi si snoda con toni religiosi: Matteotti come figura Christi. Viene poi letto il Patto delle Opposizioni, la dichiarazione letta e votata ad unanimità e per acclamazione nella stessa Assemblea, subito dopo il discorso di Turati: «L’Assemblea delle Opposizioni, riunita in Montecitorio il 27 giugno 1924, invia il suo commosso saluto alla memoria di Giacomo Matteotti barbaramente trucidato, che, oltre le differenze di parte, è divenuto nel suo tragico, sacrificio il simbolo delle idealità di libertà e di ordine civile per il culto delle quali fu vilmente soppresso e afferma anzitutto il comune proposito […] di compiere ogni sforzo affinché tali idealità siano rapidamente e completamente realizzate ed il sacrificio di questa ultima vittimale la indignazione del Paese, riunificato nel cordoglio, non siano stati invano; e l’Italia riabbia la sua pace e la feconda concordia civile […] Ma oggi una somma di manifestazioni ed atteggiamenti di Governo, di partito, di stampa, ispirati sistematicamente alla violenza ed alla denunzia degli avversari politici […] la insistente esaltazione di uno spirito fazioso, la giustificazione della violenza nelle competizioni politiche, la pressione esercitata contro i lavoratori e le loro organizzazioni economiche e sindacali, la intimidazione degli avversari [….]la ostentata volontà di mantenere il potere con qualunque mezzo, la impunità dell’illegalismo […]; gli oppositori ufficialmente proclamati “nemici”. Necessariamente le circostanze del delitto, consumato sopra un deputato, a Camera aperta, rendono impossibile, finché durino le circostanze presenti, la partecipazione ai lavori della Camera. Indi l’assemblea delle Opposizioni riunitesi per proprio conto dichiara solennemente che indifferibile premessa è la restaurazione dell’ordine giuridico e politico infranto; e che tale restaurazione non è effettuabile se non per opera di un Governo […] il quale voglia e possa provvedere nel più breve tempo 1) alla abolizione di ogni milizia di parte, perché la tutela della legge, la sicurezza dei cittadini, e la difesa delle loro libertà fondamentali debbono essere affidate unicamente agli organi dello Stato 2) alla repressione inesorabile di ogni illegalismo ed alla reintegrazione assoluta, nei confronti di tutti, della autorità della legge, che è la stessa autorità dello Stato».

La seconda parte del convegno è dedicato alla presentazione di libri: uno di Mirko Grasso, L’oppositore, Matteotti contro il fascismo, Roma, Carocci, 2024; l’altro è il saggio Claudia Baldoli e Luigi Petrella Aventino. Storia di un’opposizione al regime (Roma, Carocci, 2024).

Pompeo Leonardo D’Alessandro, docente all’Università di Milano, dialogando con Grasso ha evidenziato «la figura di un Matteotti europeista, che con il suo pacifismo e l’opposizione ai nazionalismi anticipa il Manifesto di Ventotene, parlando di “Stati Uniti di Europa”. Per la sua ferma posizione pacifista nel 1916 è stato perfino condannato a 30 giorni di reclusione con l’accusa di “disfattismo». Ha sottolineato poi il pragmatismo del martire socialista: «Il primo nemico di Matteotti è il “nichilismo amministrativo” nella sua terra, il Polesine al quale si oppone con il “riformismo pragmatico”. Matteotti non è un teorico, ma un “politico pratico” che analizza il fallimento delle politiche economiche e sociali del fascismo e lo denuncia in Europa e denuncia anche la complicità fra la violenza e gli apparati dello Stato, la brutalizzazione della politica, la legittimazione della milizia armata e quindi dello squadrismo».

Dal volume di Grasso emergono chiaramente due elementi: da un lato la dedizione alla politica, passione precocissima tanto da alla giovanile del Partito Socialista Italiano nel 1898 a soli tredici anni e da scrivere nel 1901 il suo primo articolo per La lotta un settimanale locale di ispirazione socialista, dall’altro il lavoro infaticabile «eletto al Parlamento nel 1919 nel collegio di Ferrara, fino alla morte sono anni di indefesso lavoro, in cui egli interviene in aula ad una seduta su tre, ben 106 volte, senza considerare gli interventi in commissione, e presenta sei proposte di legge, sui temi più disparati: dazi, fisco, istruzione, migrazioni, l’agricoltura, la divisione di poteri e risorse tra Stato e comuni, funzionamento del parlamento… Lo studio è l’arma più affilata che Matteotti usa contro il fascismo, smascherando il mito delle politiche di bilancio ed evidenziando l’arricchimento degli industriali e possidenti agrari a scapito dei ceti più bassi». Il totalizzante impegno emerge anche da una lettera alla moglie, Velia Titta «vedo che sono uno dei pochi qui [in Parlamento] che lavorano, che studiano, io non so come faccia l’altra gente». Di fronte a questa affermazione oggi che imbarazzante è l’ignoranza di certi ministri e vergognoso è il fancazzismo di molti politici, viene da sorridere.

A parlare del libro di Baldoli e Petrella è poi Maddalena Carli, dell’Università di Teramo, che lo elogia così: «gli autori escono dalle secche del giudizio postumo sull’Aventino». Claudia Baldoli, infatti, parla dell’Aventino come «laboratorio di democrazia, rifiuto della violenza, alleanza di tutte le forza antifasciste» e sottolinea come quell’esperienza sia stata «non solo di contrapposizione politica ma anche generazionale, che è riuscita a creare un “paese aventiniano”, non solo un Aventino in parlamento».

Petrella si sofferma su un aspetto più di genere: «questa è una storia prevalentemente maschile, ma ci sono due donne importanti: Velia Ruffo, che simboleggia la forza di tutte le mogli degli assassinati dal Regine, e Anna Kuliscioff che è l’anima civile dell’Aventino: è lei che consiglia cosa si deve fare e a sconsigliare una azione di forza». La persecuzione nei confronti della famiglia Matteotti e in particolare di Velia, da parte della dittatura continuò dopo la morte di Giacomo: «Pregasi intensificare vigilanza sulla vedova e sui figli on. Matteotti tenendo sempre particolarmente presente eventualità tentativi uscire clandestinamente dal Regno». Il controllo delle autorità fasciste fu sempre strettissimo, provocando una dura protesta della vedova – in una lettera definisce la dura vigilanza come un’autentica schiavitù -che chiedeva libertà e rispetto. Per lei si mosse anche il movimento femminista inglese guidato da Sylvia Pankhurst. A seguito della morte prematura di Velia nel 1938, a soli 48 anni, a causa di una operazione chirurgica, Galeazzo Ciano riporta nel suo Diario 1937-38 che Mussolini, commentando cinicamente l’evento, osservò: «I miei nemici sono finiti sempre in galera e qualche volta sotto i ferri chirurgici».

Alla figura di Velia, attraverso una rigorosa e approfondita documentazione storica realizzata con il supporto dell’Archivio di Stato, in collaborazione con la direzione della Casa-Museo Giacomo Matteotti, la game designer Atropo Kelevra e lo studio creativo Officina Meningi, questo anno, in occasione del centenario, hanno realizzato un’escape room da tavolo unica nel suo genere, in grado di svelare attraverso la risoluzione di elaborati enigmi un capitolo fondamentale della Storia italiana, dal punto della vittima della dittatura. Anche un gioco da tavolo, utilizzando la potente immersività degli strumenti ludici, rappresenta un’occasione preziosa per scoprire il coraggio di una coppia di martiri per la libertà e permette a un pubblico di tutte le età di viverne il ricordo.

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