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Rimbam-Biden e i dilemmi americani

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Rimbam Biden. È facile il gioco di parole sull’esito del primo confronto televisivo tra presidenti in lizza di là dall’Atlantico

Rimbam Biden. È facile il gioco di parole sull’esito del primo confronto televisivo tra presidenti in lizza di là dall’Atlantico. Nel quartier generale della Cnn di Atlanta, non esattamente un parterre favorevole al redivivo Trump, Big Don – ma sui social impazzano nomignoli assai più ineleganti per lui, che pure ha fama d’essere un coniatore di soprannomi dei suoi avversari politici – vince su Sleepy Joe. Anzi, stravince 67 a 33, stando alla percentuale dei sondaggi che fanno la gioja degli anchorman Usa. E mai come stavolta Biden ha dato prova d’appannamento, al punto che persino i media mainstream cominciano a mostrare qualche crepa nel sostenerlo e i vertici Dem a pensare seriamente a qualcuno con cui sostituirlo, all’ultimo momento. Cosa facile a dirsi ma non altrettanto a farsi, considerato che Kamala Harris, la vice su cui si puntava, non pare all’altezza e altri competitori, quali il governatore della California, Gavin Newsom, o la governatrice del Michigan, Gretchen Whitmer, si mostrano restii a entrare in corsa a giochi fatti, col rischio d’azzopparsi prima di partire. C’è pure chi vorrebbe il ritorno alla Casa Bianca di Michelle Obama, il vero uomo forte del partito, ma lei nicchia. Un bel grattacapo per il duo Hillary-Obama (marito), grandi sponsor del vecchio Joe, in vista delle presidenziali di novembre.

Cincischiamenti a fil di bava, imbarazzanti silenzi, fregnacce varie. Il primo dibattito del secondo mandato ha tolto ogni ragionevole dubbio sulla tenuta cognitiva di Biden, alla faccia di chi lo voleva saldo in sella e ancor pimpante. Già durante il megaparty del G7 a Borgo Egnatia Sleepy Joe aveva dato prova d’essere piuttosto malconnesso, andandosene in giro a vuoto per i campi. Al punto che girava una battutona: il presidente Usa chiede alla premier italiana se può evitarsi il cenone di commiato, e la Melona risponde: “E come faccio Gio’, non so a chi lasciatte”. Illuminante. Ora che lo sfacelo fisico e mentale del vecchio Joe è palese all’urbe e all’orbe, anche i più sfegatati fan dell’81 enne presidente cominciano a guardarsi attorno. Lui non molla e tira dritto, mostrando la caparbietà propria dei vecchi, e forse si arriverà alla convention d’agosto, in cui i delegati dell’asinello vedranno che pesci pigliare. Le ipotesi sono quattro.

Sleepy Joe rinsavisce, oppure non si trova nessuno a fargli da badante e la va o la spacca. Big Don, assai poco amato dai vertici del Gop ma forte nell’elettorato e avanti (di poco) nei sondaggi, viene messo in condizioni di non nuocere, con buona pace di tutti, o stravince e si rifà della cacciata da Capital Hill, coi social a bannarlo. Ma c’è un quintum datur, come l’Evangelio di Pomilio. Siamo certi che l’assenza d’un presidente di peso, uno assopito come il vecchio Joe, sia disfunzionale al sistema? Che i centri decisionali del più grande impero d’Occidente, la magna America che sta per combattere la sua guerra mortale contro l’asse del male eurasiatico per resistere all’avanzata del mondo multipolare, abbia bisogno d’un potere decisionale forte invece dei poteri forti che operano alle sue spalle? Certo è sintomatico che la maggiore pseudodemocrazia occidentale, l’impero Usa portatore della civiltà dell’hamburger globale, non abbia niente di meglio che affidarsi a due ottuagenari per restare a galla nel nuovo ordine mondiale che s’appressa. Né stupisce che i gruppi dominanti nella vecchia Europa decidano d’affossarsi con essa piuttosto che cercare una terza via più consona alla loro storia e ai propri interessi.

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Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.
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