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Francia, la gauche in stallo, cresce l’impazienza popolare

Duello Ps-LFI per chi guiderà il governo del NFP. Ma intanto Macron punta a dividerlo. Se resisterà sarà solo per la pressione dei movimenti

A cinque giorni dal secondo turno delle elezioni legislative, la sinistra non è ancora riuscita a trovare un accordo sul nome che guiderà il suo futuro governo. Eppure da giorni si susseguono incontri che coinvolgono ogni volta piccole delegazioni del Partito Socialista (PS), degli Ecologisti, del Partito Comunista Francese (PCF) e di LFI, La France Insoumise, il partito di Jean-Luc Mélenchon. Non si registrano putiferi ma nemmeno una fumata bianca.

A tenere banco è il duello tra Ps e LFI, arrivati a poca distanza l’uno dall’altro in termini di numero di deputati eletti alla Camera.

I socialisti hanno trovato il loro candidato nella persona di Olivier Faure, il loro primo segretario, con l’avvallo anche del neo-deputato François Hollande, che non nutre grande stima per il suo ex collega. Quanto agli Insoumis, hanno “aperto la partita” proponendo quattro profili ai loro partner, come ha rivelato Le Monde venerdì: Manuel Bompard, coordinatore nazionale di LFI, Mathilde Panot, presidente del gruppo parlamentare, Clémence Guetté, deputata e perno del programma, e ovviamente Jean-Luc Mélenchon, fondatore del movimento, figura ingombrante per non dire divisiva, oggetto degli attacchi dell’estrema destra e di quella meno estrema.

Il nome di Mélenchon, rifiutato da tutti i partner di LFI, ha indispettito soprattutto i socialisti, che durante la campagna elettorale hanno insistito sul fatto che l’ex candidato alle presidenziali non sarebbe stato il primo ministro della coalizione. Nella discussione, il PS sta sollevando lo spettro di una mozione di censura per estinguere l’opzione Mélenchon. Negli ultimi giorni, da Renaissance al Rassemblement National (RN), la destra e l’estrema destra hanno apertamente minacciato di rovesciare un governo che includesse gli Insoumis – e persino, per alcuni, gli ecologisti.

Nel mezzo di questo ping-pong, ecologisti e comunisti stanno cercando di mediare. Giovedì scorso, entrambe le parti hanno cercato di sbloccare la situazione concordando sulla necessità di nominare una donna a Matignon (noi diremmo a Palazzo Chigi). I comunisti hanno proposto il nome di Huguette Bello, come rivelato da L’Humanité, presidente del Consiglio regionale dell’isola de La Réunion, che è stata deputata in Parlamento per 23 anni, considerata equidistante tra PCF e Jean-Luc Mélenchon, che ha sostenuto alle presidenziali del 2022. Huguette Bello ha ricevuto anche il sostegno della socialista Valérie Rabault, a sua volta in lizza per Matignon prima della sconfitta alle parlamentari, che ne ha elogiato la “schiettezza” e le “solide convinzioni”, auspicando che “metta tutti d’accordo”.

All’inizio della settimana, i deputati del gruppo ecologista avevano incoraggiato la loro segretaria Marine Tondelier a farsi valere nelle discussioni. Spinta dalle sue performance televisive di successo durante la campagna elettorale per le legislative, potrebbe essere il volto a metà strada tra i due partiti. “Ci crede sempre di più”, dice uno dei suoi contatti al sito Mediapart da cui Popoff ricava molto di quello che sa della Francia.

Tutti i nomi distillati dalla stampa negli ultimi cinque giorni non è affatto rassicurante per un elettorato che attende con impazienza un accordo in grado di sgonfiare le vele dei macronisti che stanno capitalizzando gli errori strategici del NFP per elaborare un piano B.

Nelle ultime 48 ore, le esortazioni ad accelerare il movimento sono arrivate anche dalla società civile che ha sostenuto il NFP nella campagna. Il giorno prima era stata Sophie Binet, leader CGT, a lanciare l’allarme: “Tutti devono mettere da parte i loro interessi personali e di parte […], è in gioco il futuro del Paese. Se il NFP non è nemmeno in grado di proporre un governo e una linea d’azione in tempi brevi, tutto quello che abbiamo ottenuto cadrà come un castello di carte”, ha avvertito la segretaria generale della CGT che, insieme ad altri sindacati, ha indetto una manifestazione per il 18 luglio, giorno di apertura della sessione parlamentare.

Nel frattempo, la pressione popolare potrebbe continuare a salire sui partiti di sinistra, come la sera di giugno quando, nel bel mezzo dei negoziati per la formazione della coalizione, decine di giovani attivisti sono confluiti nella sede degli Ecologisti da Place de la République al grido di “Unitevi!”. Una prospettiva che non piace a tutti i partner del fronte.  “La discussione non deve svolgersi nell’arena pubblica”, ha spiegato venerdì Manuel Bompard su TF1, citando la necessità di “consenso” come regola imposta dai protagonisti. Ma, al netto delle giuste critiche all’architettura delle istituzioni della Quinta Repubblica, pensata proprio per impedire qualsiasi coalizione tra partiti, il rischio è di apparire opachi e chiusi di fronte a un’opinione pubblica per la quale l’unità è un valore aggiunto. La fragilità del Nuovo Fronte Popolare è sotto gli occhi di tutti già prima della vittoria elettorale. Se resiste e resisterà sarà solo grazie alla pressione della piazza, dei sindacati e del movimento sociale in generale.

Ali Rabeh, leader di Génération-s, ha invitato il NFP a tornare alla sua “logica di andare oltre”. Il sindaco di Trappes (Yvelines) ritiene che “gli apparati politici devono accettare di portare la società civile al tavolo delle discussioni”. A suo avviso, questa apertura potrebbe arrivare fino a Matignon. Saremmo onorati di proporre una figura di questa società mobilitata”, afferma. Sarebbe un’occasione per unirci e incarnare l’essenza del NFP, che è tutt’altro che un cartello di partiti”. Augustin Augier, braccio destro di Marine Tondelier, ammette: “L’intera vicenda dà l’impressione di una situazione di stallo, ma è solo un’impressione. In realtà, le cose procedono abbastanza bene”, giura il delegato generale degli Ecologisti, ricordando le quattro settimane che il macronista Gabriel Attal ha impiegato per formare il suo governo.

A complicare il quadro c’è un regolamento di conti in casa insoumise: gli “insurgé” (contrazione di “insoumis” e “epurati”), dissidenti esclusi per questo dalle liste da Mélenchon (Clémentine Autain, Alexis Corbière, Raquel Garrido, Hendrik Davi e Danielle Simmonet) hanno annunciato la nascita del movimento “L’Après”, “uno strumento politico al servizio del Nuovo Fronte Popolare”. L’annuncio era in preparazione da diverse settimane. Il motivo: la decisione del partito di ritirare la loro candidatura alle elezioni legislative perché troppo critici nei confronti di Jean-Luc Mélenchon. Sponsor dell’iniziativa potrebbe essere il popolare deputato François Ruffin, figura chiave nella creazione del NFP ma da tempo in rotta di collisione con il fondatore di LFI.

Intanto Macron, «l’uomo che ieri era pronto a governare con l’estrema destra si ritrova ora da solo, abbandonato dal suo campo, in una configurazione che non ha scelto, mostrando il disprezzo e l’arroganza che gli sono sempre stati propri nei confronti degli elettori che crede di poter convocare a suo piacimento, per meglio calpestarli se le urne non parlano a suo favore», scrive Fabienne Dolet su L’Anticapitaliste, settimanale del NPA_A, formazione combattiva della sinistra rivoluzionaria che ha aderito al NFP. Il campo presidenziale, che è arrivato terzo in termini di voti è quello che beneficia maggiormente dei ritiri nelle gare triangolari e quindi dei voti della sinistra. Se gli elettori del RN possono sentirsi defraudati della loro vittoria prevista, gli elettori di sinistra non sono da meno ma almeno hanno avuto la maturità politica di votare contro l’estrema destra, di cui conoscono la pericolosità da decenni. Ma votare per Darmanin o Borne non è stato indolore per tutti coloro che si sono battuti contro la riforma delle pensioni o la legge sull’asilo e l’immigrazione. Ma ora quel voto potrebbe ritorcersi contro di loro perché, dietro al Presidente, ci sono enormi pressioni come quella del capo del Medef, la confindustria, Patrick Martin, che già prima del 30 giugno aveva fatto sapere che, tra il programma RN e quello NFP, quest’ultimo era più pericoloso. Poi, l’8 luglio, ha dichiarato la sua intenzione di continuare e addirittura di intensificare l’azione intrapresa “negli ultimi nove anni” con le politiche portate avanti da Macron e, prima di lui, da Hollande, che consistevano nella riduzione dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro e in molti altri regali. Negli ultimi giorni, i personaggi della Macronie hanno invocato un’unione del centro con i socialdemocratici e gli ecologisti, un remake, appena più cortese, della sporca campagna condotta contro LFI nelle ultime settimane e mesi, per separare il grano dalla pula nel Nuovo Fronte Popolare.

C’è il rischio concreto che il Nuovo Fronte Popolare si divida. Non solo sul nome del Primo Ministro, ma anche sull’applicazione del programma. Senza una maggioranza, sarà difficile governare se non per decreto o utilizzando i 49,3. Sarà difficile per i parlamentari mantenere la rotta.

“Ecco perché il Nuovo Fronte Popolare non può essere solo un’etichetta elettorale – scrive ancora Dolet – non deve rimanere tale. Ovunque gli attivisti si sono uniti per fare campagna, ovunque hanno trovato un terreno comune: combattere l’estrema destra e il razzismo, opporsi alle politiche di regressione sociale, al massiccio disinvestimento nei servizi pubblici e alla pressione sui salari. Ovunque devono riunirsi, continuare a discutere, mobilitarsi e lottare».

Infatti, la mobilitazione è riuscita a fare ciò che nessun istituto di sondaggi riteneva possibile. Dare corpo al progetto e ai numeri significa organizzarsi, a livello di base, e unire le forze per applicare il programma del NFP.

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