Ieri l’attivista e blogger saudita Raif Badawi, in carcere dal 2012 per reati di opinione, è stato pubblicamente frustato davanti a una moschea di Gedda. Video
di Marina Zenobio
Nel 2012 Raif Badawi era stato condannato a dieci anni di carcere, una multa di 250 mila euro e mille frustate per crimini informatici e offese all’islam, messi in atto attraverso il suo sito, ora oscurato, Saudi Liberal Network. Era stato poi assolto, nel 2013, dal reato di apostasia che prevedeva la pena di morte.
Ieri, davanti la moschea di al-Jafali nella città di Gedda, sul Mar Rosso, Raif è stato colpito dalle prima 50 frustate, davanti ai fedeli dopo la preghiera del venerdì. Le rimanenti 950 fustigazioni saranno scaglionate in un periodo di 19 settimane.
Testimoni hanno raccontato alla stampa che Raif è stato condotto davanti la moschea di Gedda con un una camionetta militare, davanti a una moltitudine di persone hanno letto i reati per cui è stato condannato, poi è iniziata l’umiliazione della fustigazione pubblica, e l’applauso finale degli astanti soddisfatti per lo spettacolo.
Sul suo Saudi Liberal Network, Badawi avrebbe dato spazio a opinioni, dibattiti sociali e politici sull’Arabia Saudita che i vertici religiosi del regno wahhabita hanno definito intolleranti. Così le critiche di Raif Badawi, nei confronti di alcune figure religiose saudite gli sono costate tale brutale condanna. L’anno scorso anche il suo avvocato è stato arrestato e condannato a 15 anni di prigione da un tribunale antiterrorista.
Raif è uno dei molti attivisti perseguitati in Arabia Saudita per aver espresso le proprie opinioni tramite internet tra cui, rende noto Amnesty International, Fadhel al-Manasef blogger di 26 anni e processato varie volte dal 2009 per il suo attivismo, condannato a 15 anni di carcere e a pagare una multa di oltre 26 mila dollari, e Walid Abu al-Khair, attivista e difensore dei diritti umani arrestato improvvisamente il 15 aprile scorso mentre si difendeva in tribunale dalle accuse mosse contro di lui. Da allora rinchiuso nel carcere di massima sicurezza al-Ha’ir, a Riyadh.
Le reti sociali sono incredibilmente popolari in un paese dove la gente non può esprimersi liberamente in pubblico. Le autorità wahhabite hanno risposto a questo aumento di dibattito on line mettendo sotto controllo i social network e proibendo alcune applicazioni informatiche.
Ma l’anno appena arrivato in Arabia Saudita è iniziato con l’esecuzione di sei condanne a morte, e l’anno scorso sono state 87 le condanne capitali eseguite. Un paese con cui l’occidente, appena colpito dall’integralismo islamico con i tragici fatti di Parigi, mantenere ottime relazioni diplomatiche e commerciali. Un’Arabia Saudita dove le donne non possono guidare ed è guidato da integralisti islamici wahhabiti, che ha più volte invocato leggi internazionali per punire chi insulta le religioni, ma che il 7 gennaio ha condannato la strage terroristica nella redazione di Charlie Hebdo, a Parigi.
Tornando al caso Badawi, il direttore di Amnesty in Medio Oriente e Nord Africa, Philip Luther, ha lanciato un appello per la sua liberazione. “Le autorità saudite – ha dichiarato Luther – deve fermare immediatamente l’esecuzione di questa brutale sentenza”. Ha poi aggiunto: “Le frustate e le altre forme di punizione corporale sono vietate dal diritto internazionale. E’ spaventoso che una punizione talmente crudele e feroce possa essere imposta a qualcuno colpevole soltanto di aver osato creare uno spazio pubblico per discutere e per esercitare in maniera pacifica il diritto alla libertà di espressione”. In riferimento ai diversi appelli internazionali rivolte al regno wahhabita a favore di Badawi, Luther ha concluso dicendo che: “ignorando gli appelli internazionali a difesa di Badawi, le autorità dell’Arabia Saudita hanno dimostrato un abominevole disprezzo per i principi basici dei diritti umani”.