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Genova, quando l’Italia faceva da sé

Autarchia in mostra al Palazzo Ducale di Genova. Fino al 15 febbraio

da Genova, Claudio Marradi

Giuseppe Pagano (Parenzo, Croazia 1896 - Mauthausen, Austria 1945), Gino Levi Montalcini (Milano 1902 - Torino 1974)  FIP, Torino Poltrona per gli uffici Gualino, Torino, 1928 buxus Wolfsoniana – Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Genova
Giuseppe Pagano (Parenzo, Croazia 1896 – Mauthausen, Austria 1945), Gino Levi Montalcini (Milano 1902 – Torino 1974) FIP, Torino Poltrona per gli uffici Gualino, Torino, 1928 buxus Wolfsoniana – Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Genova

 

Quando facevamo da noi, quando tiravamo diritto, quando eravamo duri e puri, quando eravamo noi soli e tutto il mondo contro. Quando eravamo, in una parola, autarchici… E succedeva esattamente ottant’anni fa, 1935, anno XIII° – come si diceva pomposamente allora – di un’era fascista che aveva rifondato il calendario a partire dalla data della marcia su Roma.

E’ un piccolo mondo antico eppure, a tratti, sorprendentemente attuale e globale quello raccontato dalla mostra “L’Italia farà da sé – propaganda, moda e società negli anni dell’autarchia” nelle sale della Loggia dell’Abate a Palazzo Ducale di Genova.

Fino al prossimo 15 febbraio e a ingresso libero, una raccolta di materiali eterogenei come oggetti di arredamento e di design, ceramica e piastrelle, fumetti e giochi da tavolo, manifesti pubblicitari e perfino divise di ascari, i soldati di colore delle truppe ausiliare dell’esercito italiano in Libia e in Africa Orientale, restituisce corpo al fantasma di un’Italietta che si dava arie da potenza coloniale e che faceva la voce grossa ai rimproveri e alle sanzioni economiche comminate dalla Società delle Nazioni per le sue avventure imperialiste.

Curata da Matteo Fochessati e Gianni Franzone, l’esposizione costituisce una trasferta della collezione Wolfson (www.wolfsoniana.it) dalla sua piccola, appartata sede a un passo dalla passeggiata a mare di Nervi al centro cittadino nello stesso edificio che ospita la mostra su Frida Kahlo e Diego Rivera. E documenta le strategie elaborate dalla propaganda di regime per contrastare le ricadute della crisi economica e i loro effetti sulla vita quotidiana degli italiani. Tutto ha infatti origine, è la tesi dei curatori, con il drammatico crollo di Wall Street del 1929, in quell’epicentro di terremoti economici che dalle sfere iperuraniche della finanza si trasmettono implacabilmente alla società civile in tutto il mondo. Oggi come allora, oggi più di allora, perché nel frattempo sono immensamente aumentate le grandezze monetarie in gioco, la complessità dei prodotti finanziari utilizzati, la velocità degli scambi attraverso le piattaforme telematiche.

Di fronte alle due crisi economiche determinate dalle conseguenze del primo conflitto mondiale e dal drammatico crollo di Wall Street del 1929 la politica economica del regime fascista si imposta attraverso due azioni principali: da un lato l’espansione coloniale in Africa, dall’altro una politica autarchica in campo sia agricolo sia industriale.

La politica autarchica del regime ebbe ufficialmente inizio il 23 marzo 1936, ma in realtà la reazione del regime alle sanzioni decretate dalla Società delle Nazioni il 7 ottobre del 1935 aveva già trovato espressione nel dicembre del 1935 con la “Giornata della fede”, in cui gli Italiani furono invitati a dare oro alla patria. Questa consolidata politica di mobilitazione nazionale, patrocinata dalla macchina propagandistica del fascismo come strumento di consenso, era comunque già stata sperimentata negli anni precedenti, attraverso azioni politiche volte a sostenere una totale autosufficienza produttiva, come nel caso della “Battaglia del grano”.

La drastica riduzione degli acquisti all’estero e la conseguente azione promozionale di surrogati o succedanei determinarono una politica protezionistica volta a favorire l’acquisto dei prodotti italiani e a rafforzare le principali industrie nazionali.

Nove le sezioni tematiche (Rinascita economica e autarchia, La Battaglia del grano, Preferite i prodotti nazionali, L’Italia ha finalmente il suo impero, Tipi indigeni, Oro alla Patria, La conquista economica dell’Impero, Lo stile autarchico, Materiali autarchici) che articolano l’itinerario espositivo di un immaginario alla cui costruzione furono chiamati pittori, scultori e designer. E il cui compito era quello di interpretare norme di comportamento sociale imposte dal regime nel suo obiettivo di trasformazione del popolo italiano, traducendole in fenomeni di stile e di moda emergenti che dovevano conferire appeal – in particolare nei settori dell’edilizia, dell’arredo e dell’abbigliamento – alla produzione di nuovi materiali che potessero contribuire alla politica di autosufficienza economica imposta dal fascismo. Uno sforzo produttivo, particolarmente nel campo delle risorse energetiche, cui fu dedicata nel 1939 la Mostra autarchica del minerale italiano che coinvolse i principali artisti e illustratori dell’epoca, chiamati a promuovere, attraverso le loro opere e i loro avanguardistici allestimenti espositivi, l’immagine di un’Italia moderna, dinamica e competitiva a livello internazionale. Un’immagine che tuttavia collassa istantaneamente nello sguardo implorante del bambino che, con un filone di pane tra le braccia, chiede “Non togliete il pane ai figli dei nostri lavoratori, acquistate prodotti italiani”. Più una supplica che una dichiarazione di guerra, più disperazione che fierezza. E che ricorda inaspettatamente da vicino lo slogan “Buy American” che si diffuse negli Stati Uniti quando, già all’indomani della strage di Piazza Tien An Men, le industrie americane cominciarono a delocalizzare in Cina a caccia di manodopera a costi stracciati. Succede, quando l’economia conquista un primato assoluto sulla politica. E’ il mercato, bellezza. E tu non puoi farci niente, neanche essere autarchico.

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