Operazione anticontraffazione in grande stile in corso nel quartiere romano del Pigneto. Ma i risultati non sembrano giustificare il dispiego di forze.
di Marina Zenobio
Nella tarda mattinata di oggi, a Roma, quel triangolo del Pigneto tra via L’Aquila, via Casilina e l’omonima Circonvallazione, è stato messo sotto assedio con un blitz della Guardia di Finanza, definito “anticontraffazione”. Impegnati nell’operazione 120 unità tra finanzieri, squadra cinofila, qualche mezzo dei carabinieri, qualche comparsata delle pantere di PS ma, effetto speciale, l’elicottero delle “fiamme gialle” venuto apposta da Civitavecchia che, per buone tre ore, ha sorvolato a bassissima quota la zona interessata dal blitz. Affacciandosi dalla finestra, guardando prima giù poi su, si aveva la sensazione di un rastrellamento di massa in corso.
L’obiettivo è, come già accaduto in passato, la palazzina di via Campobasso abitata esclusivamente da stranieri, soprattutto senegalesi. Secondo le indagini del I Gruppo Roma di Guardia di Finanza, l’immobile, tra l’altro fatiscente, sarebbe adibito a deposito e centro smistamento di merce contraffatta. In realtà, come in precedenti blitz, anche questa volta il “bottino” sarà magro: qualche scatolone di borse taroccate e di cd contraffatti.
Alcuni abitanti del quartiere sono scesi in strada a “curiosare”. C’è chi si lamenta che il vero problema non è la contraffazione delle merci ma lo spaccio di droga che ha invaso ogni angolo del Pigneto; chi denuncia lo spreco di risorse, perché un’operazione militare di questo tipo ha un costo considerevole, per cercare qualcosa nei posti sbagliati.
L’operazione è ancora in corso mentre scriviamo, le agenzie battono che l’intervento ha sinora portato al sequestro di qualche migliaio di articoli contraffatti, un po’ poco per parlare di logistica, deposito e centro smistamento di merce “taroccata”.
Questo ingente spiegamento di forze dell’ordine ha però un suo perché, una tempistica particolare, arriva infatti a 48 ore dalla sigla del “Protocollo per il contrasto alla commercializzazione di prodotti contraffatti sottoscritto, tra gli altri, da Prefettura, Guardia di Finanza, Carabinieri, Questura e Camera di Commercio di Roma. Il dubbio è lecito, probabilmente c’era la necessità di dimostrare ai commercianti “veri” che il “Protocollo anticontraffazione” è stato preso sul serio.