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Brasile, pulizia sociale anche senza i Mondiali

Amnesty International conferma: «Il fenomeno esiste. Record di omicidi di polizia, che colpiscono soprattutto i bambini neri delle favelas».

di Massimo Lauria

Il fenomeno esiste. La pulizia sociale in Brasile colpisce soprattutto i giovani neri delle favelas o di altre aree delle periferie. Forse non è collegato alla Coppa del Mondo, ma il Paese sudamericano ha il triste primato per omicidi di polizia. Il portavoce italiano di Amnesty International, Riccardo Noury, conferma a Popoff quello che avevamo già detto. Dopo le critiche di alcuni lettori su una presunta bufala che avevamo diffuso circa le stragi di bambini da parte della polizia brasiliana, abbiamo voluto andare fino in fondo.

Pochi giorni fa abbiamo ospitato un articolo del giornalista danese Mikkel Keldorf Jensen. Il reporter sosteneva che la polizia fa strage di bambini di strada – a Fortaleza, nel nord est del Paese – per ripulire la città in vista dei Mondiali di calcio. Si tratterebbe, secondo Jensen, di una meticolosa “operazione di pulizia”. Un passaggio forse troppo azzardato, anche se di fatto episodi di pulizia sociale sono noti da anni. In attesa di sentire lo stesso Jensen sul suo lavoro – l’abbiamo contattato senza avere ancora risposta – siamo andati a scomodare altre fonti.

Da Londra Amnesty International fa sapere di non aver documentato finora un caso simile a quello riportato da Jensen. Ovvero, comunica: «Non c’è alcuna prova particolare che quanto stia accadendo oggi possa considerarsi una “operazione di pulizia” in vista della Coppa del mondo. Il Brasile – prosegue l’Ong internazionale – ha il record per omicidi di polizia, che colpiscono soprattutto i giovani neri delle favelas e delle altre zone di periferia, ma non ci sono prove che il fenomeno sia in aumento» o legato all’evento sportivo.

Con o senza i Mondiali di mezzo avvenimenti di questo tipo restano ugualmente grave. Anzi, proprio grazie all’evento sportivo, i media hanno riacceso i riflettori su una piaga sociale dolorosa. Nonostante il governo di Dilma Rousseff abbia approvato provvedimenti anti tortura, gli abusi in divisa continuano ad essere troppi. Secondo quanto riporta l’organizzazione internazionale per i diritti umani Human Rights Wacth, «nel 2012 ci sono stati 1.890 morti in operazioni di polizia, una media di 5 al giorno. La polizia è responsabile di 362 omicidi nello stato di Rio de Janeiro e 165 in quello di San Paolo, solo nei primi mesi del 2013».

I dati, presi da fonti statali e federali ufficiali, sono stati diffusi dal Forum brasiliano di pubblica sicurezza, una Ong locale, che denuncia: «molte di queste morti sono frutto di operazioni di polizia illegali». Sparatorie, torture e violenza di ogni tipo sono all’ordine del giorno per gli abitanti dei quartieri poveri delle città brasiliane. Di «orgia di uccisioni extragiudiziali» parla il Daily Mail, che denuncia una situazione insostenibile nella favela Rochina di Rio de Janeiro, una delle più popolose del Brasile, in cui vivono circa 200.000 indigenti.

«Per evitare insabbiamenti e uccisioni illegali – dice Human Rights Watch – il governo dello stato di San Paolo, ha vietato la rimozione dei cadaveri dalla scena del delitto». In questo modo, spiegano, «gli omicidi di polizia sono diminuiti del 34 per cento nei primi sei mesi del 2013». Ma la strada per una vera pacificazione è lunga. E di pacificazione paradossalmente si parla quando si guarda all’Upp (Unidade de Polìcia Pacificadora), il corpo di polizia inaugurato nel 2008, dopo che il Brasile si era aggiudicato il Torneo mondiale.

Le Unità di pacificazione nascono con l’intento di operare all’interno delle favelas per contenere l’azione delle bande criminali di narcotrafficanti. Di fatto, denunciano le stesse Ong, si sono trasformate in reparti repressivi. Dieci agenti dell’Upp sono stati incriminati per l’omicidio e la tortura di Amarildo de Souza, un muratore di 42 anni, incensurato e scambiato per un trafficante di droga. L’hanno rapito, torturato e poi ucciso, facendo sparire il cadavere. La verità è venuta fuori solo per puro caso.

Sebbene però le sparizioni e gli omicidi di polizia non siano necessariamente legate all’evento sportivo, restano una grave violazione dei diritti umani, a cui il governo dovrebbe cercare di porre rimedio. Le misure repressive degli scorsi mesi a danno di milioni di persone, che rivendicano il diritto ad una vita più dignitosa, hanno portato le organizzazioni per i diritti umani a promuovere campagne di sensibilizzazione anche contro la soppressione del diritto a manifestare pacificamente nei centri urbani.

Le condizioni all’interno delle favelas è un capitolo a parte, ma fino a un certo punto. Lo stesso Riccardo Noury di Amnesty International, sul Corriere della Sera, denuncia una massiccia militarizzazione delle favelas, proprio a causa della Coppa del mondo. I più poveri, già costretti a vivere fianco a fianco con le bande di narcotrafficanti, sono preoccupati perché la polizia vede «le loro comunità come un “territorio nemico”». Ora il governo tenta una timida apertura almeno nei confronti di chi protesta, a due giorni dall’inizio dei Mondiali.

Per molti si tratta di una mossa disperata della presidente Dilma Rousseff, nel tentativo di placare gli animi dei milioni di lavoratori senza casa, senza tetto e senza terra. Per mesi queste persone sono state sgomberate dalla loro terra e dalle proprie abitazioni. Da lungo tempo i Movimenti sociali chiedono di aprire un confronto con il governo per ottenere maggiori investimenti sul sociale, denunciando lo spreco di quattrini per l’organizzazione del Campionato mondiale. L’aria che tira in Brasile è tutt’altro che di festa. E per la pacificazione sociale c’è ancora molta strada da fare.

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