L’opposizione accusa il governo di Skopje di spiare illegalmente i cittadini ma, a turbare il sonno dei nazionalisti anche le proteste di studenti e lavoratori
di Carlo Perigli
Tempi difficili per il governo macedone. Dopo le accuse di spionaggio lanciate dall’opposizione al governo di Skopje, il quale finora ha risposto accusando il leader dei social-democratici Zoran Zaev di organizzare un colpo di Stato, ora l’establishment nazionalista deve rispondere alle manifestazioni studentesche in corso a Skopje, a poche settimane dalle proteste poste in essere dai lavoratori macedoni.
Dopo mesi di proteste e sit in fuori dalle università, nella giornata di ieri oltre mille studenti hanno occupato le facoltà di filosofia, filologia, diritto ed economia di Skopje, proclamandole «territorio autonomo degli studenti». Le proteste sono nate in seguito all’adozione, da parte del governo, di una norma che obbliga gli studenti a sostenere due esami di Stato, uno alla fine del secondo anno e uno alla conclusione degli studi. In particolare, la contestazione nasce dal fatto che, in entrambe le sessioni, la loro preparazione non viene giudicata da professori universitari, ma da funzionari governativi, ponendo così in discussione l’autonomia delle università. In una dichiarazione scritta, gli studenti hanno fatto sapere che «staremo qui finché le nostre richieste non verranno soddisfatte. Dormiremo e mangeremo qui. Facciamo appello a tutti gli studenti affinché ci raggiungano nel nostro territorio autonomo, perché insieme siamo più forti».
La mobilitazione è in corso da dicembre, quando 12.000 studenti scesero in piazza nella manifestazione studentesca più partecipata dall’indipendenza della Macedonia. Tuttavia, il premier Gruevski aveva inizialmente ignorato le loro istanze, richiedendo solo la settimana scorsa un incontro per discutere della possibile sospensione del decreto. Un’offerta prontamente rispedita al mittente dalla “plenaria degli studenti”, che al contrario ha deciso per la linea dura contro il governo di Skopje.
Una mobilitazione che, a fine dicembre, aveva coinvolto anche i lavoratori a tempo determinato e gli occasionali, in protesta contro la nuova norma sul lavoro, in base alla quale la tassazione sui loro stipendi (solitamente tra i 200 e i 400 euro) verrà aumentata dal 10 al 35%, equiparando di fatto il regime fiscale a loro carico a quello previsto per i lavoratori a tempo indeterminato. Una misura che, secondo il governo, metterebbe un freno alla disoccupazione, ma che in realtà, come afferma l’economista macedone Marjan Petreski, «ridurrà in maniera significativa il loro salario, spingendoli verso la povertà. I lavoratori – ha spiegato Petreski – mentre da un lato pagheranno più tasse, dall’altro non avranno i benefici dei lavoratori a tempo indeterminato, come le ferie pagate, i bonus annuali e i permessi per malattia. Questo incoraggerà ulteriormente le aziende a trasformare i loro impiegati in lavoratori a tempo determinato o occasionale».