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Caselli non si tocca, manco con un volantino. Aria tetra a Firenze

Accuse deliranti della stampa contro i collettivi che avrebbero costretto Caselli a rinunciare a un dibattito. Ma perché gli studenti ce l’hanno con il mostro sacro dell’antimafia? E perché lui non accetta il contraddittorio?

di Ercole Olmi

no-caselli

Accuse deliranti sulla stampa “per bene” fiorentina e un pesante clima di intimidazione e delegittimazione costruito attorno ai collettivi universitari autorganizzati che si sono permessi di promuovere una contestazione all’ex magistrato Gian Carlo Caselli al Polo delle Scienze Sociali di Novoli. Caselli, considerato da molti una sorta di eroe nazionale dell’antimafia, è ritenuto però anche lo stratega del teorema della procura di Torino contro i No Tav che contestano l’impasto politico mafioso che sta devastando la valle di Susa per una dannosissima opera inutile.

«Ad una legittima critica politica si è risposto non nel merito – scrivono i promotori di un appello contro la repressione – ma con un’ondata di accuse deliranti; un attacco politico-mediatico di enormi proporzioni, condotto dalla stampa locale e nazionale attraverso l’utilizzo sistematico della menzogna e dell’insulto, finalizzato a creare il terreno favorevole alla repressione dell’attività politica dei collettivi ed alla chiusura degli spazi di libera espressione del dissenso nelle aule universitarie di Firenze».

I collettivi sentono la necessità di «fare chiarezza sui fatti: la contestazione promossa dal Collettivo Politico di Scienze Politiche, a cui hanno aderito numerose persone tra singoli individui, collettivi studenteschi e realtà politiche cittadine, si è svolta esponendo uno striscione e una bandiera NO TAV mentre un volantino e un intervento al megafono spiegavano agli studenti presenti le ragioni della protesta. I collettivi protagonisti di questi fatti sono stati immediatamente accusati di intolleranza e di voler soffocare con metodi violenti e “squadristi” il confronto democratico, la libertà di espressione ed il libero scambio di opinioni all’interno delle aule universitarie. Nonostante i locali del polo di Novoli fossero stati preventivamente militarizzati con un ingente schieramento di polizia e Digos, Caselli non si è presentato all’incontro, adducendo presunte motivazioni di ordine pubblico. Di fatto si è sottratto di sua spontanea volontà al confronto con le ragioni dei manifestanti, preferendo piuttosto insultarli dalle pagine dei quotidiani con la complicità di pessimi giornalisti. Abbiamo assistito ad un penoso tentativo di presentarsi come la vittima di una presunta violenza, col solo scopo di delegittimare l’avversario politico».

L’ex magistrato, infatti, è sembrato più concentrato a definire gli studenti in un crescendo di insulti: «bulli, ignoranti, arrabbiati, violenti, terroristi, canaglie e teppaglia», attaccando persino le autorità accademiche incapaci di garantire il libero svolgimento di un dibattito democratico e colpevoli, a suo dire, di aver tollerato l’attività politica dei collettivi studenteschi. «E’ forse un caso che Caselli trovi sempre qualcuno a contestarlo ovunque vada – si chiedono i collettivi – e di qualunque tema sia chiamato a parlare? Noi non riconosciamo il reato di lesa maestà! Nessuno ha impedito a Caselli di venire, e nessuno l’ha cacciato dall’Università, dato che, volontariamente, non si è presentato. La responsabilità del mancato incontro è esclusivamente sua. Ci risulta difficile credere che l’iniziativa di qualche decina di studenti possa aver “intimidito” a tal punto un ex procuratore del suo “calibro”. Tanto più che nessuno si è preso la briga di illustrarci esattamente di quale intollerabile violenza Caselli sia stato vittima, pronti invece a criminalizzare persone per fatti non accaduti».

«Inaccettabili», per i collettivi, le minacce e le intimidazioni funzionali a «chiudere gli spazi di agibilità politica e di libera espressione del dissenso all’interno dell’università». Alle minacce di Caselli si è aggiunta anche una mozione del Senato Accademico in solidarietà al magistrato a cui sarebbe stato impedito di parlare.

Il clima di Firenze non è dei migliori: dalle minacce di sgombero dello spazio sociale “La Polveriera”, allo sgombero di due occupazioni abitative, alle manganellate in piazza sui militanti del Movimento di Lotta per la Casa, alle denunce indirizzate ai militanti del comitato di quartiere “Coverciano Antifascista” e all’irruzione della polizia nel centro sociale “La Riottosa”. Tanto più gravi ci appaiono questi fatti se rapportati alla vastità dell’attacco repressivo contro ogni forma di organizzazione del dissenso dal basso su tutto il territorio nazionale.

Ora, un gruppo di baroni fiorentini – gli stessi che invocano la libertà di espressione e dipingono l’università come il “tempio della cultura critica e della libera circolazione delle idee” – pretende che i collettivi protagonisti della contestazione siano «espulsi dall’università», sgomberando le loro aule e negando loro la legittimità di esprimersi.

Secondo i collettivi, Caselli è «un personaggio assolutamente sgradito: un inquisitore ha dedicato un’intera vita alla difesa degli interessi economici e politici dominanti, sia legali che illegali, contro i movimenti politici e sociali». Una carriera di magistrato inquirente in prima linea nella repressione dei movimenti sociali di operai, studenti e contadini che, nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta, proseguita in Sicilia tra il 1993 e il 1999, «con lo scopo di proseguire il lavoro di Falcone e Borsellino e smascherare le collusioni tra potere politico e potere mafioso, indagando anche personaggi eccellenti (in particolare Giulio Andreotti e il giudice di cassazione Corrado Carnevale) sul modello delle inchieste di “tangentopoli”. Tuttavia, la storia si muove in un’altra direzione: la magistratura giudicante condanna il Divo Andreotti solo per i reati risalenti agli anni Settanta e caduti ormai in prescrizione (viene invece assolto per i reati contestati dopo il 1980), mentre i poteri politici restaurano la tradizionale alleanza tra Stato e Mafia sancita con l’ascesa del berlusconismo. La sua attività di giudice antimafia, inoltre, è ricca di zone d’ombra. Sulle sue spalle pesa la responsabilità di aver sempre difeso la «professionalità» di Arnaldo La Barbera, (funzionario di polizia e agente segreto del Sisde) artefice dei depistaggi delle indagini sull’attentato dell’Addaura contro Falcone e sulla strage di via D’Amelio che uccise Borsellino. In quest’ultimo caso La Barbera torturò un ragazzo innocente, Vincenzo Scarantino, per fargli confessare la realizzazione dell’attentato (e accusare altre sei persone innocenti) al fine di tutelare i veri esecutori. Lo stesso Arnaldo La Barbera lo ritroveremo alla scuola Diaz a Genova e alla caserma di Bolzaneto nel luglio 2001». Sempre Caselli si ritrova, di fatto, a coprire il coinvolgimento di alcuni ufficiali dei Carabinieri nella “trattativa tra stato e mafia”: il capitano De Caprio, il colonnello Mori e il generale Subranni (già autore del depistaggio delle indagini sull’assassinio di Peppino Impastato nel 1978), i quali consigliarono allo stesso Caselli di non perquisire la villa del boss Totò Riina dopo il suo arresto, consentendo così a ignoti di ripulire ogni indizio o prova compromettente per i carabinieri. Un’indagine su questa vicenda verrà aperta solo qualche anno dopo, a seguito delle dichiarazioni del pentito Bernardo Brusca. Pur non emergendo un coinvolgimento diretto del giudice antimafia Caselli in tali vicende, è evidente come egli, invece di denunciare e perseguire penalmente tali manovre sotterranee, sposi completamente la “ragion di stato”, rinunciando a quella intransigenza legalitaria esercitata abbondantemente contro i militanti politici.

Quando torna a Torino, vestirà nuovamente i panni dell’inquisitore intransigente e forcaiolo contro il suo nemico storico: i movimenti sociali. Nel 2010 emette ventiquattro misure di custodia cautelare in carcere ai danni di altrettanti studenti attivi nel movimento dell’Onda in relazione alla contestazione del G8 University Summit. «Successivamente – ricordano i collettivi – il nostro “eroe” dell’antimafia e della legalità si dedica anima e corpo alla causa della repressione, criminalizzazione e delegittimazione politica e sociale del movimento popolare NO TAV in Val di Susa. Quindici anni fa morivano suicidi in carcere (in circostanze mai chiarite) i due compagni anarchici, Sole e Baleno: le due prime vittime della repressione contro il movimento NO TAV! Oggi, dopo l’occupazione militare della Val Clarea, dopo i manganelli della polizia, dopo l’utilizzo massiccio di gas lacrimogeni CS (vietati dalle convenzioni internazionali nei conflitti bellici), dopo i pestaggi e le molestie sessuali ai danni dei compagni e delle compagne fermate, arrivano le denunce e le rappresaglie del giudice Caselli e del suo pool anti-NO TAV. Nel gennaio 2012, su ordine del procuratore, ventisei compagni vengono arrestati per la resistenza alla polizia nelle giornate del giugno e del luglio 2011. Quando il movimento lancia, sempre nel 2012, l’Operazione Hunter, denunciando gli abusi della polizia e presentando un esposto in procura con prove filmate delle violenze commesse dalle forze dell’ordine, Caselli archivia il caso. Fino allo stillicidio di denunce (per ottenere il cumulo delle pene per i militanti più attivi) e infine la morsa dell’accusa di terrorismo per il danneggiamento di un macchinario che non ha causato, né rischiato di farlo, danni a persone e il ricorso al reato d’opinione contro lo scrittore Erri De Luca «per avere istigato al sabotaggio della Tav». Al contrario, le comprovate infiltrazioni mafiose nel consorzio di aziende che gestisce i lavori di scavo non sembrano preoccupare più di tanto il mostro sacro dell’antimafia.

 

 

per aderire all’appello: http://www.colpolfirenze.org/firenze-chi-zittisce-chi-appello-contro-la-criminalizzazione-del-dissenso-alluniversita/

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