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Curdi vero obiettivo della Turchia

I curdi vero obiettivo turco. Il “califfo” minaccia Erdogan “non superare certi limiti nell’intervento contro l’Isis o attaccheremo la Turchia”

di Marina Zenobio

Soldati turchi in un posto di controllo a Diyarbakir, Kurdistan turco
Soldati turchi in un posto di controllo a Diyarbakir, Kurdistan turco

Ormai solo chi ha interesse a non vedere non vedrà che l’intervento militare turco conto lo Stato islamico è solo un pretesto per farla finita, definitivamente, con il suo nemico storico, il popolo curdo.

Certo che è una novità la sua reazione contro i jihadisti dell’Isis visto che la Turchia più volte è stata accusata di appoggiare, direttamente e indirettamente, lo Stato islamico. E di fatto è la prima volta che l’aviazione turca attacca obiettivi jihadisti, nonostante che negli ultimi anni lo Stato islamico si è reso responsabile di numerose azioni armate alla sua frontiera, di attentati costati la vita a decine di cittadini turchi e di aver anche minacciato la sacra tomba di Shah Soliman, uno dei padri della nazione ottomana, sepolto nel XIII secolo un un sito dell’attuale Siria che ancora continua ad essere considerato territorio turco.

L’atteggiamento del governo non è stata la stessa riguardo la questione curda. Nè prima né dopo la tregua del Pkk, né prima né dopo le elezioni che hanno dato all’Hdp, il braccio politico della guerriglia curda, milioni di voti e 81 parlamentari, né l’esercito né la polizia hanno smesso di perseguitare, dentro e fuori del paese, i militanti e simpatizzanti del Pkk, arrestano centinaia di persone, attaccando le loro basi e le sedi dell’Hdp, e spingendo i movimento islamisti radicali, come il partito Huda Par, il Fronte di al-Nusra o lo stesso Stato islamico a frenare il progressivo appoggio popolare verso il Pkk.

Ed è conseguente che, in risposta a questi nuovi bombardamenti, la guerriglia curda abbia rotto la tregua. I suoi dirigenti in realtà la consideravano rotto da almeno un mese, dopo che vari commadi jihadisti, almeno uno organizzato proprio in Turchia, sono penetrati a Kobane per assassinare a sangue freddo circa 300 civili inermi. Da allora gli scontri tra la guerriglia del Pkk e l’esercito curdo non si sono mai fermati.

E’ vero che che c’è stato un cambio di atteggiamento nei confronti dello Stato islamico ma non nel caso curdo e nemmeno nell’uso dello jihadismo per combattere il Pkk perché, in fondo, anche Ankara sta approfittando ora della sua offensiva contro l’Isis per intensificare la sua politica di annientamento dei curdi.

Per meglio comprendere questo atteggiamento turco è necessario fare riferimento ad certe dichiarazioni del “califfo” Abdukr al Baghdadi, massimo autorità dell’Isis, con le quali e per la prima volta, ha minacciato la Turchia per la sua collaborazione con Washington. In sintesi, al Baghdadi diffida Erdogan a non superare certi limiti nel suo intervento, pena attacchi diretti in territorio turco.

Questo stando ad una informativa che, secondo il quotidiano dell’opposizione turca “Zamàn”, è stata distribuito ai vari capi dei servizi di sicurezza turchi proprio qualche giorno prima dell’inizio dell’offensiva. Le stesse minacce sono apparse sul sito web di orientamento jihadista “Konstantiniyye” (antico nome ottomano di Istanbul), che accusa il governo di Erdogan di “tagut”, termine arabo che l’islam ortodosso utilizza per accusare chi tradisce la dottrina di Maometto.

Subito dopo è arrivato l’attentato di Suruç dove sono morti 30 giovani turche e turchi, e lo scontro a fuoco alla frontiera in cui un soldato turco è caduto sotto i colpi jihadisti. I due avvenimenti hanno messo in evidenza, di fronte a tutta la società turca, la seria debolezza del governo di Erdogan e il suo recente fallimento elettorale.

Erdogan non aveva altro rimedio che rispondere alla sfida e realizzare una dimostrazione di forza che, però, risulta sempre più evidente abbia quale obiettivo principale i curdi e non lo Stato islamico, nonostante che, come perfino gli Stati uniti hanno riconosciuto, soprattutto il Pkk sta giocando un ruolo chiave nella lotta sul terreno contro l’Isis, sia in Siria che in Iraq.

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