L’altra faccia del modello danese. La chiusura temporanea delle frontiere rivela le ombre di una società pervasa da un acuto senso del razzismo
di Claire Lacombe
Molti conoscono sulla Danimarca la vulgata idilliaca come nazione antinazista. Questo perché il Re Cristiano X e i capi delle chiese si opposero alla deportazione degli ebrei e alla loro ghettizzazione. Pur essendo la Danimarca occupata come “protettorato” nel 1940 dal Reich hitleriano non furono applicate le leggi razziali. Inoltre quando le autorità tedesche organizzarono la deportazione degli ebrei residenti in Danimarca per l’1 e il 2 ottobre 1943, le autorità danesi sottrassero alla cattura migliaia di ebrei. Ma si può vedere anche il rovescio della medaglia: all’invasione tedesca l’esercito danese praticamente non si oppose; l’opposizione dei Danesi contro l’invasione nazista fu, quando esistente, passiva e silente: gli episodi di resistenza armata furono pertanto rari e solo dopo il 1943.
Nel dopoguerra in Danimarca fu instaurato un regime di welfare molto solido, caratterizzato da due elementi però apparentemente anomali.
1) Una diffusione vasta di una psichiatria fortemente reazionaria e moralista nei confronti dei devianti (cosa caratteristica pure della vicina Svezia).
2) Una politica di strisciante razzismo e segregazione verso i propri “Negri”, gli Inuit di Groenlandia, noti erroneamente come Eschimesi. Gli Inuit sono un popolo fiero, prediligono la proprietà collettiva, hanno una religione animistica, dove lo Sciamano è in genere una donna. Solo nell’ultimo decennio sono stati concessi spazi autonomistici per la Groenlandia, che in ogni caso è in crisi e ha assistito anche al collasso profondo dell’industria estrattiva di minerali. Comunque gli Inuit che vivono a Copenaghen sono in zone degradate e ghettizzate. Gli Inuit in Danimarca sono una comunità ai margini, “tollerata luteranamente” per non contare nulla. Nel grande romanzo di Peter Hoeg del 1992 “Il senso di Smilla per la neve” è ben descritta sia la marginalizzazione razzista degli Inuit a Copenaghen sia la pervasiva egemonia di una ideologia fascistoide presente nella società, nelle istituzioni danesi e nelle forze di polizia. Fino agli anni ‘80 il partito socialdemocratico ha gestito il paese ma poi il sarcofago socialdemocratico si è rotto per fare spazio a un dominio dei conservatori, inframmezzato da un paio di ritorni di fiamma dei socialdemocratici. D’altronde negli ultimi anni la presenza crescente di partiti dichiaratamente fascisti e populisti nel Parlamento danese ha consentito un terreno favorevole verso l’adozione di politiche antislamiche e xenofobe.
Questo è il retroterra della Danimarca felix che per almeno 24 ore in questi giorni ha alzato un muro alle frontiere con la Germania impedendo il passaggio ferroviario e stradale dei migranti verso la Svezia transitando nel territorio danese; a dire il vero il blocco dei passaggi è stato così ottuso da riguardare anche cittadini europei, in violazione totale del Trattato UE di Shenghen (ma l’UE si sta rivelando sempre più per ciò che è: un totem completamente incapace di gestire le politiche tra paesi, idoneo soltanto a favorire il turbocapitalismo finanziario). Quello che è comunque più disgustoso nella vicenda danese, ma anche in quella ungherese, è che un’entità nazionale si senta investita dell’autorità (divina, Gott mit uns?) di impedire a che un altro paese, la Svezia o la Germania, possa far usufruire del diritto di asilo a gente in fuga. Ma i Danesi sono i veri europei, più ariani di Svedesi e Tedeschi, che starebbero tradendo lo spirito dell’Europa Nazione Civiltà. Bisogna vergognarsi di queste impostazioni fasciste in Europa, bisogna liberarsi di queste impostazioni fasciste in Europa.