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La legge di stabilità: veleni, inganni e regalie

La legge di stabilità: basta vedere i titoli euforici del giornale della Confindustria e del suo presidente Squinzi per capire quali finalità si proponga e quali interessi difenda

di Franco Turigliatto

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Non sono certo le slides di Renzi e la campagna promozionale del governo che permettono di capire il vero significato del Disegno legge di Stabilità, che disvela i suoi veleni giorno dopo giorno e che potrà essere verificato appieno solo quando arriverà nelle aule parlamentari tanto da spingere l’editorialista del Sole 24 ore ad affermare “nel momento di massima attenzione dei media e dell’opinione pubblica mancano i numeri completi e precisi della manovra, e tutto si basa su dati provvisori e tabelle lacunose”.

Eppure basta vedere i titoli euforici del giornale della Confindustria e del suo presidente Squinzi per capire quali finalità si proponga e quali interessi difenda.

Le preoccupazioni di Renzi e Padoan

Nel predisporre la legge finanziaria Renzi e Padoan avevano di fronte diversi problemi sia di ordine economico che politico/sociale così riassumibili:

continuare le politiche di austerità in funzione delle scelte economiche liberiste dominanti, favorendo ulteriormente le classi abbienti e le imprese e rinsaldando il legame con la Confindustria di cui sono i fiduciari;

ottenere dall’UE una certa flessibilità del bilancio per mascherare questi obiettivi evitando un affondo troppo forte e diretto che provocasse una resistenza di massa alla loro gestione politica (una serie di scelte ancora più dure e devastanti sono rinviate ai prossimi anni);

conquistare un certo consenso in vista delle elezioni di primavera, molto delicate per il futuro e la credibilità politica del primo ministro: l’abolizione delle tasse sulla prima casa era fondamentale per attrarre l’attenzione dei ceti popolari, ma soprattutto per conquistare vasti settori piccoli e medio borghesi e un’area di imprenditori, già sostenitori delle destra di Berlusconi; l’obiettivo non è solo il voto, ma anche un loro consolidamento in un vero blocco sociale liberista e conservatore.

Inoltre non si può comprendere la portata socioeconomica della manovra se non la si considera nel complesso delle controriforme operate dal governo che hanno distrutto i diritti del lavoro, fatto a pezzi la scuola, stravolto la costituzione e di quanto siano stati alterati i rapporti di forza sui luoghi di lavoro e la capacità negoziale della classe lavoratrice: piove non solo sul bagnato, ma dopo una vera e propria alluvione.

Le dimensioni finanziarie della legge

Il volume delle risorse che mette in campo la manovra è cospicuo: 27 miliardi, che potrebbero salire a 30, se la UE accettasse la richiesta italiana sulla clausola sui migranti.

Essa è costruita su un aumento del deficit pubblico, riverniciato come “flessibilità europea”, dopo che per anni ci hanno martellato sulla necessità di contrarre e far sparire questa “piaga economica”!

Il governo italiano ha più o meno già ottenuto dalle istanze europee di spostare l’obbiettivo del pareggio di bilancio al 2018 e di far salire il rapporto debito/Pil dal 1,4 % al 2,2% sulla base delle clausole europee che consentono una certa flessibilità in relazione alle riforme (controriforme) strutturali (vedi Jobs Act) e agli investimenti produttivi. La possibilità di aumentare il deficit rende disponibili circa 14,600 miliardi di euro, cioè più della metà della manovra. Se poi la UE accettasse di inserire la clausola sull’emergenza migranti il deficit potrebbe salire al 2,4%  del PIL con una ulteriore disponibilità di 3,1 miliardi di euro.[i] Vedere il precedente articolo sulla legge inserire link

Quali sono le altre risorse che dovrebbero alimentare la finanziaria?

Due miliardi dovrebbero entrare dalla sanatoria sui capitali portati illegalmente all’estero; gli evasori possono regolarizzarli e riportarli in patria pagando solo una parte di quello che avrebbero dovuto versare al fisco in Italia.

Dall’aumento dei prelievi sui giochi e da nuove gare (lo stato punta sulla propensione all’azzardo…) dovrebbe essere racimolato un altro miliardo.

Poi c’è la questione centrale e decisiva, il reperimento di circa 5,8 miliardi attraverso i tagli alla spesa pubblica (la spending review) che la Confindustria e tanti giornali avrebbero voluto ancora più pesanti, come se non fosse già stata saccheggiata dalle precedenti finanziarie.

La mannaia sulla sanità è ancora una volta pesantissima ed emblematica: il governo si è rimangiato i 2 miliardi e mezzo di risorse aggiuntive che aveva promesso alle Regioni. In realtà le disponibilità del 2016 per il servizio nazionale sanitario dovevano essere di 116 miliardi, ma questa cifra nel Documento programmatico era già scesa a113,5 miliardi e nell’attuale disegno di legge sono solo 111 miliardi.

Ma i tagli saranno ancora superiori, sia per effetto della cosiddetta razionalizzazione dei costi, sia perché alle regioni vengono ridotti i finanziamenti di ulteriori 1,8 miliardi di euro (3,3 nel 2017 e 4,7 nel 2018). E’ noto che l’80% delle spese regionali riguarda la sanità: facile tirare le conclusioni.

Se si considera che già oggi 10 milioni di persone in Italia fanno sempre più fatica a curarsi si comprende come questo governo punti sullo sfascio della sanità pubblica e lavori per distruggere il diritto fondamentale alla cura per tutte le cittadine e i cittadini. I ricchi non hanno difficoltà a rivolgersi alla sanità privata, attraverso cui, alcuni di loro già fanno ottimi affari.

La spending review taglia anche 300 milioni ai Comuni, già vicini alla bancarotta, e 400 milioni alla gestione della chiusura delle province.

Un altro miliardo corrisponde ai tagli lineari effettuati sui ministeri; dopo i tagli già subiti è certo che questo significherà un’ulteriore contrazione dei servizi e della qualità dell’amministrazione.

Infine sono previsti 4,8 miliardi che dovrebbero arrivare da “ulteriori efficientamenti” e dalla maggiore crescita economica (vedremo se la realtà corrisponderà alle speranze governative).

Come sono distribuite le risorse

L’abolizione delle tasse sulla prima casa è la misura che maggiormente è stata valorizzata.

La prima domanda da porsi è: chi trae maggior vantaggio da questo provvedimento?

Il taglio di questa tassa vale qualche centinaio di euro per la maggior parte delle famiglie, ma vale alcune migliaia di euro (una media di 2.800 euro) per la classe agiata e i grandi ricchi che posseggono le case e le ville di lusso (secondo le statistiche queste sono circa 75.000.

Una manovra sull’imposizione fiscale sulle case avrebbe avuto un senso di giustizia sociale solo se fosse stata concepita come misura proporzionale e progressiva rapportata al patrimonio complessivo dei cittadini e quindi di protezione dei ceti popolari.

L’IMU viene cancellata anche per i cosiddetti imbullonati, cioè sui macchinari delle imprese con un indubbio vantaggio per le aziende. Anche le aziende agricole si vedono cancellare l’IMU e l’IRAP agricole (si tratta di circa 800 milioni). Come è noto i terreni montani erano già esentati dal pagamento di questa tassa; ora questa misura si estende alla pianura nel tentativo di rilanciare un settore in palese difficoltà, solo che anche in questo caso non si fa differenza tra la piccola e media impresa agricola e le grandi  imprese che dispongono di vaste proprietà e che molte volte sono collegate alle multinazionali agricole.

Le imprese godranno di una serie di ulteriori agevolazioni fiscali variamente articolate tra cui spicca lo sconto fiscale sui sugli investimenti produttivi che sale dal 100%  al 140%, la detassazione dei primi di produttività, le misure che favoriscono il welfare aziendale (500 milioni), ecc.

Difficile fare il calcolo complessivo di quanto valgono tutte queste regalie  per i padroni, ma la cifra si aggira intorno ai 6 miliardi di euro. I padroni continueranno a beneficiare anche nel prossimo anno dello sgravio contributivo (anche se ridotto) previsto dal Jobs Act per le assunzioni col contratto a tutele crescenti. L’impresa che assume entro il 2015 risparmia 8.000 euro all’anno di contributi per addetto per tre anni; dal 2016 lo sgravio scende del 40%.

Ma in realtà alle aziende potrebbero essere regalati da subito altri 3 miliardi se la UE accetterà una ulteriore flessibilità del rapporto deficit/Pil in relazione all’emergenza migranti; il governo italiano intende infatti utilizzare le risorse ottenute da questa flessibilità, (fondi che in teoria dovrebbero servire per garantire l’accoglienza ai migranti che fuggono le guerre e le persecuzioni) per ridurre la tasse sulle imprese (IRES) di 3 punti percentuali, facendola scendere al 24%. Bisogna essere dei perversi e dei malintenzionati – come sono – per inventarsi una mascalzonata di questo genere.

Non ci soffermiamo sull’innalzamento delle soglia dell’uso dei contanti a 3.000 euro, perché è fin troppo chiaro a che cosa serve questa misura, così come c’è molto da temere sull’introduzione dell’abbonamento Rai nella fattura elettrica.

La generosità del governo si ferma qui: pensionati e lavoratori non rientrano nelle preoccupazioni del governo.

La legge finanziaria infatti stanzia solo 200 milioni per il contratto dei dipendenti pubblici (3.200.000 di lavoratrici e lavoratori) che hanno gli stipendi bloccati da 6 anni (una perdita che si aggira sul 20% secondo alcuni calcoli sindacali). Una sentenza della Corte costituzionale obbliga il governo a rinnovare il contratto: questi risponde stanziando circa 8 euro lordi per ciascun dipendente, una vera e propria provocazione.

E così anche per coloro che pur avendo molti anni di lavoro alle spalle non possono andare in pensione per effetto delle norme della legge Fornero. Le speranze dei sindacati di ottenere la cosiddetta flessibilità in uscita, cioè delle deroghe alle norme di quella controriforma sono andate deluse.

La legge di stabilità concede solo a chi ha più di 63 anni di concordare con il padrone un part time e di avere in busta paga i contributi netti che l’azienda avrebbe dovuto pagare all’INPS, mentre lo stato garantirà i contributi figurativi; nel migliore dei casi questo dipendente, lavorando al 50% dell’orario normale potrà disporre, invece della pensione, di un salario, ridotto del 65%.

Lo stesso modesto l’innalzamento della no tax area per i pensionari sopra i 75 anni viene rinviata al 2017.

Le clausole di salvaguardia

Ma le risorse maggiori ben 16.800 miliardi (secondo il Sole 24 ore) sono utilizzate per impedire che il prossimo anno entrino in funzione le clausole di salvaguardia dei provvedimenti degli anni passati; esse dispongono che, nel caso in cui certi obbiettivi di  maggiori entrate o di riduzione delle spese non siano stati raggiunti, scattino in automatico dal 2017 misure sostitutive.

Queste consistono in un aumento dell’IVA e nell’abolizione o riduzione delle agevolazioni fiscali per un valore complessivo per l’appunto 16 miliardi e 800 milioni.

Bene si potrebbe dire! Ma solo fino a un certo punto, perché il problema e solo rinviato e si riporrà nel 2017 e poi nel 2018 e perché la legge attuale contiene essa stessa altre clausole di salvaguardia che potranno scattare nei prossimi anni. Si parla di un intervento che tra due anni potrà salire a 25 miliardi e addirittura a 45 miliardi nel biennio 2017- 2018. Come si vede, il governo ha preso solo tempo: riducendo anno dopo anno le tasse alle classi superiori la coperta diventa sempre più corta e primo o poi i nodi verranno al pettine.

Un miliardo viene stanziato per le famiglie più diseredate e per i minori che vivono in condizioni di grave disagio. Il contrasto alle povertà sociali è uno dei cavalli di battaglia di Renzi che si dimentica che gli inaccettabili livelli di povertà presenti nel paese (8-10 milioni di poveri) sono il frutto avvelenato e diretto di venti anni di politiche di austerità e di mancanza di lavoro. Si distruggono i diritti, il lavoro sicuro e decentemente retribuito, si svalorizza complessivamente il lavoro a vantaggio del capitale, determinando una divisione della ricchezza sempre più iniqua e poi si fa un modesto fondo pubblico per gestire la carità. Questa è la tipica caratteristica di un regime liberista e thatcheriano, un tratto distintivo delle destre che accumuna oggi anche tutte le forze social-liberiste in cui si sono tramutate le vecchie socialdemocrazie.

Quello che non c’è

Per giudicare una legge finanziaria, occorre esaminare non solo quello che c’è, ma anche quello che non c’è. La domanda è: dove stanno gli investimenti pubblici, dove sta l’iniziativa delle istituzioni per creare attività e posti di lavoro stabili e sicuri, progetti complessivi per mettere in sicurezza il territorio, per intervenire e riavviare il lavoro in quelle aziende che gli imprenditori hanno chiuso andando all’estero, per garantire a tutti istruzione e formazione, quella scuola di cui si riempiono la bocca gli stessi che la stanno distruggendo?

Sono misure che non hanno trovato posto nella legge di stabilità, semplicemente perché sono fuori dall’orizzonte reazionario del governo che vuole farci credere l’enorme menzogna che solo dando soldi agli imprenditori si crea posti di lavoro e ricchezza per tutti.

Invece i soldi per fare un’altra politica ci sono, basta prenderli, dai profitti, dai privilegi, dal lusso delle classe superiori, basta avere il coraggio di porre il problema del debito, del rifiuto del debito illegittimo ed ingiusto che altro non è che una immensa idrovora che succhia le risorse della società per indirizzarla alle rendite finanziarie.

In conclusione

La legge di Renzi ci propone meno tasse per i ricchi e le imprese, meno sanità e intervento pubblico, stipendi ridotti, pensioni sempre più lontane e il dominio delle leggi del capitalismo e del mercato cioè la forza dei potenti.

Questa legge va collegata infatti a quanto avviene nella società. Se la finanziaria ci dice che i dipendenti pubblici non devono avere più un reale contratto e i loro stipendi devono diminuire, la controriforma del Job Act ha creato le migliori condizioni per i padroni per ricattare gli operai e diminuire i salari nel settore privato.[ii]

Oggi i padroni, disdetta dopo disdetta dei contratti, non solo non offrono nulla, ma anzi pretendono la restituzione di quanto (per altro modesto) hanno dovuto concedere in altri tempi; vogliono più orario di lavoro e meno salario. E’ questa è la micidiale combinazione tra le politiche finanziarie ed economiche del governo e la dinamica dei rapporti di forza e sociali tra le classi.

Di fronte a questa situazione le organizzazioni sindacali se volessero essere coerenti con le loro finalità (la difesa degli interessi della classe lavoratrice) dovrebbero suonare le campane a martello, suscitare la massima mobilitazione, provare a coinvolgere tutte le lavoratrici e i lavoratori per costruire un altro progetto e un altro futuro. Ma questa è un’altra storia.

[i] In realtà da molti anni lo stato italiano ha una spesa inferiore a quanto incassa. La somma delle spese è infatti inferiore alla somma delle entrate fiscali: è quello che viene chiamato l’avanzo primario; esso supera il 2% e corrisponde a molte decine di miliardi di euro. Da questo punto di vista l’Italia è assai più “virtuosa” di altri paesi avendo rinunciato a una reale politica di sviluppo sociale ed occupazionale, massacrando la spesa pubblica. Ma il bilancio resta egualmente in deficit perché su di esso pesa il servizio del debito pubblico, cioè gli interessi che ogni anno si devono pagare alle rendite finanziarie, una cifra enorme che si aggira intorno ai 70/80 miliardi di euro annui.

[ii]. Occorre inoltre tener conto che i lavoratori pubblici sono stati già ridotti di 320.000 unità.

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