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Expo, arresti di anarchici per il riot del primo maggio

Almeno dieci arresti per il riot di Milano contro l’Expo dello scorso primo maggio. Il giorno appresso centinaia di milanesi, anche di sinistra, andarono a ripulire i muri

di Giulio AF Buratti

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Puntuali le nomination a pochi giorni dalla chiusura di Expo, così da ridurre eventuali manifestazioni di protesta. Dalle prime ore di questa mattina, la Polizia di Stato sta eseguendo a Milano e all’estero alcune ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di cittadini italiani e stranieri tutti accusati di devastazione e saccheggio, resistenza a pubblico ufficiale aggravata e travisamento, reati commessi durante gli scontri della manifestazione «No-Expo» del 1 maggio a Milano. In carcere dieci presunti black bloc: 5 squatter milanesi appartenenti alla locale area anarchica, già noti agli agenti della Digos milanese – che ha condotto le indagini con il coordinamento del Servizio investigazioni generali della direzione centrale polizia di prevenzione – e 5 anarchici greci. Tre milanesi, un comasco e un greco indagati a piede libero. Tutti individuati dall’analisi dei filmati realizzati durante il corteo dalla scientifica, dai reporter e di quelli delle telecamere di sicurezza lungo tutto il percorso. In tutto sono stati analizzati 600 Gb di materiale.

Dai video e dalle foto, si legge in una nota della polizia, sono stati estrapolati centinaia di fotogrammi “al fine di evidenziare ogni più piccolo dettaglio utile a individuare ed identificare con certezza gli autori dei reati”. Alla fine sono stati quindi isolati i comportamenti dei singoli soggetti riuscendo ad attribuire ad ognuno di essi le specifiche azioni penalmente rilevanti.

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Quel giorno, la messa in scena del riot, nei fatti, conquistò tutto il clamore mediatico possibile tagliando le gambe alla crescita di un movimento di massa di critica all’Expo, al modello dei grandi eventi. La stragrande maggioranza dei manifestanti rimase intrappolata tra la macchina della repressione e il circo del riot. Dopo quel carnevale grottesco la kermesse è proseguita indisturbata fino ai proclami finali di governo e manager dell’evento.

Non è questa una presa di distanza dalla “violenza”, la violenza appartiene a chi genera e blinda un modello di sviluppo, siamo solidali con le vittime della repressione senza se e senza ma forse è tempo per una critica serrata all’autoreferenzialità di certe pratiche e alla loro incapacità di cucire settori sociali spremuti dalla crisi ma incapaci di riconoscersi. Il giorno dopo, centinaia di milanesi, anche di sinistra, scesero in strada per ripulire le scritte chiudendo l’assedio per ogni sensata critica al coktail infernale dell’Expo: cemento, precarietà, lavoro gratuito, multinazionali, sponsor pervasivi, greenwashing (l’ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte delle aziende), infiltrazioni mafiose, esproprio di democrazia, specismo e pinkwashing (l’ammiccamento formale alla parità di genere).

Le implicazioni dell’Expo sui rapporti di forza tra le classi, sugli stili di vita e sui territori – come abbiamo già scritto alla vigilia – sono ormai dispiegate sotto gli occhi di tutti. Così come sono evidenti le connessioni tra l’Expo milanese e le due “riforme” del governo Renzi – sblocca Italia e jobs act – per cui la kermesse milanese si configura come la prefigurazione degli effetti delle nuove leggi e, nello stesso tempo, come lo spazio in cui quelle norme vengono messe a punto dentro una gigantesca operazione di decostruzione e ricostruzione dell’immaginario collettivo. Perfino la soap opera nazional-popolare, “Un posto al sole”, ha modificato nelle ultime settimane, in funzione dell’Expo, la propria sceneggiatura. Giornali, pubblicità, testimonial d’eccezione e, specularmente, le solite paranoie sulla calata dei black bloc per bruciare il terreno della possibile saldatura tra reti di attivisti e ampi settori di opinione pubblica.

Fin dalla sua incubazione, Expo ha preso a generare dinamiche sociali, politiche e finanziarie che vanno ben oltre l’evento. Secondo Greg Clark, consulente per lo sviluppo del sindaco di Londra e per le strategie del governo inglese, «la presentazione della candidatura per un evento globale incoraggia l’adozione di nuovi punti di riferimento per lo sviluppo urbano, dettando nuove regole di ingaggio». In poche parole «presentare una candidatura significa accelerare la pianificazione dello sviluppo e i progetti di trasformazione urbana», è motore di sviluppo e occasione di governance, incentivazione del mercato immobiliare e dell’infrastruttura delle regione, cemento verticale e orizzontale. Altre costruzioni e altre autostrade. In definitiva significa riscrivere i rapporti di forza, partecipare alla gigantesca operazione di trasferimento della ricchezza che va sotto il nome di neoliberismo.

Nulla di più errato nel percepire l’Expo come un evento. E’ un pezzo di un processo permanente, un modello di sviluppo. Dunque il No Expo, specularmente, doveva sfuggire al rischio di rappresentarsi come un evento e provare a costruirsi come movimento. Così non è stato: Expo non è un evento, il riot non è la rivoluzione ma il rito che, a dispetto della generosità di chi lo pratica, ossifica i rapporti di forza presenti. Popoff può essere uno degli spazi per un dibattito possibile.

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6 COMMENTS

  1. Sono convinta, per aver pagato personalmente a causa della mia critica alla manifestazione di Cremona, che nel movimento sia impossibile discutere apertamente di questo argomento in modo pacato e approfondito, le critiche si possono trasmettere a voce bassa e fra compagni fidati perché danno l’allergia a chi vuole passar oltre la democrazia borghese per approdare direttamente alla dittatura del pensiero del centro sociale XY …
    per consolarmi trovo una frase di Trosky nel libro: “Il giovane Lenin” a proposito dello zaricidio: “Il rivoluzionario che aveva l’intenzione di trasformarsi in una bomba vivente, non poteva ammettere accanto a sé non dico il rifiuto, ma nemmeno l’ombra di un dubbio sul valore insostituibile e di salvazione della dinamite”. Perciò penso di appellarmi ancora a lui quando scrive in “Storia della rivoluzione russa” che “La storia trova il modo di mettere a posto i presuntuosi”!

  2. la storia trova il modo di mettere a posto i presuntuosi………bisognerà vedere quanti anni dopo questi 25 ci metterà la storia a mettere a posto berluscarenzilarussa e sodali……..finchè avremo gli sbirri di destra foraggiati dal governo di destra………….rivoluzione..no pasaran

  3. Questo di eugenia è il tipico commento che affossa le discussioni. Io sto dall’altra parte della penisola non sono mai stato a Cremona, non conosco centri sociali di Cremona e tantomeno a che aree appartengono. Invece di parlare di un tema che potrebbe rivelarsi interessante, entrando nel merito della questione, il problema diventa una questione personale dai contorni d’identità e rivalità insulsi e sciocchi. La storia mette i presuntuosi su dei piedistalli in mezzo alle piazze e con certe discussioni l’unico dispettuccio che possiamo augurargli e che i piccioni gli caghino addosso. Invece rientrando nel merito mi viene subito in mente chiedere (a voi e a me stesso): senza riot cosa sarebbe successo alle idee no expo? avrebbero avuto più visibilità? ci sarebbe stata la possibilità di aumentare coscienza e informazione, si sarebbe allargato il fronte di protesta? E poi alla fine della kermesse Expo si sarebbero presentate sostanziali differenze verso le concezioni capitalistiche e neoliberiste che sostengono l’evento e il sistema intero che lo sottende? Possono sembrare domande provocatorie ma non lo sono, anche perchè il cosidetto riot oggettivamente non ha influito in modo positivo sulle questioni poste sopra, ma resta comunque dubbia l’efficacia di alcune altre forme di protesta. Ogni azione in politica ha obiettivi immediati e fini strategici da misurare su un lungo periodo. Alla luce di questo le valutazioni più evidenti che si possono fare sono riguardo la creazione di movimenti basati su determinate questioni settoriali, senza l’esistenza di coincidenze riguardo gli obiettivi finali. Questi movimenti finiscono in breve per pestarsi i piedi anche su obiettivi immediati.Probabilmente il problema non risiede nelle forme di lotta scelte per rappresentare il conflitto ma nella mancanza di un disegno organico in cui inserire ogni rappresentazione e non trasformarlo in un inutile sasso lanciato nel lago delle immutabili relazioni sociali che costituiscono il sistema di potere.

  4. @Eugenia: criticare da un divano o da una poltrona, come spesso avviene tra “compagni”, una manifestazione che esprime una rabbia, probabilmente generazionale o sociale o nichilista quanto vuoi, ma reale è ormai un vizio che ci trasciniamo da almeno 15 anni. Non è ora di pensare a costruire qualcosa di nuovo e smettere di avere questo bisogno costante di DISCUTERE TRA COMPAGNI SU CHI FA COSA?
    Ma soprattutto: perchè si pensa sempre che la propria opinione sia così interessante, significativa e unica da doverla diffondere sempre ai quattro venti? Un po’ di umità suvvia…

  5. Ho sbagliato parlando in modo sibillino di qualcosa che non posso spiegare in modo chiaro e comprensibile, a volte c’è molta spietatezza nel nostro piccolo universo: me ne scuso con chi è intervenuto e non ha capito bene di cosa parlavo, ma rassicuro Wesley sul fatto che io son tutto salvo una che fa politica in poltrona, sono una militante a tutti gli effetti e a tempo pieno: animo un centro sociale, un gruppo di educazione comunista e blocco gli sfratti con il mio comitato, faccio parte di una realtà antirazzista e antifascista che opera sul mio territorio contro il razzismo istituzionale e i fascio-leghisti, inoltre milito in una organizzazione della sinistra di classe, e se c’è da fare qualche picchetto fuori dalle fabbriche ci sono e scrivo articoli e volantini sui temi che più mi stanno a cuore, ti può bastare? Non capisco perché tu ti sia fatto un’idea così poco onorevole del mio impegno, le manifestazioni le critico solo quando ci sono stata ed è con i miei occhi che ho visto cosa è accaduto, peraltro indipendentemente da tutto, ed anche se li considero presuntuosi, io partecipo a tutte le collette con cene e quant’altro quando c’è bisogno di sostenere i compagni che hanno problemi con la “giustizia”. Sulla questione dell’umiltà non saprei come difendermi, dovrei cercare qualche aforisma, ma torno da una riunione fra compagni che vogliono cambiare il mondo e sono un po’ stanca!

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