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Niente velo in ospedale. Maroni, il solito fabbricante di paura

Sicurezza, la Lombardia vieta di indossare burqa e niqab negli ospedali. Delibera votata all’unanimità dalla Giunta Maroni. Branca, docente alla Cattolica: solo inutile demagogia

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MILANO – Negli ospedali e nelle strutture pubbliche della Regione Lombardia è vietato entrare con “caschi protettivi o qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona”. È quanto ha deciso oggi la Giunta Maroni con una delibera già ribattezzata come anti burqa e niqab, pur non essendo espressamente citati nel testo. “I gravi episodi di terrorismo che si sono verificati nelle ultime settimane ci hanno indotto a rafforzare le misure di sicurezza -spiega Simona Bordonali, assessore alla Sicurezza, che ha presentato la delibera-. La Regione Lombardia si muove in anticipo rispetto al governo italiano e interviene per quanto di propria competenza per garantire la sicurezza di dipendenti, operatori e visitatori esterni”.In particolare nelle premesse alla delibera, la Giunta Regionale scrive che “nel nostro Paese, molte aree soggette a possibile attacco sono individuabili anche all’interno del territorio lombardo: tra queste, le strutture pubbliche regionali, relativamente alle quali occorre elevare gli standard di sicurezza interni, onde fornire maggiori garanzie ai dipendenti, agli operatori e agli utenti esterni”. Secondo gli assessori lombardi, che all’unanimità hanno votato la delibera, è necessario pertanto “assicurare massima efficacia ai controlli, prevedendo, quindi, l’attuazione di misure idonee a precludere la possibilità, per chi accede e permane all’interno degli edifici in questione, di occultare, in vario modo, i propri connotati fisici e di celare la propria identità; le tradizioni o i costumi religiosi non possono rappresentare giustificati motivi di eccezione ai sensi dell’art 5 della legge 152/1975 rispetto alle esigenze di sicurezza all’Interno delle strutture regionali”.

È solo demagogia, si punta alla pancia e alle paure legittime delle persone, senza però risolvere nulla”. Per Paolo Branca, docente di lingua e letteratura araba all’Università Cattolica di Milano, la delibera con cui la Regione Lombardia ha deciso di vietare niqab e burqa a chi entra negli ospedali o luoghi pubblici è “anche un segno di debolezza, di poca libertà”. Con ripercussioni pratiche quasi nulle. “Personalmente non conosco nessuna donna in Lombardia che indossa il niqab o il burqa -aggiunge-. Non vedo quale risvolto possa avere. L’impressione è che si giochi sulla propaganda, ma senza incidere veramente sulla sicurezza”.

© Copyright Redattore Sociale

1 COMMENT

  1. Quando si parla di Islam i miei pensieri si contraddicono ancor prima che riesca ad esprimerli; ondeggio fra il disgusto dell’oppressione di genere, in alcune regioni della terra così terribile da poter tranquillamente essere definita un crimine contro l’umanità; e l’apprezzamento verso certe caratteristiche dell’Islam come la pratica dell’inibizione volontaria, la ricerca del piacere nella rinuncia, nell’abbandono, nella sottomissione assoluta che protegge l’anima e la mantiene pura. Per chi volesse capirmi meglio consiglio la lettura de “I sette pilastri della saggezza” di T. E. Lawrence capitolo I e III.
    Eppure il mondo ormai funziona con la stessa tecnica, la stessa logica, lo stesso fine. Le uniche finestre da cui si vedono altri panorami sono quelle antropologiche, quelle che corrono all’indietro, quelle che scoprono degli angoli nascosti in cui si trovano ancora modi di produzione in disfacimento, che in qualche modo, come storie notturne, corrono sottoterra, ristagnano in grotte gelide, risplendono fra rocce millenarie e ci danno il senso della vita prima che l’economia capitalistica barbaramente distruggesse le nostre vere ricchezze. Possiamo tornare indietro? Difficile da pensare, resta che nell’omogeneità delle forme di produzione i simboli e miti del passato rivestono ancora e sempre noi donne: custodi corpo e anima di un passato passato. La riflessione sul burqa o il niqab dovrebbe essere estesa per avere una certa valenza alla condizione della donna in generale: ai matrimoni forzati, alle spose bambine, alle mutilazioni genitali, che non può una sinistra comprensiva fino al suicidio chiamare come fa Anna Maria Rivera “modificazioni” genitali; la riflessione è poi ugualmente urgente sul nostro mito della bellezza, sulla chirurgia estetica, sulle diete ad oltranza, sull’emarginazione dei corpi non omologati all’immagine della performance … sulla pornografia, sulla pedopornografia, sulle pratiche sadomaso e l’elenco potrebbe continuare.
    Il corpo delle donne, fra occidente e oriente, come ultima frontiera della lotta fra sovrastrutture egemonizzanti di un sistema economico unico e totalizzante. Amen …

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