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COP21: l’accordo sul clima e le promesse che non vanno tradite

COP21: le ong non si esaltano per l’accordo sul clima di Parigi. Oxfam: «A pagare sono gli ultimi del mondo». Greenpeace «L’accordo è depotenziato». ActionAid: «Il testo non è abbastanza ambizioso»

di Giampaolo Martinotti

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L’accordo sul clima firmato il 12 dicembre dalle 195 delegazioni presenti alla COP21 di Parigi potrebbe entrare in vigore nel 2020 se ratificato dai 55 paesi firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il documento al momento può anche essere considerato come un passo avanti nella direzione del contrasto dei cambiamenti climatici, ma non rappresenta assolutamente la soluzione definitiva agli impatti catastrofici che questi ultimi potrebbero avere sui paesi più poveri del pianeta, come ha sottolineato l’Ong internazionale Oxfam.

Ecco quali sono in sostanza gli impegni presi, a partire dal 2020, contenuti nel documento approvato:

  • I firmatari hanno l’obbiettivo di mantenere l’aumento di temperatura entro i 2°C, impegnandosi se possibile a non oltrepassare gli 1,5°C.
  • Ogni 5 anni sono previste delle conferenze di revisione degli obbiettivi stabiliti. Il primo controllo avverrà nel 2023, dato che già dal 2018 dovrebbe essere richiesto ai paesi firmatari di tagliare le proprie emissioni.
  • I paesi di “vecchia” industrializzazione sono tenuti a destinare 100 miliardi di dollari all’anno, anche grazie alla partecipazione di investitori privati, per sviluppare a livello globale fonti e tecnologie per l’energia pulita e rinnovabile. Entro e non oltre il 2025 i fondi finanziari devono essere rielaborati.
  • Viene istituito un sistema di rimborso per le perdite finanziarie determinate dai cambiamenti climatici nei paesi più esposti al rischio di catastrofi naturali.

Secondo il climatologo Jean-Pascal Van Ypersele, vice presidente del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), “siamo sulla buona strada, ma le buone intenzioni non bastano, ci vogliono delle azioni sul terreno”. Gli impegni presi, in questo caso, sembrano davvero delle “buone intenzioni”, specialmente per quel che riguarda il primo di tutti gli obbiettivi. Sarà senz’altro complesso mantenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2°C, in particolar modo per il fatto che nell’accordo non siano presenti gli elementi sostanziali che obbligano i paesi firmatari al rispetto dello stesso. Il testo è dunque vincolante ma non contiene delle possibili sanzioni e questo naturalmente desta non poche perplessità tra gli ambientalisti e all’interno della comunità scientifica, come del resto le approssimazioni che riguardano l’autocertificazione della riduzione delle emissioni o la mancanza di norme inequivocabili che vadano a regolare gli opportuni controlli.

Anche la situazione che riguarda i finanziamenti è preoccupante. È importante considerare che la spesa militare mondiale nel 2014 è stata stimata intoro ai 1776 miliardi di dollari, un ammontare quasi 18 volte superiore a quello che dovrebbe essere stanziato per lo sviluppo delle energie pulite e rinnovabili nel mondo. Pare scontato che se negli anni a venire gli obbiettivi finanziari non saranno ritoccati notevolmente al rialzo sarà difficile intraprendere quelle azioni fondamentali necessarie per la riduzione adeguata dei pericolosi “gas serra”, tra i principali co-responsabili del surriscaldamento globale. Da queste risorse finanziarie, infatti, dipende la reale sopravvivenza di tanti paesi in via di sviluppo, che nella quasi totalità dei casi non sono certo i colpevoli della fragilissima fase nella quale ci troviamo.

Dopo aver aderito al documento in maniera unitaria, sarà molto importante se i più grandi inquinatori mondiali, l’Europa, gli Stati Uniti, la Cina e l’India, avranno la volontà di attivare un vero e proprio processo negoziale costante, al fine di riesaminare e migliorare l’accordo prima della sua entrata in vigore e prima che, come dichiarato da Naomi Klein, “passi come uno schiacciasassi su cruciali linee rosse fissate dalla scienza, dalla giustizia e dalla legalità”.

La Conferenza sul clima di Parigi in ogni caso ha consegnato al mondo intero almeno due certezze: il cambiamento climatico è una minaccia che incombe sul pianeta e, di conseguenza, sull’umanità; pertanto la necessità di ridurre le emissioni dei gas a effetto serra è oggi più che mai imperativa. Quando c’è in gioco il futuro del pianeta gli arresti arbitrari, la violenza poliziesca, i divieti antidemocratici e lo “stato d’emergenza” voluti dal “François Hollande di turno” non bastano a fermare la mobilitazione della società civile.

In questo senso, l’impegno della Coalition Climat 21 e della moltitudine di associazioni ambientaliste, movimenti, e Ong che ne fanno parte, quello delle forze politiche e sociali antiliberiste ed ecosocialiste, quello dei singoli cittadini più consapevoli, deve dare vita a un processo di unificazione delle lotte a livello internazionale. Per difendere il pianeta in maniera concreta oggi è essenziale contrapporsi senza ambiguità al degenero e alla violenza del sistema capitalista.

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