Già prima della nuova polizia di frontiera europea, l'”approccio hotspot” delle questure esclude i richiedenti asilo dall’accesso alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale
di Giovanna Vaccaro
Ci vorranno dei mesi perché possa vedere la luce l’inquietante proposta della Commissione europea – appena presentata al Parlamento di Strasburgo – di un’agenzia comunitaria di poliziotti di frontiera e di guardie costiere capace di agire autonomamente, anche senza il consenso degli stati interessati. Ma già quello che sta accadendo negli hotspot è gravissimo dal punto di vista della violazione dei diritti umani e della sua incompatibilità con i principi costiuzionali. Bruxelles chiede da tempo all’Italia anche «un’accelerazione» nel «dare cornice legale alle attività di hotspot, in particolare per permettere l’uso della forza per la raccolta delle impronte e prevedere di trattenere più a lungo i migranti che oppongono resistenza», come si legge in un rapporto della Commissione Ue sull’Italia.
Di giorno in giorno, divengono sempre più evidenti le gravi conseguenze dell’approccio “hotspot” previsto dalla “road map” delineata nell’agenda della Commissione Europea sull’immigrazione. Dietro a questi inglesismi (rispettivamente traducibili in “punto d’accesso” e “tabella di marcia”) con i quali si vorrebbe forse dare l’illusione di un paese al passo con i tempi, si nascondono violazioni dei diritti fondamentali attraverso le quali l’Italia sta tradendo i suoi principi costituzionali e la sua legislazione in materia di asilo; segnando di fatto, un passo indietro dello Stato di diritto.
Dalla fine di settembre, a Pozzallo, Catania, Palermo, Augusta e Agrigento, centinaia di migranti soccorsi in mare vengono raggiunti, a pochi giorni dal loro arrivo, da un provvedimento di respingimento e si ritrovano letteralmente sulla strada, privati di ogni diritto e senza la minima consapevolezza della loro condizione giuridica.
L’approccio hotspot, prevedendo l’identificazione dei migranti nei luoghi di arrivo, delega all’autorità di pubblica sicurezza l’individuazione di potenziali richiedenti asilo e quella di potenziali migranti economici. Non essendoci una procedura uniformemente definita, ciascuna questura si è dotata di criteri propri di valutazione, i quali risultano in ogni caso sommari, discrezionali e illegittimi perché in violazione con quanto previsto dalla legislazione in materia di protezione internazionale.
La selezione arbitraria effettuata nei luoghi di arrivo dalle questure siciliane supportate dagli agenti di Frontex, viene spesso fatta in relazione alle nazioni di provenienza dei migranti. Pare che l’Europa e l’Italia abbiano ormai la pretesa di valutare a priori quali siano i Paesi da considerarsi luoghi sicuri di provenienza, includendo nella lista anche quegli Stati che, come il Gambia, la Nigeria, il Mali e il Pakistan si trovano in piena destabilizzazione e sono piegati da terrorismo o dittature. Pare che Europa e Italia pensano forse, in questo modo, di potersi sottrarre dagli obblighi di protezione previsti dal diritto internazionale a favore di tutti coloro che non possono avvalersi delle garanzie di tutela nei loro paesi.
Altre questure, come quella di Ragusa e Siracusa, per identificare i migranti soccorsi in mare, ricorrono alla somministrazione di un questionario di pre-identificazione. Non è da trascurare il modo in cui sono espresse le varie voci nel formulario: se, infatti, i motivi come “lavoro” e ” ricongiungimento famigliare” sono chiaramente esplicitati; i motivi di fuga, persecuzione e rifugio sono invece riassunti nella generica voce “altro”. Così, succede che, nell’assenza di un’informativa legale che faccia comprendere le modalità e finalità del questionario, tanti migranti non riconoscano la loro condizione nella risposta “altro” e dichiarano così il motivo di lavoro, a prescindere da quale sia la ragione principale per cui hanno lasciato il loro Paese.
L’approccio hotspot risulta quindi illegittimo perché esclude di fatto potenziali richiedenti asilo dall’accesso alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale, impiegando criteri e strumenti che contrastano con la natura stessa del diritto d’asilo il quale, configurandosi nell’ordinamento nazionale come diritto soggettivo, andrebbe riconosciuto in relazione alla condizione individuale, e non certo in base alla nazionalità di provenienza.
Ma non solo. Tale approccio è in netta violazione anche con quanto prescritto dalla legislazione italiana relativa alle procedure di riconoscimento della protezione. Queste prevedono esplicitamente che l’esame della domanda d’asilo sia di competenza di una delle commissioni territoriali appositamente istituite, e non certo attraverso la compilazione di quiz somministrati dall’ autorità di pubblica sicurezza.
Ecco dunque come si traducono nella realtà le decisioni della Fortezza Europa in materia di immigrazione che sono state recepite diligentemente dall’Italia, a partire dallo scorso settembre, con l’entrata in vigore del decreto 142/2015 attuativo le direttive europee sull’accoglienza e sulle procedura di riconoscimento della protezione internazionale.
I migranti che, a causa di tali decisioni, ogni settimana vengono esclusi dalla procedura di protezione internazionale e quindi dall’accesso all’accoglienza, sono diverse centinaia e presto, se non si arginerà questo modus operandi, diventeranno migliaia.
Allarmante la situazione dei tanti minori che si ritrovano a vagare nei gruppi dei “respinti” perché, il più delle volte, al momento dello sbarco, vengono registrati come maggiorenni mentre altre, pur essendo registrati come minori, vengono comunque raggiunti da provvedimenti di espulsione. Questa pratica è in piena violazione con la garanzia di tutela che va garantita al minore.
Da settimane si susseguono gli appelli delle associazioni impegnate nel territorio siciliano affinché Questure e Prefetture mettano fine a tali prassi illegittime, lesive la dignità umana e i dei diritti fondamentali. Nel solo mese di ottobre, Borderline Sicilia ha pubblicato tre diversi comunicati per rendere pubbliche le gravi violazioni messe in atto nei diversi porti siciliani. E’ seguito il comunicato di Medici senza Frontiere sulla grave situazione a Pozzallo. L’associazione ha anche denunciato, nel rapporto presentato nelle scorse settimane alla Commissione Parlamentare d’ Inchiesta sull’accoglienza, le condizioni inaccettabili di questo Centro di Primo Soccorso e Accoglienza candidato a divenire uno dei 5 hotspot siciliani. Alle numerose segnalazioni fatte via via dalle grandi e piccole associazioni, si sono finalmente aggiunte anche quelle di organizzazioni umanitarie accreditate dal Ministero dell’Interno e incaricate di garantire l’informativa legale nei porti. Uscendo dal silenzio che ha, più volte, caratterizzato il loro operato in Sicilia (anche nelle situazioni limite come quella del Cara di Mineo) Unhcr e Save the Children hanno, di recente, pubblicamente espresso forti preoccupazioni per quanto sta avvenendo con le nuove procedure di identificazione e hanno raccontato che ai loro operatori viene permesso di entrare in contatto coi migranti solo nel momento successivo alla pre-identificazione. Unhcr ha esplicitamente parlato di violazione del diritto all’informativa. Questa denuncia si attendeva da tempo perché risulta evidente che, in un contesto come quello dello sbarco in cui possono arrivare diverse centinaia di persone, non ci possano essere le condizioni e i tempi per garantire un’adeguata informativa.
Le conseguenze delle nuove prassi amministrative non si ripercuotono negativamente solo sulle singole vite, ma anche sul contesto sociale: nelle città siciliane, sta in questo modo aumentando significativamente il numero dei senza fissa dimora.
Il respingimento differito è un provvedimento con cui il Questore intima lo straniero di raggiungere Roma e lasciare l’Italia, a sue spese, entro 7 giorni (e in alcuni casi, sempre nella logica della discrezionalità senza limiti, 5 giorni). Ordine che non può essere, per ovvie ragioni, ottemperato. In questo modo cresce il numero di coloro che, relegati in una situazione di irregolarità, si trovano a vivere per strada, senza un’idea di dove andare e come sopravvivere e, sono così destinati, a divenire facile preda della criminalità, dello sfruttamento, del lavoro nero e della tratta.
Nel quadro di questo sistema che non tutela le vulnerabilità ma le crea, ad essere violati non sono solo il diritto all’asilo, all’informativa, all’accoglienza e alla tutela. In un contesto in cui sono state azzerate le garanzie, può accadere anche che, come avviene da mesi ad Agrigento, la Prefettura emetta decreti di espulsione e revochi l’accoglienza a quei richiedenti asilo a cui è stata negata la protezione internazionale, prima che siano decorsi i tempi per l’impugnazione del provvedimento.
Ecco in questo quadro, saltare anche un altro tassello fondamento dello stato di diritto: il diritto alla difesa.