Intervista a Jeremy Corbyn, leader laburista britannico alla ricerca delle radici socialiste e contro la guerra del partito che fu di Tony Blair
Sono Amy Goodman di Democracy Now! Stiamo trasmettendo in diretta dalla COP21, la conferenza sul clima che si tiene a Parigi e siamo qui con Jeremy Corbyn, leader del Partito Laburista britannico.
Tre mesi fa Jeremy Corbyn ha scioccato il mondo quando è stato eletto leader del Partito Laburista britannico. E’ diventato il capo dell’opposizione e ha promesso di far tornare il partito alle sue radici socialiste, sostenendo la ri-nazionalizzazione dei traporti pubblici, l’università gratuita, il controllo degli affitti e un salario minimo nazionale per porre un tetto agli stipendi d’oro dei dirigenti. Corbyn si batte da anni per la pace ed è stato presidente della Stop the War Coalition. La settimana scorsa ha votato contro la proposta di bombardare la Siria avanzata dal Primo Ministro David Cameron. Un giorno prima del voto Cameron lo ha accusato di essere un simpatizzante dei terroristi per la sua opposizione ai bombardamenti.
Jeremy Corbyn, è fantastico essere qui con te.
Anch’io sono felice di essere qui con te, Amy.
Allora, come hai fatto?
Abbiamo lanciato una campagna per la leadership del Partito Laburista dopo la sconfitta elettorale di maggio. Ovviamente eravamo tutti molto tristi per questo. Sentivo che avevamo perso per varie ragioni, tra cui il fatto che non offrivamo un programma abbastanza radicale come alternativa alle misure di austerity sostenute dal governo conservatore e liberal-democratico. Alcuni colleghi parlamentari e molta gente al di fuori mi hanno chiesto se ero disposto a partecipare alle elezioni interne. Ho risposto che lo ero. All’inizio i mass-media ci hanno completamente ignorato. In pratica ci davano una probabilità di 200 a uno, dunque era un buon investimento.
Abbiamo lanciato la nostra campagna partecipando a dibattiti pubblici a Hastings e poi viaggiando per tutto il paese. Abbiamo tenuto centinaia di eventi in città e cittadine in tutta la Gran Bretagna e un sacco di gente si è messa insieme – giovani, vecchi, gente di tutti i tipi. E il sostegno è cresciuto, perché quello che offrivamo era un’apertura nella politica. Il risultato lo conosci. Abbiamo vinto con il 60% dei voti, l’esito più alto mai raggiunto in un’elezione interna in Gran Bretagna. I membri del Partito Laburista ora sono 400.000, ossia in sei mesi sono più che raddoppiati, dunque è stato un periodo interessante.
C’è appena stata una votazione importante sui bombardamenti in Siria e tu hai perso. Alcuni parlamentari del tuo partito hanno votato a favore e altri contro. Tu eri contro. Cosa ne pensi? Subito dopo il voto la Gran Bretagna ha lanciato i primi attacchi aerei.
Sono in Parlamento dal 1983 e nel corso degli anni sono stati coinvolto in molte questioni. Noi ci siamo conosciuti nel 2003, quando mi opponevo alla guerra in Iraq. Quello che è successo a Parigi è orribile, vergognoso e rivoltante. Oggi pomeriggio sono stato in uno dei locali attaccati e ho firmato un libro di commemorazione. La risposta a tutto questo è bombardare la Siria, o avviare e velocizzare il dialogo politico, che in fin dei conti è l’unica cosa che potrà portare la pace nel paese? Io sono a favore del dialogo, non dell’intervento militare.
Sapevo che questo era un tema difficile nel Parlamento britannico e anche all’interno del mio partito. Io sono un leader, non un dittatore. Voglio persuadere gli altri, non minacciarli o controllarli e così ho dato libertà di voto a tutti i nostri parlamentari e ho anche deciso di consultare il pubblico. Ho scritto una mail ai 400.000 iscritti al partito: abbiamo avuto un’enorme risposta e il 75% si è espresso contro i bombardamenti. Ho invitato i membri del nostro gruppo parlamentare a votare contro e il 60% lo ha fatto, mentre un numero più esiguo ha votato a favore. All’interno del mio Governo Ombra la maggioranza ha votato contro i bombardamenti. Spero che questo venga visto come un segno che il Partito Laburista cerca soluzioni pacifiche ai problemi del mondo. E comunque chiederemo conto al governo della sua scelta. So che il voto non è andato come volevo e che poche ore dopo sono cominciati i bombardamenti.
Quale potrebbe essere una soluzione diplomatica?
Ecco un’immagine: i colloqui di pace di Vienna coinvolgono il governo della Siria e dei paesi vicini – l’Iran, l’Iraq, la Turchia e naturalmente la Giordania, i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, la Russia, l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Non sarà facile, ma vogliamo infilarci in una guerra per procura tra tutti questi gruppi in competizione tra loro, in quella che è già una guerra civile a quattro mani, o possiamo portarli a concordare almeno un cessate il fuoco e un reale isolamento dell’Isis per quanto riguarda i suoi finanziamenti, le armi e il modo in cui vende il suo petrolio?
Parliamo del ruolo dell’Arabia Saudita.
Sono preoccupato dell’enorme vendita di armi nella regione, soprattutto all’Arabia Saudita e ho anche sollevato in varie occasioni il tema dei diritti umani in questo paese. In settembre, nel mio discorso al congresso annuale del partito a Brighton, ho parlato dell’offerta di servizi avanzata dal nostro Ministero della Giustizia all’Arabia Saudita e della condanna a morte di Mohammed al-Nimr, un ragazzo colpevole solo di aver partecipato a una protesta. Quel discorso e il brillante lavoro di moltissima altra gente – non solo il mio – ha contribuito a far sì che la Gran Bretagna ritirasse la sua offerta. Un anziano cittadino britannico che era in prigione in Arabia Saudita è stato liberato e altri non sono stati giustiziati. Dobbiamo continuare a esercitare pressione.
Sono anche preoccupato della fonte dell’appoggio finanziario all’Isis, così ho chiesto al nostro governo e a tutti gli altri: indagate sul sistema bancario. Chi sta riciclando questo denaro? Esaminate le etichette dei fabbricanti delle armi usate dall’Isis. Non vengono dal nulla, qualcuno gliele vende. E guardate anche come trattiamo le comunità nel mondo, in modo da isolare l’Isis ma non prendercela con i musulmani e con altre comunità. L’anti-semitismo, l’islamofobia e il razzismo fanno tutti parte dello stesso livello di intolleranza. Dobbiamo opporci a queste manifestazioni e unire le comunità.
Il Primo Ministro David Cameron ti ha definite un “simpatizzante terrorista” per la tua opposizione ai bombardamenti e tu hai chiesto le sue scuse.
Gliele ho chieste molte volte, mi sono perfino fermato durante il mio discorso in Parlamento, dicendogli: “Primo Ministro, non è il momento per questo tipo di commenti. Può per favore scusarsi? Non solo con me, ma con tutta la gente che ha la mia stessa opinione.” Lui si è rifiutato. La gente giudicherà da sola. Io voglio un mondo di pace. Non mi interessano le bombe. Non mi interessano le guerre. Mi interessa la pace e penso che fare commenti come quello sminuisca la sua carica.
Hai la stessa posizione di Tony Blair, che ha fatto una specie di mea culpa riguardo all’invasione dell’Iraq. Guardiamo lo spezzone dell’intervista che gli è stata fatta su questo tema.
[FAREED ZAKARIA: Molti ritengono l’invasione dell’Iraq una delle cause principali della crescita dell’Isis. Cosa risponde?
TONY BLAIR: Rispondo che ci sono degli elementi di verità, ma anche che dobbiamo stare molto attenti, altrimenti c’è il rischio di fraintendere ciò che sta succedendo oggi in Iraq e Siria. Naturalmente non possiamo dire che quelli di noi che nel 2003 hanno abbattuto Saddam non sono responsabili della situazione del 2015.]
Questa era la risposta di Tony Blair alla domanda di Fareed Zakaria della CNN sul legame tra l’Isis e l’invasione dell’Iraq. Cosa ne pensi?
Penso che sia interessante. Ero in totale disaccord con Tony Blair, quando era leader del mio partito e Primo Ministro, soprattutto sulla questione dell’Iraq. Ed è interessante che nella sua intervista con la CNN ammetta che uno degli effetti della guerra in Iraq è stata la crescita di forze irrazionali come l’Isis. Il Presidente Obama ha affermato qualcosa di simile parlando degli effetti a lungo termine di ciò che è successo in tutta la regione fin dalla guerra in Iraq. Io credo che dobbiamo ricordarci non solo dell’Afghanistan e dell’Iraq, ma anche della Libia. L’Occidente ha bombardato la Libia per proteggere gli abitanti di Bengasi da una supposta, immediata minaccia posta dalle forze del Colonnello Gheddafi e poi i bombardamenti si sono estesi a tutto il paese. Tutte le infrastrutture sono state distrutte, tutto il sistema di governo è stato distrutto e ora abbiamo un enorme paese dominato da varie fazioni in lotta tra di loro, che costituisce un problema costante per tutta la regione, per la Tunisia e gli altri paesi circostanti. L’Occidente ha deciso questa politica, così come dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003 ha intrapreso una politica di de-baatificazione che ha distrutto tutte le normali strutture della società civile. Ci sono voluti più di dieci anni per ricostruirle e ancora non è finita.
Secondo l’Independent, un generale anonimo ha affermato che se tu diventassi Primo Ministro le forze armate si ammutinerebbero.
Ho chiesto di sapere da chi veniva questa dichiarazione, ma non c’è stata risposta. Ho scritto al Segretario di Stato per la Difesa per chiedergli di ricordare a tutti che viviamo in una democrazia, in cui i membri del Parlamento vengono eletti e i governi eletti e formati per guidare il paese secondo un mandato democratico. Questo mandato deve essere riconosciuto da tutti quelli che lavorano nel settore pubblico, compresi i generali.
Durante un’intervista con la BBC ti è stato chiesto se avresti mai sganciato una bomba nucleare. Tu hai risposto di no e questo ha suscitato molte controversie. Puoi approfondire questo tema?
Ho passato tutta la vita a oppormi alle armi nucleari. Quando mi hanno chiesto se le avrei usate, ho dato la risposta che tutti si aspettavano da me. E’ così che la penso.
Hai partecipato per molti anni alla Stop the War Coalition insieme al defunto Tony Benn. Come ti sei sentito quando suo figlio Hilary ha appoggiato in Parlamento il bombardamento della Siria?
Tony Benn e io siamo stati molto vicini per trenta, quarant’anni. Parlavamo molto ed eravamo grandi amici. Sono stato con lui poco prima che morisse, discutendo delle prospettive del mondo e della pace. Sono molto triste che non ci sia più. Mi ha insegnato molto. Ha insegnato molto a tanta altra gente. E ha fatto qualcosa che io non ho mai fatto: tenere un diario di tutto ciò che faceva e da cui aveva imparato. Forse dovrei imitarlo. Non credo che si debbano tirare in ballo i rapporti di famiglia. Ognuno decide per conto suo e io non voglio impegolarmi in questo tipo di discussioni.
Traduzione dall’inglese di Anna Polo
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