Blackstar. Il regalo di addio di Bowie, l’uomo che trasformò la propria morte in arte. Brano per brano, tutto quello che avreste voluto sapere sull’ultimo album di David Bowie
di Danilo Lollobrigida
Ho un dramma, che non può essere rubato. Tutti mi conoscono ora.
Guarda qui, amico, sono in pericolo. Non mi è rimasto nulla da perdere.”
“Lo sai, sarò libero. Proprio come quell’uccellino azzurro. Ora non è proprio come me?”
(da Lazarus di David Bowie)
L’8 gennaio, giorno del sessantanovesimo compleanno, due giorni prima di morire, David Bowie ha pubblicato Blackstar, il suo ultimo album da studio. Un’opera di art rock molto bella e originale, dotata di liriche oscure e apparentemente impenetrabili, immersa in atmosfere angosciose e nelle dissonanze sonore, ma anche permeata di dolcissima struggente malinconia e impreziosita dai ricami sonori di musicisti jazz d’avanguardia. Un album preceduto dai due singoli Blackstar e Lazarus e dai loro video criptici e disturbanti. Due giorni dopo l’uscita dell’album, la drammatica notizia del decesso del grande artista, che ha lasciato costernati tanti appassionati, e la scoperta che Bowie era malato di cancro da un anno e mezzo e che aveva volutamente realizzato Blackstar come ultimo dono ai propri fan. Riesaminando dopo la scomparsa dell’artista i testi e i video delle canzoni, si è compreso che Bowie vi aveva inserito numerosi riferimenti alla sua prossima morte e aveva persino programmato l’uscita dell’album in una data presumibilmente vicina a quella della propria fine. Un ultimo drammatico e riuscitissimo virtuosismo artistico, un colpo di teatro da performance art, tramite il quale il Duca Bianco ha direttamente interconnesso la propria morte con la propria ultima rappresentazione artistica.
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“Ha sempre fatto quello che voleva fare. E voleva farlo a modo suo e voleva farlo nel modo migliore. La sua morte non era differente dalla sua vita – un’opera d’arte. Ha fatto Blackstar per noi, il suo regalo di addio. Sapevo da un anno che questo sarebbe stato il modo in cui sarebbe avvenuto. Non ero, tuttavia, preparato per questo. E’ stato un uomo straordinario, pieno di amore e di vita. Sarà sempre con noi. Per ora, è opportuno piangere.”
E’ quanto ha scritto Tony Visconti, produttore di Blackstar e storico amico di Bowie, sul proprio profilo Facebook la mattina dell’11 gennaio, poco dopo l’annuncio ufficiale della morte dell’artista inglese, avvenuta nella notte del 10 gennaio nella sua casa di New York, per le conseguenze di un cancro di cui era affetto da 18 mesi.
Sapendo di essere malato terminale, Bowie ha consapevolmente trascorso i mesi finali della propria esistenza nel completare i suoi ultimi progetti, che sono così diventati una sorta di testamento artistico: Il musical teatrale Lazarus, scritto assieme a Enda Walsh, basato su molte canzoni del suo repertorio e su qualche brano nuovo, e l’album Blackstar, prodotto assieme al fedele amico Tony Visconti.
Poco meno di tre anni fa venne pubblicato, a sorpresa, dopo 10 anni di silenzio discografico, The Next Day, l’album del grande ritorno, bello, variegato, composto da molti brani (14 nella versione base, 17 in quella De Luxe, 22 + 2 remix in quella Extra) e di ottimo successo di pubblico e di critica. Un’opera nella quale hanno suonato diversi musicisti che avevano precedentemente accompagnato Bowie nella lunghissima tournee mondiale iniziata dieci anni prima e terminata bruscamente in Germania il 25 giugno 2004 con l’infarto al termine dello show del cantante, all’epoca cinquantasettenne, e l’immediata operazione di angioplastica che gli ha salvato la vita. Da tale data fino all’8 gennaio 2013, giorno di uscita del singolo Were Are We Now, la storia artistica di Bowie si era nei fatti interrotta e lui si era quasi eclissato. Per circa dieci anni nessun nuovo disco e nessun concerto, se non la rara partecipazione come ospite a concerti di altri artisti: una canzone a un concerto degli Arcade Fire nel settembre 2005, due canzoni a un concerto di David Gilmour del maggio 2006 e infine, in quella che è stata l’ultima presenza sul palco di Bowie, le tre canzoni cantate il 9 novembre 2006 a un concerto di Alicia Keys. Più volte in quegli anni era girata la notizia che fosse molto malato, se non in fin di vita. Ma ogni volta lui riappariva a qualche evento pubblico in smaglianti condizioni di forma.
Dopo aver sorpreso tutti con The Next Day, Bowie ha giocato le sue abili mosse promozionali anche per il nuovo Blackstar, generando prima sorpresa con l’annuncio di un nuovo album, comunicato il 25 ottobre scorso, e poi ha generato attesa per l’uscita della nuova opera. L’album è stato anticipato da due singoli, Blackstar, pubblicato il 20 novembre e accompagnato da un video oscuro e straniante diretto dallo svedese Johan Renck, e Lazarus pubblicato il 17 dicembre per la parte audio e in seguito accompagnato da un video altrettanto straniante diretto dallo stesso regista, pubblicato il 7 gennaio, il giorno prima dell’uscita dell’album e tre giorni prima della morte dell’artista.
Con questo prodotto finale la discografia del musicista britannico ha raggiunto il ragguardevole numero di 29 album da studio pubblicati nel corso di 52 anni di eccezionale carriera musicale, comprendendo in tale elenco, oltre a 26 album propriamente solisti, anche la colonna sonora del film fantasy Labyrinth uscita nel 1986, per metà realizzata da Bowie e per metà dal compositore Trevor Jones, e i due album realizzati con i Tin Machine nel 1989 e nel 1991. La gigantesca discografia di Bowie è inoltre completata da numerose ristampe e antologie, dagli album live ufficiali e dalle centinaia di bootleg (registrazioni pirata) di concerti live, che coprono quasi integralmente l’intensa vita concertistica di questo straordinario artista.
L’ALBUM DELLA STELLA NERA
Rappresentato graficamente da una stella nera ★ e dotato di un design grafico elegante e originale, opera di Jonathan Barnbrook, stesso autore delle copertine dei precedenti 3 album. Blackstar è stato pubblicato in vinile con copertina nera e in CD con copertina bianca, oltre che in formato digitale (nel quale viene anche incluso il video del singolo Blackstar). L’album include solo 7 brani e ripropone la lunghezza abituale dei vecchi dischi in vinile, con poco meno di 41 minuti di musica.
Come quasi sempre accade negli album di Bowie, il contenuto si presenta originale e diverso dalla precedente produzione, ma al tempo stesso mantiene lo stile tipico dell’autore inglese. Come per i precedenti album Heaten, Reality e The Next Day, la produzione e il missaggio del disco sono condivisi tra Bowie e il vecchio amico e storico produttore newyorkese Tony Visconti, con il quale Bowie collabora, seppure saltuariamente, dal lontano 1967. Visconti è stato anche il tecnico del suono dell’album.
La scelta dei musicisti è stata fondamentale per determinare il nuovo stile del disco. David è notoriamente un maestro nel trovare i musicisti più adatti alla sua espressione artistica del momento. Per Blackstarla scelta è stata coerente con quanto compiuto per Sue (or in a Season of Crime), singolo uscito nel novembre 2014, incluso anche nell’antologia Nothing Has Changed, composto e realizzato in collaborazione con la Maria Schneider Orchestra. Anche in Blackstarsuonano jazzisti statunitensi di avanguardia, tre dei quali già facenti parte dell’orchestra di Maria Schneider nel singolo Sue: Donny McCaslin ai sax, al flauto e ai fiati, Mark Guiliana alla batteria e percussioni e Ben Monder alle chitarre. Oltre a loro hanno partecipato Tim Lefebvre al basso e Jason Lindner al piano, organo e tastiere. Hanno suonato anche il produttore Tony Visconti agli archi e il tecnico del suono Erin Tonkon come corista in ‘Tis a Pity She Was a Whore. Ha inoltre suonato le percussioni in Sue e in Girl Loves Me James Murphy, fondatore dei LCD Soundsystem. Da quanto emerso dalle interviste fatte a Visconti, McCaslin e Guiliana, il progetto iniziale del disco prevedeva la presenza di Murphy come produttore a fianco di Bowie e Visconti, ma poi la sua presenza si è limitata al suonare le percussioni in un paio di brani.
Bowie non rilasciava interviste da oltre 10 anni, quindi le informazioni sulla realizzazione dell’album sono arrivate esclusivamente dalle interviste rilasciate nelle settimane precedenti l’uscita del disco da Visconti, McCaslin e Guiliana.
McCaslin ha raccontato che nella primavera del 2014 Bowie venne a vedere un concerto del suo gruppo al 55 Bar, famoso jazz club del West Village di New York, dietro segnalazione della jazzista Maria Schneider. Al termine dello show Bowie andò via senza parlare con la band, ma in seguito contattò McCaslin via email proponendo una collaborazione a lui e al batterista Guiliana.
Seguirono le registrazioni per il singolo Sue, effettuate nell’agosto 2014 assieme alla grande orchestra di Maria Schneider.
Quanto a Visconti, egli ha raccontato che per Blackstar Bowie aveva inizialmente inciso a metà 2014 una serie di demo di nuove canzoni, assieme al batterista Zachary Alford e allo stesso Visconti. Ha successivamente elaborato il materiale per diversi mesi nel proprio studio casalingo. Verso dicembre 2014 Bowie si è ripresentato in studio di registrazione con una ristretta selezione di brani da lui composta e selezionata, proponendo a Visconti e ai musicisti jazz di rielaborare insieme il tutto e di incidere il disco.
«Ascoltavamo parecchio Kendrick Lamar», dice Visconti. «Il risultato non c’entra niente con il suo lavoro, ma ci è piaciuto molto il fatto che Kendrick sia stato così aperto mentalmente e che non abbia fatto un vero album hip-hop. Ha messo dentro qualsiasi cosa, ed è esattamente quello che volevamo fare. L’obiettivo era di evitare in ogni modo il rock & roll».
Per Blackstar Bowie ha però compiuto una scelta radicalmente diversa da quanto fatto per il singolo Sue, invece di percorrere composizioni e arrangiamenti tipicamente jazz come per tale singolo, l’artista inglese ha scelto di utilizzare i musicisti jazz fuori contesto, facendogli suonare partiture rock, ma lasciando loro lo spazio creativo ed esecutivo per esprimere la propria anima jazzistica. Il risultato ha creato un originale ed efficace contrasto tra composizioni art rock e il jazz di avanguardia.
Bowie ha elaborato e miscelato, attraverso il proprio inconfondibile stile, un riuscito cocktail dalle ispirazioni e sensazioni molto diverse. Nell’album si dipanano melodie vocali malinconiche e struggenti, immerse in un ricco ambiente di elettronica art rock. La voce di Bowie, intensissima, domina il disco, e ovunque si ascoltano un fantastico tappeto percussivo e bellissimi fraseggi solisti jazz, con particolare rilevanza per il sax di McCaslin.
Anche se nessuna delle sette canzoni realizzate è classificabile come jazz, appare ovunque evidente l’anima jazzistica di chi vi suona: nei fraseggi, negli accordi e negli abbellimenti. La combinazione di generi offre a tratti anche sensazioni di ambientazioni progressive. In particolare la modalità d’uso del sax sulla base rock rammenta alcune sonorità dei Van Der Graaf Generator e forse anche qualcosa dei Morphine del compianto Mark Sandman. La sensazione viene poi accentuata nelle canzoni in cui Bowie adotta uno stile vocale che un poco ricorda quello caratteristico del grande Peter Hammill, leader e cantante dei Van Der Graaf. Le atmosfere scure ricordano quelle di album di Bowie come The Man Who Sold the World e Outside, ma Blackstar risulta musicalmente piuttosto diverso da quanto Bowie ha realizzato in precedenza.
BLACKSTAR
Il disco si apre con la title track Blackstar. Pubblicato come singolo il 20 novembre, è senza dubbio il singolo più lungo della carriera di Bowie (eccetto versioni remix), durando poco meno di 10 minuti. Tony Visconti ha rivelato che in origine si trattava di due canzoni separate, che David e Tony hanno deciso di fondere assieme, ricavandone un brano elaborato della durata di oltre 11 minuti, che è stato successivamente accorciato in fase di missaggio a 9 minuti e 57 secondi quando si è scoperto che iTunes per propri limiti tecnici non consentiva di postare brani superiori ai 10 minuti.
Blackstar inizia con un delicato arpeggio di chitarra, seguita dal flauto, poi dall’attacco di una splendida batteria e dalla voce raddoppiata di Bowie, intenta a dipanare una dolce e sinuosa melodia. Un tappeto di tastiere e basso crea un’atmosfera inquietante e un po’ arabeggiante, interviene il primo assolo jazz del sax, poi riprende la melodia principale e dopo poco il brano sembra spegnersi e terminare lentamente. Invece entra improvvisamente una tastiera dal suono celestiale, che introduce una diversa e dolcissima melodia, nella quale la voce di Bowie viene intervallata da un coretto che intervalla la frase “I’m a Blackstar” alle oscure liriche della canzone. Dopo di che il brano cambia ancora e torna la melodia precedente, ma con un’atmosfera meno angosciosa, e con una batteria meno incalzante, il brano si chiude lentamente tra suoni elettronici e fraseggi free jazz del flauto. Un brano splendido, degno di confrontarsi con i precedenti capolavori di Bowie.
L’oscuro testo della canzone, ricorda alcune atmosfere di The Width of the Circle da The Man Who Sold The World. Rileggendolo dopo la morte di Bowie, offre varie interpretazioni:
Nella villa di Ormen, nella villa di Ormen
sorge una candela solitaria
Al centro di tutto, al centro di tutto
i tuoi occhi
Nel giorno dell’esecuzione, nel giorno dell’esecuzione,
solo le donne si inginocchiano e sorridono
Al centro di tutto, al centro di tutto,
i tuoi occhi, i tuoi occhi
Nella villa di Ormen, nella villa di Ormen
sorge una candela solitaria
Al centro di tutto, al centro di tutto
i tuoi occhi
Accadde qualcosa nel giorno in cui morì
Lo spirito si alzò di un metro e si fece da parte
Qualcun altro prese il suo posto e urlò coraggiosamente
(Sono una stella nera, sono una stella nera)
Quante volte cade un angelo?
Quante persone mentono invece di parlare chiaro?
Calpestò un terreno sacro, gridò forte nella folla
(Sono una stella nera, sono una stella nera, non sono un membro della banda)
Non posso rispondere perché (sono una stella nera)
Basta andare con me (non sono una stella del cinema)
Ti porterò a casa (sono una stella nera)
Prendi il tuo passaporto e le scarpe (non sono una popstar)
E anche i tuoi sedativi (sono una stella nera)
Sei un fuoco di paglia (non sono una stella meraviglia)
Sto alla grande io sono (sono una stella nera)
Sono una stella nera, salendo, sul denaro, ho gioco
Vedo bene, così lontano, tanto dolore a cuore aperto
Voglio aquile nei miei sogni a occhi aperti, diamanti nei miei occhi
(Sono una stella nera, sono una stella nera)
Accadde qualcosa nel giorno in cui morì
Lo spirito si alzò di un metro e si fece da parte
Qualcun altro prese il suo posto e urlò coraggiosamente
(Sono una stella nera, sono la stella di una stella, sono una stella nera)
Non posso rispondere perché (non sono un membro della banda)
Ma posso dirti come (non sono una stella dell’inganno).
Siamo nati sottosopra (sono una stella di una stella)
Nati nel modo sbagliato (non sono una stella bianca)
(Sono una stella nera, non sono un membro di una banda
Sono una stella nera, sono una stella nera
Non sono una pornostar, non sono una stella vagante
Sono una stella nera, sono una stella nera)
Nella villa di Ormen sorge una candela solitaria
Al centro di tutto, i tuoi occhi
Nel giorno dell’esecuzione, solo le donne si inginocchiano e sorridono
Al centro di tutto, i tuoi occhi, i tuoi occhi.
Il video della canzone è piuttosto impressionante e poco comprensibile, pieno di suggestioni esoteriche. Segnali di angoscia, di morte e di decadenza lo dominano. La candela, il teschio nella tuta dell’astronauta, l’inquietante cerimonia pagana che sembra una sorta di sepoltura, i balletto da zombi o da posseduti, Bowie con quelle bende inquietanti sugli occhi, ancora Bowie a mostrare il libro con in copertina la stella nera, una sorta di bibbia nera. Il tutto costantemente immerso nella luce oscurata della stella nera.
‘TIS PITY SHE WAS A WHORE
La prima canzone dell’album viene seguita immediatamente, senza soste, dal secondo brano ‘Tis Pity She Was a Whore, canzone dissonante non di facile ascolto, già pubblicata come lato B del singolo Sue, qui completamente riarrangiata, risulta molto più bella della precedente versione. Vi domina come sempre l’interpretazione di Bowie, che qui ricorda un po’ Bryan Ferry, che sulla base del coro, delle tastiere e della batteria canta una melodia malinconica, contrastata dalle stridenti dissonanze di fantastici sax jazzati. Il titolo è preso da una tragedia inglese del ‘600, scritta da John Ford ed ambientata in Italia. Ma non mi sembra che, a parte il titolo, la canzone faccia alcun riferimento a tale testo.
LAZARUS
Inizia subito la lenta e struggente melodia di Lazarus, unico brano del disco facente parte della colonna sonora del musical omonimo. Introdotta dall’arpeggio stoppato di chitarra, poi il basso, dei sax evocativi e la dolcissima voce di Bowie, a tratti intervallata dal twang di una chitarra in stile Badalamenti (o Morricone). Dopo uno struggente e bellissimo solo di sax, il brano di chiude con l’arpeggio stoppato della chitarra e i twang ripetuti alla Twin Peaks. Il testo, dopo la morte di Bowie, colpisce al cuore:
Guarda qui, sono in cielo
Ho cicatrici che non possono essere viste
Ho un dramma, che non può essere rubato
Tutti mi conoscono ora
Guarda qui, amico, sono in pericolo
Non mi è rimasto nulla da perdere
Sono così in alto che mi fa turbinare il cervello
Mi è caduto il cellulare giù in basso
Non è proprio come me?
Con il tempo sono stato a New York
Vivevo come un re
Poi usai tutto il mio denaro
Stavo cercando il tuo culo
In questo modo o in nessun modo
Lo sai, sarò libero
Proprio come quell’uccellino azzurro
Ora non è proprio come me?
Oh sarò libero
Proprio come quell’uccellino azzurro
Non è proprio come me?
Guardare Il video della canzone Lazarus è davvero devastante. Bowie vi appare invecchiato e ischeletrito nel volto e nel corpo, ricorda Freddy Mercury nel suo ultimo video. L’artista vi interpreta il suo ultimo personaggio, Lazzaro, colui che è risorto dalla propria morte. Si mostra steso su un letto di ospedale, dal quale non riesce ad alzarsi, gli occhi coperti dalle stesse bende inquietanti del video precedente. Poi Bowie/Lazzaro appare impegnato a riflettere su cosa fare e subito dopo a scrivere furiosamente qualcosa, come per voler disperatamente lasciare un ultimo messaggio. Il video termina con Bowie che entra in un armadio e ne chiude le ante. Una metafora sepolcrale fin troppo evidente, ora.
SUE (OR IN A SEASON’S OF CRIME)
Un momento di silenzio nel disco, poi attacca Sue (or in a Season’s of Crime), anch’essa già pubblicata alla fine del 2014 come singolo e anche inclusa nell’antologia Nothing Has Changed. Anche in questo caso l’arrangiamento è completamente riscritto. Se la versione originale è un fantastico brano pienamente jazzistico, suonato da una grande orchestra, in questa nuova versione Bowie la trasforma in una sorta di drum & bass dominato dai suoni elettronici e dalla batteria. La canzone mantiene il suo fascino dark e resta un bel brano, inoltre con questo arrangiamento è certamente più coerente con le sonorità e le atmosfere degli altri pezzi del disco, ma la magnifica versione originale con l’orchestra di Maria Schneider rimane di tutt’altro livello.
GIRL LOVES ME
Senza soste si avvia subito Girl Loves Me, lenta e struggente, dominata dal virtuosismo vocale di David, la cui voce è sostenuta da basso, batteria e tastiere, con momenti dolcissimi e un ritornello malinconico e decadente che un po’ ricorda le atmosfere presenti nel vecchio album The Man Who Sold the World.
DOLLAR DAYS
Dopo questo brano, le atmosfere angosciose si placano e si introduce la dolce e struggente Dollar Days, il brano più melodico e tradizionale dell’album, introdotto da chitarra e basso, viene impreziosito dagli splendidi fraseggi del sax di McCaslin. Il brano si chiude con la voce in dissolvenza e con un tappeto di tastiere e chitarra.
I CAN’T GIVE EVERYTHING AWAY
Una percussione elettronica collega il brano con la successiva I Can’t Give Everything Away, altrettanto dolce e malinconica e molto bella, introdotta dal suono di un’armonica simile a quello della disprezzata Never Let Me Down, dall’album omonimo del ’87. La canzone conclusiva di Blackstar viene presentata vocalmente da Bowie con grande dolcezza ed eleganza. Verso la fine, mentre Bowie ripete incessantemente: “Non posso dare via tutto”, emergono gli splendidi assoli prima del sax e poi quello conclusivo di chitarra, un dolcissimo fraseggio di note legate e sostenute, nello stile di Robert Fripp. Il brano si spegne lentamente, con le ultime note di chitarra e tastiere.
IL LUNGO ADDIO
Così ha termine l’ultimo album e la storia artistica di David Bowie.
L’album è molto intenso e molto bello, migliore del precedente The Next Day, che però risulta più facile all’ascolto.
Essendo il livello qualitativo della discografia del Duca Bianco straordinariamente alto, è difficile giudicare se Blackstar sarà mai considerato uno degli album capolavoro di David Bowie. Forse no, anche se la title track merita un posto tra le sue opere migliori.
Però, certamente, questo scuro, triste e bellissimo album della Stella Nera resterà per sempre il disco di Bowie più emozionante, che lascerà in chi l’ascolta una profonda sensazione di vuoto e una tristezza struggente, per l’incolmabile sensazione di assenza di un meraviglioso artista. David ha scritto la colonna sonora della nostra vita e ci mancherà moltissimo.