Mentre Usa e Turchia sono pronte a un intervento di terra in Siria, l’Europa lucida le armi e aspetta un invito ‘ufficiale’ per attaccare la Libia. L’Italia si prepara ad intervenire al fianco della NATO
di Giampaolo Martinotti
Era il 19 marzo del 2011 quando Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, forti della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, decidevano di attaccare la Libia di Muammar Gheddafi, con l’aiuto dell’Italia, al fianco dei ribelli. Andava così in frantumi la fragile unità nazionale che per una quarantina d’anni, e in maniera senz’altro controversa, il nostro istrionico amico investitore aveva saputo garantire al pease.
I colpi della ‘democrazia esportata a suon di bombe’, ancora una volta, avevano rotto gli equilibri tra quella miriade di tribù, e relative milizie, divise da rivalità secolari. Dopo cinque anni di conflitto assistiamo oggi alla drammatica situazione nella quale il popolo libico è stato trascinato dagli interessi imperialisti e dalle indecisioni e dagli egoismi della politica: i combattimenti tra le varie fazioni locali e l’avanzata dell’Isis sono le conseguenze dirette di tali atteggiamenti.
Proprio in questi giorni però Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti, i principali paesi NATO, erano in attesa di ‘buone notizie’ sul fronte politico libico: il parlamento di Tobruk, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, oggi avrebbe dovuto promuovere un governo di unità nazionale in grado di consentire un’azione militare internazionale ‘indispensabile’ per stabilizzare il paese. La votazione però è risultata negativa, e si dovrà aspettare una massimo di sette giorni prima di avere un nuovo esecutivo con il quale discutere.
Infatti, mentre le forze speciali statunitensi già presenti sul territorio continuano i preparativi, un prossimo intervento congiunto delle forze NATO, autorizzato dall’ONU, potrà materializzarsi solo dopo una esplicita richiesta di aiuto da parte del governo libico, come recita la risoluzione 2259. O forse chissà, anche senza, se quest’ultima tardasse troppo ad arrivare. In tutti i casi, una volta instaurato a Tobruk, ogni singolo paese potrà contrattare la sua azione militare al di fuori delle varie organizzazioni direttamente con il nuovo governo fantoccio.
La Libia è frammentata, sconvolta da innumerevoli conflitti armati e minacciata pesantemente dai jihadisti di Daesh: in queste condizioni diventa molto difficile per i governi europei regolare il flusso di migranti, provocato dalle proprie politiche neoimperialiste, e rimettere stabilmente le mani sulle infrastrutture energetiche al pari degli Stati Uniti. Dalle inestimabili riserve di idrocarburi ai giacimenti della nostrana ENI, molti ancora da sfruttare, gli interessi economici in gioco per l’Italia sono davvero imponenti, e Matteo Renzi ne è ovviamente al corrente.
Questi fattori, uniti alla poca lucidità del nostro governo, potrebbero spingerci verso la quarta guerra in Libia per il nostro paese dal 1911. Mentre l’articolo 11 della Costituzione stabilisce che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;”, alcuni cacciabombardieri sono stati trasferiti una decina di giorni fa presso la base di Trapani per ‘controllare’ la situazione sul Mediterraneo. Peraltro, in questo contesto, viste la strategia e la composizione di Daesh in Libia, simili a quelle già mostrate in Siria e Iraq, l’inefficacia a lungo termine dei raid aerei risulterebbe un fattore ormai acquisito.
La situazione è molto complessa e non esistono facili soluzioni. Ma le dicisioni politiche da prendere in questo momento, nel tentativo di avviare un reale processo di ‘pacificazione’, non sono certo di carattere militare. Innanzitutto, l’Italia e l’Europa dovrebbero rivedere i propri rapporti con quei regimi che da tempo sostengono i gruppi legati allo Stato Islamico, come la Turchia e l’Arabia Saudita. Sarebbe certamente importante aprire finalmente un dibattito serio a proposito delle strategie fallimentari che i vari paesi europei, e gli Stati Uniti, hanno adottato negli ultimi venticinque anni, rimettendo al centro della discussione la pace e la democrazia dei popoli.
Una nuova avvenutra neocoloniale dell’Occidente provocherebbe ulteriori scontri e altre vittime innocenti, aumentando il risentimento all’interno di una popolazione martoriata e abbandonata dalle stesse potenze che cinque anni fa avevano promesso di ‘liberarla dalla dittatura’, imprigionandola come previsto in un violento schema che si ripete senza soluzione di continuità. Le immagini che ci arrivano dalla Libia, l’avanzata dell’Isis, il caos e l’emergenza umanitaria sono essenzialmente il frutto avvelenato degli errori del passato. E ripeterli sarebbe devastante.