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Razzisti in Svezia, chi c’è dietro quei cappucci?

In Svezia in azione i veri Black Bloc: sono nazisti e pestano immigrati. Chi c’è dietro i passamontagna? I rapporti torbidi tra Svezia e il nazionalsocialismo sono un argomento assai complesso

di Claire Lacombe

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In tanti si sono stupiti del raid nazista di qualche giorno fa in pieno centro a Stoccolma quando 100/200 uomini incappucciati o mascherati hanno massacrato di botte e di sprangate decine di giovani nordafricani, soprattutto minorenni. I fatti sono stati gravissimi ma non hanno assolutamente conquistato lo stesso spazio nei media dei fatti di Colonia, ma lì le vittime erano donne tedesche e non negri brutti sporchi e cattivi.

Ma i rapporti torbidi tra Svezia e il nazionalsocialismo sono un argomento assai complesso, difficilmente narrabile in uno spazio breve. Si potrebbe esordire per alleggerire  con una battuta: c’è del marcio nel Regno in Svezia.

Per i nazionalsocialisti tedeschi è sempre esistita una sorta di “invidia stirpis” verso i norvegesi e soprattutto gli svedesi, forse sulla base dei loro miti sugli Iperborei: è come se li sentissero più ariani, anzi arianissimi. D’altronde è ben documentata una forte presenza e influenza delle ideologie del III Reich nella Svezia dagli anni ‘30 in poi. Il re Gustavo V che regnò dal 1907 al 1950 rimase affascinato da Hitler e dal suo regime, che furono favoriti in più di un’occasione. Famigerata è una lettera di Gustavo V a Hitler dove lo ringraziava di essersi preso cura della “peste bolscevica” congratulandosi con lui per le recenti vittorie”. Durante la seconda Guerra mondiale la Svezia rimase neutrale, ma per buoni 2/3 del conflitto ebbe un atteggiamento filo germanico, consentendo il passaggio di truppe tedesche e vendendo grandi quantità di minerali ferrosi al Reich, fondamentali per l’industria bellica del Reich. Appena dopo la guerra la Svezia protesse inoltre molti criminali di guerra ustascia croati.

Ma la peste nazista non aleggiava solo nell’ammirazione del III Reich, cosa che terminò con la fine della II Guerra mondiale, nella società svedese il male era ed è è più profondo.

Per quasi mezzo secolo dagli anni ’30 a metà degli anni ’70 rimase in voga in Svezia una versione socialdemocratica del mito dell’eugenetica, che caratterizzò anche la Germania Hitleriana, nella sua variante nazista. Pure i  due premi Nobel svedesi, i coniugi socialdemocratici Myrdal, in forte misura appoggiarono le pratiche eugenetiche. Comunque fino al 1975 almeno 50000 svedesi furono sottoposti a programmi di sterilizzazione.

G. Myrdal arrivò a sostenere la correttezza della utilizzazione dei termini “A människan” e “B människan”, uomini di serietà dove il primo “è l’uomo qualitativamente superiore, l’uomo produttivo e collaboratore dello sviluppo armonico dell’interesse generale, mentre “l’uomo B” rappresenterà lo scarto di produzione, l’improduttivo, il parassita della nuova costruzione tecno-biologica: “Soprattutto limitare la libertà di riproduzione di individui affetti da leggere forme di idiozia rappresenta per la società un vantaggio strettamente economico. Incontriamo continuamente madri nubili intellettualmente poco dotate con un carico di figli straboccante, in cui tutto il gregge è a carico della collettività e dove l’insorgere di comportamenti asociali e criminali originerà grosse preoccupazioni”. Nel 1934 verrà varata la prima legge svedese per la sterilizzazione eugenetica, poi estesa nel 1941 a nuove categorie di marginali. L’obiettivo era di eliminare dal ciclo riproduttivo gli individui moralmente ed economicamente incapaci di assicurare ai propri figli un’educazione ‘appropriata’. A questa aberrante persecuzione di ogni devianza, con profonde radici nel protestantesimo svedese, si associava evidentemente la corbelleria di copertura antiscientifica e ideologica pseudopositivista di essere certi de “l’ereditarietà genetica” dei comportamenti devianti!

L’avvento di Olof Palme come Primo ministro socialdemocratico in Svezia contribuì a demolire gran parte delle impostazioni eugenetiche nazistoidi in Svezia, che hanno lasciate però tracce profonde.

Ma Palme fu ammazzato. E qui si va a trattare un’altra parte del male della Svezia: armi e forze di polizia. Nella razionale, asettica, socialdemocratica Svezia le forze di polizia erano viste quasi come spregevoli, nessuna persona dabbene doveva “fare lo sbirro”, un po’ come l’aristocrazia di Platone quasi si schifava dei guerrieri, ritenuti da essa stessa però necessari. Quindi diventano sbirri i figli degli sbirri con una caratterizzazione di imprinting sempre più fascista quando non nazista, in un mestiere non facile laddove senza correzione democratica il totem dell’autoritarismo si rafforza già di per sé in ogni nazione e in ogni tipologia di stato ovvero di regime. Le armi. La apparentemente pacifica, neutrale Svezia è tra primi 10 produttori al mondo di armi; inoltre la Svezia è da decenni sede fondamentale e accogliente di trattative inerenti i traffici mondiali più torbidi di armi. In questo crocchio torbido trova la sua collocazione l’assassinio di Palme 20 anni fa nel febbraio 1986. Le indagini su questo omicidio si sono caratterizzate per disordine e per una capacità di indagine priva di qualunque spunto. Non c’è quasi dubbio che l’omicidio sia avvenuto per mano nazifascista anche se non è ancora comprensibile una scia precisa: il giornalista RAI Ennio Ramondino e altri giornalisti d’inchiesta hanno puntato per anni a collegamenti che arrivavano in Italia con la P2 e strani giri di armi ( ); il presunto omicida di Palme, assolto in secondo grado, fu ucciso il giorno prima di “vuotare il sacco” coi familiari di Palme. Infine dopo che Ramondino mandò in onda in TV  il suo servizio ebbe pesanti conseguenze sulla carriera e il Direttore Fava del Tg1, che autorizzò la trasmissione, fu cacciato ( a quanto pare l’omicidio Palme è anche un affaire italiano!). Il grande intellettuale svedese di sinistra Stieg Larsson, grande conoscitore della rete nazista in Scandinavia del dopoguerra, scomparso d’infarto in circostanze un po’ anomale nel 2004, insisteva sulla pista del Sudafrica, paese allora pervicacemente sotto apartheid. Al centro dei sospetti e delle indagini di Stieg Larsson era Bertil Wedin, noto estremista di destra svedese. La polizia di Stoccolma non lo convocò mai per interrogarlo; ma oggi è noto che 1) la polizia raccolse una mole enorme di dossier su Wedin, ma non lo indagò; 2) Wedin era un agente doppio, un informatore della Säpo nella galassia silenziosa ma attiva e influente dell’ultradestra svedese; e aveva contatti con Meneer Craig Williamson, che allora era l’agente di riferimento della rete della polizia segreta sudafricana nel mondo. Non sappiamo se ha ragione Ramondino o Larsson: sappiamo che Larsson aveva ragione nel dipingere nei suoi romanzi una Svezia ovattata, apparentemente tranquilla, ma egemonizzata piuttosto da tresche di nazisti e di affari sporchi, coperte dalla polizia e dai servizi svedesi.

In questo quadro la vicenda del pestaggio di Stoccolma da parte degli incappucciati di questi giorni suona sinistra e atra. Secondo il Secolo XIX, c’era “un progetto di aggressione contro i migranti minori non accompagnati nel centro di Stoccolma”. Così sono stati fatti dispiegare agenti anti-sommossa e fatto sorvolare il centro cittadino da elicotteri. Ma i bulli nazisti hanno spadroneggiato in piazza malgrado la polizia e qualche timido tentativo di carica. La polizia ha poi tentato di minimizzare il tutto confermando la presenza di volantini xenofobi ma non gli attacchi, mentre un video pubblicato sul sito del quotidiano Aftonbladet mostra scontri tra le forze dell’ordine e uomini vestiti di nero con passamontagna. Ma siamo sicuri che dietro i passamontagna questi Black Bloc ci sono solo ultrà sportivi nazisti o potremmo avere delle sorprese su alcuni di loro alla stregua degli squadroni della morte di Rio de Janeiro?

3 COMMENTS

  1. A casa sua ognuno è Re, mentre l’ospite già dopo il terzo giorno puzza, alla stessa stregua di chi per farsi belllo “col culo degli altri” sentenzia – noi continueremo a salvare vite – senza contare che cosi facendo ne offende altre, per di più autoctone.

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