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Homein fondo a sinistraCaro Bertinotti, la sinistra non è finita

Caro Bertinotti, la sinistra non è finita

E se la sinistra sta male non è solo perché tu andavi a tutte le feste dei peggiori salotti romani. Abbiamo un problema: che si continua a mettere la testa sotto la sabbia anziché sforzarsi di capire

di Francesco “baro” Barilli

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Il caso ha voluto che proprio dopo una serata passata con due amici, in cui abbiamo parlato anche dello stato della sinistra in Italia, abbia letto l’intervista a Fausto Bertinotti realizzata da Antonello Caporale per Il Fatto.

L’ex segretario di Rifondazione afferma varie cose. Ne cito solo alcune:

–        fra gli errori commessi ne menziona solo uno (“uno più di tutti mi brucia: non essermi reso conto che alcuni miei comportamenti potessero essere scambiati per commistione con un ceto somigliante a una casta”).

–        La sinistra è morta; il comunismo (sempre secondo Bertinotti) lo è da un pezzo.

–        Spende poche parole per il M5S, ma sembrano un apprezzamento, o almeno un riconoscimento del Movimento come “meno peggio” nel panorama attuale (“E meno male. [che molti voti vanno a Grillo n.d.r.] In Francia votano Le Pen”).

 

Insomma: l’Italia è forse l’unico Paese europeo in cui la sinistra – elettoralmente – è priva di peso, ma l’ex segretario di Rifondazione non ne indica i motivi (sinceramente quel passaggio sulle “feste” a cui ha partecipato mi sembra risibile: fra i tanti errori commessi, Bertinotti indica il più veniale, il dito anziché la luna…), con dichiarazioni che sembrano essere sostanzialmente autoassolutorie e autoconsolatorie. Sul “che fare”, tace o quasi. E, ad onor del vero, forse in questo non sbaglia…

 

Faccio ora un lungo inciso, credo e spero utile, sui numeri delle ultime elezioni.

Preciso da subito: so bene che è difficle comparare politiche ed europeee (“mischio pere con pomi”), e pure che se parliamo di numeri elettorali non sempre (anzi, quasi mai) il risultato di una data coalizione è la somma matematica delle potenzialità dei singoli partiti che la compongono; in altre parole: se X vale 10 voti e Y ne vale 20, non è detto che alla consultazione successiva X eY presentandosi assieme prendano 30 voti. So anche che le numerosi divisioni-scissioni-frammentazioni rendono ancora più difficile un’analisi completa. Però in questo momento non m’interessa un’indagine raffinata dei flussi elettorali negli ultimi 10 anni: voglio solo ragionare a livello di “grandi numeri”.

 

elezioni politiche del 2006 (solo Camera dei Deputati)

Rifondazione: 2.229.604 voti, pari al 5,8%

Comunisti Italiani: 884.912 voti, pari al 2,3%

Verdi: 783.944 voti, pari al 2,1%

(ho intenzionalmente escluso l’IdV, che per la cronaca prese 877.159 voti)

 

*****

 

politiche del 2008 (anche qui: Camera dei Deputati):

Sinistra Arcobaleno: 1.124.298 voti, pari al 3,08%

PCdL: 208.296 voti, pari al 0,57%

Sinistra Critica: 168.916 voti, pari al 0,46%

 

*****

 

politiche del 2013 (sempre: Camera dei Deputati):

Sel: 1.089.442 voti, pari al 3,2%

Rivoluzione Civile (lista Ingroia): 765.172 voti, pari al 2,25%

PCdL: 89.995voti, pari al 0,26%

Alternativa Comunista: 89.995 voti, pari al 0,26%

 

*****

 

europee del 2014:

L’altra Europa con Tsipras: 1.103.203 voti, pari al 4,03%

Verdi: 245.443 voti, pari al 0,89%

 

*****

In altre parole: nel 2006 la cosiddetta sinistra radicale contava su un bacino di quasi 4 milioni di voti (10,2 % complessivo, peraltro con un numero di votanti assai superiore a quello mediamente attuale).

In otto anni (ripeto: otto anni…) il bacino della sinistra radicale si è ridotto fino a 1 milione o poco più.

Nello stesso periodo, i gruppi dirigenti di altre parti politiche si sono rinnovati parecchio (alcuni radicalmente, altrio meno). La sinistra ha attraversato fortissimi processi di frammentazione, in molti casi sfidando il ridicolo, e tentativi di riaggregazione (malriusciti e sempre dettati da pressanti scadenze elettorali). I gruppi dirigenti si sono atomizzati, ma mantenendo pressochè le stesse figure di riferimento.

 

Bene: so che “noi” dovremmo essere “diversi”. Per noi dovrebbero essere importanti le idee, non i leader. E so pure che abbiamo un grosso problema di comunicazione; in parte dovuto alla riduzione degli spazi sui grandi media, in parte per l’incapacità a rinnovare le modalità comunicative rispetto a un mondo profondamente cambiato (se leggo ancora “una nuova fase si è aperta” mi viene l’orticaria…).

So tutto questo. Però resta il dato, macroscopico, di un’area politica che ha avuto una paurosa emorragia di consensi elettorali e in cui praticamente nessuno dei dirigenti ha saputo o voluto fare un vero passo indietro.

 

Mi si potrebbe obbiettare che la Lista Tsipras alle ultime europee ha cercato dinamiche diverse nella scelta dei candidati. E’ vero, ma anche tralasciando la pessima gestione del “vado o non vado” di Barbara Spinelli, il problema non è quello. Un progetto di sinistra che sia davvero alternativo solido e credibile non lo si improvvisa, e farlo frettolosamente per una campagna elettorale è impossibile. Certo, la sinistra ormai si trova stretta in una tenaglia (tra “voto utile” e la sirena del 5 stelle) ma il vero problema e che da tempo non sa rappresentare il cambiamento, un’idea alternativa “di mondo”. Già tempo fa (dopo il fallimento di Rivoluzione Civile) scrissi che se la crisi ha prodotto Syriza in Grecia e da noi il Movimento 5 Stelle qualcosa vorrà dire… E questo porta pesanti accuse all’intero gruppo dirigente delle formazioni di sinistra. Che non hanno rinnovato i propri quadri o il proprio linguaggio, e che quando (costretti…) hanno dovuto affrontare l’amaro calice di un’autocritica si sono rifugiati nel consueto, e molto “politichese”, dare la colpa ad altri del proprio fallimento. Se in 8 anni si sono persi per strada 3 milioni di voti vuol dire che 3 milioni di cittadini non si sentono più rappresentati da chi, a sinistra, si presenta alle elezioni. E se contemporaneamente i gruppi dirigenti mettono la testa nella sabbia abbiamo un grosso problema. Che non sono le “feste” a cui ha partecipato Bertinotti.

2 COMMENTS

  1. sì, ma non dovreste guardare al passato senza pensare al futuro. capire gli errori può essere utile per non ripeterli, e basta, altrimenti diventa un semplice esercizio di critica, di comprensione politica. non serve a nulla, o quasi. potete scriverci un libro, se volete, ma la comprensione degli errori, la sola comprensione, non serve nessun fine politico… avrei voluto leggere qualche idea di sinistra, una “visione”, un qualcosa, qualsiasi cosa

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