Dopo i cinesi a Milano, i cammellati colpiscono ancora alle primarie del Pd. Brogli a Napoli, fuga da Roma. Dove nessuno vuole vincere davvero
di Maurizio Zuccari
Dopo i cinesi a Milano, i cammellati colpiscono ancora alle primarie del Pd. A Napoli i neodiccì ci ricascano distribuendo monetine ai seggi – un euro, un voto pro Valeria Valente – e, complice il video su fanpage, obbligano la procura della repubblica ad aprire un fascicolo (senza ipotesi di reato, per ora) e Antonio Bassolino, trombato dalla candidata renziana per poche centinaia di voti, a pensare seriamente di presentare ricorso alla commissione di garanzia del Partito democratico. «Questo mercimonio è una ferita profonda per tutti quelli che hanno creduto nelle primarie come libera partecipazione democratica», ruggisce ‘o lione, ex sindaco ed ex governatore campano affatto gradito al premier. Da parte loro l’attuale presidente della giunta regionale, Vincenzo De Luca, minimizza e la butta in elemosina. Sono babbarie – fesserie, ndr – ispirate dal Giubileo della misericordia, assicura il renzissimo De Luca. Meno misericordioso Luigi De Magistris, che parla di squallore & vergogna, rievocando i brogli elettorali con l’annullamento delle primarie, cinque anni fa, che contribuirono a portarlo sulla poltrona di primo cittadino. Dove conta di restare, a scapito dei pieddini, dell’azzurro Gianni Lettieri, già sconfitto nel 2011, ora consigliere comunale e capo dell’opposizione, e del candidato grillino che deve ancora uscire dal cilindro magico delle comunarie online. E mentre sui gazebo partenopei s’allunga l’ombra di nuovi imbrogli, nelle altre città capintesta delle prossime amministrative il bujo non è men fitto.
A Roma, anzitutto. Qui il teatrino delle primarie s’è concluso, come da copione, con l’ex radicale ultrarenziano Roberto Giachetti a spartirsi la metà dei voti validamente espressi alle consultazioni che incoronarono Marino. Che le primarie le ha boicottate ma sarà della partita, eccome, salvo la spadaccia dei due processi che gli pende sulla capa. Cacciato dalla porta e rientrato dalla finestra, sulla carta l’ex sindaco ha, carichi giudiziari a parte, le stesse chance del sindaco in pectore sul quale il Pd romano punta per ricostruire il consenso dalle proprie macerie. E per questo ai piani alti del Nazareno e del Flaminio si pensa a una lista civica d’appoggio, dove infilare pure l’ex assessore alemanniano alla Cultura Umberto Croppi. Quanto alla scarsa affluenza alle primarie, la spiegazione di Matteo Orfini non fa una grinza. È pur vero che nel 2013 era andata più gente ai gazebo, dice l’abatino capitolino, «ma allora c’erano le truppe cammellate dei capibastone poi arrestati, il pantano che ha portato a mafia capitale, fino alle file dei rom». Come a dire, senza cammellieri non si vince, ammette il commissario del Pd.
Pure a destra c’è maretta, anche se lì il toto-nomine s’è risolto con l’uomo della protezione. È bastato che dicesse, tra l’altre amenità – tipo: mai votato Berlusconi, sto sempre coi più deboli – che i rom lui non li caccerebbe a furor di ruspe per suscitare le ire del Salvini furioso e mettere a repentaglio la ritrovata unità della destra romana sul sindaco da mettere in Campidoglio. Ma lui, Bertolaso Guido da Roma, alla guida della protezione civile per un decennio e nei guai giudiziari da un quinquennio, ricordato con affetto dalla Maddalena all’Aquila, passando per il megacentro di Ponzano Romano, tira dritto. Se ne frega degli altolà della Lega e della destra verace di Storace – l’altro candidato a scorno del clan Meloni, main sponsor di Bertolaso assieme al Cavaliere – che ne vaticina la fine prima delle sentenze sul G8 sardo e la distruzione post terremoto in Abruzzo. Sullo stesso campo, Alfio Marchini agli zingari leverebbe l’acqua e fa spallucce, anche se Bertolaso è una bella pietra d’inciampo nella corsa a palazzo Senatorio dove molti, se non tutti, corrono a perdere.
Soprattutto i 5S, temuti vincenti, che puntano sulla belloccia e già consigliera Virginia Raggi, in un clima da roulette russa dove l’unica palla in canna è a salve. È che specie per loro Roma vale un po’ la storia della sora Camilla: tutti la vogliono e nessuno la piglia. Nessun grillino sano di capoccia vuole scapocciarsi sui muri dell’Urbe, finendo in croce prima delle politiche del 2018. Poi ci sono gli outsider. Quelli come Gianfranco Mascia, portavoce dei Verdi, che nel suo programma elettorale fa il verso al cartone Mascia e Orso. Meglio parlare con un orsacchiotto che con Buzzi e Carminati, assicura.
Rispetto ai fantasmi napoletani e al bullicame capitolino, a Milano c’è acqua cheta. Lì la rappresentanza cinomeneghina ha assicurato all’ex manager Expo Patrizio Sala la vittoria alle primarie pieddine. Se la vedrà con Gianfranco Parisi, già city manager dell’era Albertini e con gli outsider che danno pepe al giugno elettorale. L’irascibile Sgarbi, il redivivo Di Pietro e quel Corrado Passera che affigge cartelli tipo: se ti rubano a casa è colpa della sinistra, ma rifiuta inciuci coi destri. Alla grillina Patrizia Bedori restano briciole, non solo mediatiche. Aspettando i ballottaggi. E, chissà, una sinistra degna di questo nome. Magari con l’azzeramento di primarie scopiazzate altrove e ridotte a una farsa, peggiore di quel che sono Oltreoceano.