5022 cittadini baschi, tra cui 798 donne, torturati dal 1947 fino al 2014. Dossier di Euskal Memoria ha verificate una per una le denunce. «Ma è solo un numero parziale»
di Enrico Baldin
Nei commissariati e nelle carceri spagnole e basche si tortura. Non è una notizia, ma a ribadirlo ancora una volta è un dossier realizzato dall’associazione storica basca Euskal Memoria Fundazioa che ha focalizzato il suo studio sulla tortura ai danni di cittadini baschi.
Il dossier si riferisce sia a casi avvenuti in epoca franchista, sia in epoca democratica e parla di 5022 cittadini baschi torturati dal 1947 fino al 2014, anno in cui si ferma lo studio. Il dossier di Euskal Memoria è ben circostanziato e nel sito internet dell’associazione è facilmente reperibile l’elenco dei nomi degli oltre 5000 che sotto dichiarazione giurata hanno denunciato di aver subito vessazioni, poi verificate una per una.
I maltrattamenti sono sia fisici che psicologici. Sacchetti di plastica in testa, detenuti tenuti in piedi a gambe divaricate per venti ore consecutive, la costrizione a continui esercizi fisici, l’imposizione della corrente elettrica alle mani e pure ai genitali. Oltre a botte, minacce, prevaricazioni psicologiche di ogni tipo. E non mancano neppure le odiose condotte tenute dai Guardia Civil o dalla Policia Nacional nei confronti delle donne: obbligate a spogliarsi, palpeggiate, minacciate di violenza. Ci sono anche dei casi di violenza sessuale tra le testimonianze raccolte. Dei 5022 casi di tortura riportati dal report, ben 798 riguardano donne.
«Si tratta di un numero parziale» – sottolineano in un comunicato i ricercatori di Euskal Memoria – «Resta ancora molto lavoro da fare». In effetti è intuibile esserci una quantità indefinita di persone che per paura non hanno formulato alcuna accusa, ed inoltre per quanto riguarda il periodo franchista vi è difficoltà a reperire testimonianze ormai molto indietro nel tempo e spesso insabbiate dalle autorità. E’ certo anche che alcuni episodi di torture e pestaggi sono culminati con la morte in carcere.
Negli anni del regime di Franco accadeva che la gente sparisse nel nulla da un momento all’altro: alcune persone non sono mai più state ritrovate. Un fenomeno, quello dei desaparecidos, che si evidenzierà in maniera ben più sistematica nell’Argentina di Videla. Ma se si pensa che nella civile e democratica Spagna entrata nel terzo millennio la tortura sia un ricordo del passato ci si sbaglia di grosso. Dal 2000 le denunce di tortura di cittadini baschi riportate da Euskal Memoria sono ben 823: in buona parte si tratta di etarras, o di militanti della cosiddetta izquierda abertzale. «C’è una zona grigia in cui i casi di tortura sono più frequenti» racconta uno degli avvocati che assiste diverse famiglie di prigionieri politici. «Nello spazio di tempo immediatamente successivo all’arresto, accade che ai fermati venga impedito di comunicare con i familiari e pure con il loro avvocato, e vengono sottoposti ad interrogatori senza alcuna garanzia». E in quella zona grigia, in quei commissariati, si cerca di estorcere informazioni con la tortura.
Quanto accade nelle carceri e nei commissariati spagnoli – nonostante le minimizzazioni dei governi succedutisi a Madrid – è cosa nota da tempo anche all’opinione pubblica. Pure a quella internazionale. Nel 2004 il relatore speciale dell’ONU per i diritti umani affermò che non si poteva ritenere sporadica la pratica della tortura in Spagna e disse che le denunce presentate erano ben circostanziate e credibili. La stessa Amnesty International ha condannato più volte la monarchia iberica per la sua politica carceraria, e a fine 2013 la Corte Europea di Strasburgo condannò la Spagna per la cosiddetta “dottrina Parot”, che prolungava arbitrariamente la durata della detenzione oltre la condanna già emessa. Ma è anche la cosiddetta “politica della dispersione” a far gridare alla vergogna, con detenuti reclusi a centinaia e migliaia di km da casa per limitare i contatti coi familiari.
Lo studio di Euskal Memoria sottolinea anche il carattere di impunità di cui paiono godere le autorità. In tanti anni infatti i condannati sono solo 62, di questi 36 si sono avvalsi di indulti ed amnistie promossi dai vari governi di PP e PSOE. Nessuno di loro oggi si trova in carcere. Le cose, nella Spagna ancora in cerca di un governo dopo le elezioni di dicembre, paiono ben lontane dal mutare. Del resto il primo passo per risolvere un problema sarebbe quello di riconoscere di avere un problema. E la corona spagnola pare ben lontana dal compiere questo primo passo.