«Chi ha sparato sa di aver sparato, chi gli stava vicino pure». A quattro anni dall’omicidio di Inigo Cabacas, Pitu, continua la lotta dei genitori contro l’archiviazione che potrebbe essere pronunciata a giugno
di Enrico Baldin
Non è solo l’Italia ad aggiungere capitoli al libro sul calcio e le sue miserie extracalcistiche. A 2000 km dai dintorni dello stadio “Barbera” di Palermo dove ieri sono avvenuti gli scontri tra tifosi di Palermo e Lazio, c’era dell’altra tensione tra tifosi di calcio. Una tensione diversa però, la tensione di chi si è visto ammazzare un amico dopo una partita di calcio senza che questi abbia avuto giustizia. Un folto corteo sfilato per le calles di Bilbao è giunto fino al punto in cui quattro anni fa Pitu – questo il nomignolo di Inigo Cabacas – veniva assassinato tragicamente dopo una partita di calcio della sua squadra del cuore, l’Athletic Club che avendo battuto lo Shalke 04 in Europa League approdava alle semifinali della competizione. Quattro anni, millequattrocentosessanta giorni sono passati. «Quattro anni di lotta» ha detto a margine del corteo Manu Cabacas, padre di Inigo, che con la moglie Fina Liceranzu sta portando sulle spalle non solo il peso di avere perso il loro figlio, ma anche quello di non avere ancora avuto giustizia. E sta lottando per averla.
Dopo quattro anni dall’assassinio, rispetto al punto di partenza di questa indagine, i passi avanti per trovare i colpevoli sono stati meno dei passi indietro. Sono anche le dinamiche dell’accaduto a logorare dentro chi a Inigo voleva bene. Perché l’assurdità è che il ventottenne tifoso dell’Athletic, quella sera di aprile 2012, stava solo bevendo una birra in una Herriko Taberna. Non era colpevole di alcunché se non di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La Ertzaintza – la polizia autonoma basca – fece irruzione nella via a due passi dallo stadio San Mames, in cui si trovavano Inigo e altre decine di persone, dopo che una prima volante era accorsa per sedare un alterco tra alcune persone. Uno degli agenti giunti in seconda battuta sul posto sparò ad altezza d’uomo colpendo Inigo che morì in ospedale pochi giorni dopo.
L’azione della Ertzaintza, l’accorrere di altre tre volanti dopo la prima, la carica ed i colpi sparati, vennero successivamente giudicati come inutili e sproporzionati. Ma tant’è che ora c’è un morto ma non c’è il suo assassino. Se di assassino si vuol parlare, visto che da fonti istituzionali si continua a chiamarlo “incidente”. Non si trova chi abbia sparato ma ci sono degli indagati, ovvero gli agenti che con passamontagna e casco d’ordinanza fecero irruzione nella via caricando e sparando. Nessuno di loro però dice di avere premuto il grilletto, ognuno di loro dice di non sapere chi abbia premuto il grilletto: niente di più facile per portare le indagini ad un punto morto e garantirsi l’impunità.
Omertà, reciproche coperture e silenzi che fanno infuriare i genitori e gli amici di Inigo. Qualche giorno fa al quotidiano spagnolo Publico, Manu Cabacas ha enunciato quello che per lui è più che un sospetto: «Stanno coprendo il poliziotto che ha assassinato mio figlio» – ha detto il papà di Pitu – «Chi ha sparato sa di aver sparato, chi gli stava vicino pure». Una denuncia che il comitato che chiede giustizia per Inigo ha alternamente trasformato in appello, sollecitando che chi sa cosa è accaduto, parli.
Il procedimento non ha mancato di riservare anche colpi bassi: come la richiesta di indennizzo di 777mila euro che è stata notificata alla difesa dei Cabacas e al quotidiano basco Gara per aver diffuso la registrazione audio nella quale si provava l’ordine via radio dato dal comando di polizia di caricare, nonostante la prima volante accorsa alle 23.30 avesse già comunicato che la situazione era tranquilla e che il diverbio per cui era intervenuta si era già acquietato. Una testimonianza, quella diffusa dal quotidiano e dal documentario “Cronaca di una ferita aperta”, che risulta decisiva per inchiodare il comando di polizia bilbaino alle sue responsabilità su una gestione folle dell’ordine pubblico.
E il prossimo 7 giugno, se il giudice non ordinerà nuovi supplementi di indagine, il caso potrebbe chiudersi con una istanza di archiviazione. Perché finora non se n’è cavato un ragno dal buco, e in molti pur non accettandolo paiono credere che a nessuno degli indagati verrà l’idea di “sputare il rospo”. Un altro caso di malapolizia finora rimasto impunito. Miserie extracalcistiche appunto, perché qui il calcio – quel gioco che era la più gran passione di Pitu – non c’entra proprio nulla.