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La guerra di Panenka

Panenka contro Maier, storia di una guerra che il regista cecoslovacco vinse contro se stesso

di Carlo Perigli

panenkaE così siamo arrivati all’ultimo rigore. La corazzata tedesca ha subito e sofferto il doppio svantaggio, ma alla fine è riuscita a rimontare.  Due a due, con la finale degli Europei del 1976 che, per la prima volta nella storia, verrà decisa ai calci di rigore. I cecoslovacchi, autentica rivelazione del torneo, li hanno messi dentro tutti, mentre la Germania Ovest è stata “tradita” da Ulf Hoeness, che ha spedito il pallone alto. Tuttavia, sarebbe ingiusto attribuire la colpa di questa sgradevole situazione al numero otto della compagine teutonica. Semmai, a sbagliare fu la Nazionale tedesca tutta. Troppo sicura di sè, dei suoi mezzi, del titolo mondiale vinto due anni prima e di quello europeo del 1972.

Un po’ la guerra fredda e le sue conseguenze, un po’ quel vizio di sentirsi continuamente i migliori, i tedeschi avevano sottovalutato un avversario che veniva da venti gare senza neanche una sconfitta. La Cecoslovacchia sbarcata in Jugoslavia non è solo una bella squadra, ma per la prima volta le sue due anime viaggiano unite sotto la stessa bandiera. Fino ad allora difatti, cechi e slovacchi avevano vissuto i ritiri da separati in casa, rimanendo divisi sia durante le sessioni di allenamento, che nei momenti di ordinaria convivialità. Quell’anno invece la spedizione aveva trovato la tanto agognata unità, raggiunta grazie agli sforzi congiunti del commissario tecnico Vaclav Jezek, slovacco, e del capitano Anton “Tonda” Ondrus, ceco.

Ma ormai, recriminare su chi ha sbagliato cosa non ha più alcuna utilità. Di sicuro, colpe e meriti non rientrano nei pensieri di Sepp Maier, che per la quinta volta va a disporsi tra i pali. La Germania, mi si perdoni la seguente banalità, è tutta nelle sue mani, le stesse mani che poco prima hanno potuto solamente sfiorare il tiro scagliato da Anton Ondruš. Ma Sepp Maier non è tipo avvezzo a crolli psicologici. È un’istituzione, il fiore all’occhiello della gloriosa scuola tedesca, il portiere che negli ultimi tre anni ha alzato tre Coppe Campioni, un Mondiale e un Europeo. Sempre lì, sempre tra quei due pali, lui che non salta una partita da oltre dieci anni, il peggior incubo del più lesto degli attaccanti avversari.

panenkaAl duello decisivo, Maier si piazza al centro della porta e fissa l’avversario. In precedenza aveva vissuto l’attesa di spalle, forse per trovare la concentrazione, forse per deconcentrare il tiratore. Questa volta invece sceglie di guardare negli occhi questo perito alberghiero con i baffi a manubrio, che, con grande cura, sta posizionando il pallone sul dischetto del rigore. Dettagli trascurabili, per Maier tutti gli avversari sono uguali, specialmente dagli undici metri. E poi, non potrebbe essere altrimenti, con la cortina di ferro che per anni ha impedito il trapelare di qualsiasi informazione su pregi e difetti delle squadre appartenenti all’altro blocco. Ma ormai, arrivati a questo punto, cosa vuoi che cambi?Un rigore è un rigore, o tiri a destra o a sinistra, non c’è troppa scelta. Al massimo, puoi seguire le orme tracciate da Neeskens nel 1974 e tirarlo centrale. Ma diciamoci la verità, te la senti di correre un rischio del genere in una finale dei Campionati Europei?

Mentre Maier trova conforto nei suoi ragionamenti, ad undici metri di distanza Antonin Panenka si prepara a calciare. Neanche lui conosce granchè il suo avversario, ma quel poco che sà gli basta: Sepp Maier è un portiere. Forte, fortissimo, ma pur sempre portiere. Come Zdenek Hruška, suo compagno di squadra nel Bohemians 1905, la quarta squadra di Praga. Bè, proprio uguale no, Zdenek è prima di tutto un amico, la persona grazie alla quale è riuscito a superare uno dei momenti più bui della sua carriera. Era successo tutto due anni prima, nel 1974, durante una partita di campionato tra Bohemian e Plzren. Sembrava una gara come le altre: da regista raffinato, Panenka smistava palloni a tutto campo, sostituendo la corsa con quell’innata capacità di mettere sistematicamente i compagni a tu per tu con la gloria. Un passaggio, un’invenzione, ed ecco che l’attaccante del Bohemians restava da solo in compagnia del portiere. È uno sicuro di sè, Panenka, protagonista di un perenne viaggio alla ricerca della giocata sorprendente.

panenkaQuella volta però, qualcosa era andato storto. Il suo piede fatato, fido compagno di una vita, quel pomeriggio l’aveva tradito per due volte dagli undici metri. Solamente al terzo tentativo quel maledetto pallone era entrato, ma nella mente del regista cecoslovacco era scattato qualcosa in grado di far crollare tutte le sue certezze. L’insicurezza e la paura di sbagliare, sensazioni che mai aveva provato prima, abituato com’era a osare d’istinto giocate impensabili, ora irrompevano con prepotenza nella sua mente, minacciando di compromettere seriamente quella brillante carriera. Che ci sia qualcosa che non va nella testa di Panenka, Hruška se ne accorge fin da subito, così un pomeriggio lo prende da parte e gli chiede di restare in campo dopo la fine degli allenamenti, per una sfida ai calci di rigore. Sono amici, così dietro ogni tiro c’è sempre una scommessa: a volte soldi, più spesso birra e barrette di cioccolata, non a caso alimenti su cui Panenka baserebbe volentieri la sua dieta. Ma Hruška lo rispetta e non gli concede favori, arpionando nel primo periodo la maggior parte dei palloni calciati dal compagno.

I tiri dal dischetto si susseguono giorno dopo giorno, mentre di notte regna l’insonnia, con Panenka ossessionato nel tentativo di uscire dal peggiore degli incubi. Finchè non arriva il momento in cui il regista capisce che il problema è un altro, e alberga proprio nella dinamica del tiro dal dischetto. Rincorsa e tiro, destra o sinistra, è questo che lo fa stare male. Nella meccanica del calcio di rigore tutti i giocatori sono costretti a seguire quello schema che per definizione reprime quella creatività che da sempre anima le sue giocate, che lo costringe a omologarsi privandolo della sua personalità.

La soluzione è tutta lì. Panenka non ha paura di calciare, ma la sua arte non è disposta a farsi da parte quando i piedi corrono dagli undici metri. Panenka ha il naturale bisogno di sentirsi creativo, deve poter rappresentare la sua fantasia in ogni situazione. Ma sopratutto deve avere la pelle d’oca, deve vivere quel brivido che gli permette di sentirsi unico al mondo, anche in una routine come il tiro dal dischetto. La soluzione sta nel rompere quello schema, sta nel trovare l’invenzione nel momento in cui nessuno se l’aspetta. Qualcosa di cui i tifosi possano godere, qualcosa che li lasci estasiati. «Volevo che il calcio – dirà diversi anni più tardi – fosse qualcosa di più che calciare un pallone».

panenkaPanenka guarda Maier e Maier guarda Panenka. La rincorsa del numero 8 cecoslovacco è lunga, come sempre. Gli serve per vedere le reazioni del portiere e capire se il colpo ha buone probabilità di riuscita. La corsa è veloce, perchè l’avversario non deve avere il tempo per decifrare i segnali mandati dal corpo. Quando Panenka sta per impattare il pallone, Maier accenna un leggero movimento verso sinistra, ed in quella frazione di secondo Panenka sa che gli basterebbe mandare il pallone dall’altra parte, per poi correre verso i compagni a festeggiare il titolo europeo.

Troppo comodo, troppo semplice, alla portata di chiunque. Ma il tempo dei ragionamenti è finito, ora tocca alla fantasia, adesso è necessario dimostrare al mondo intero che Antonin Panenka è in grado di stupire anche dal dischetto. Ed è in quel momento che la creatività prende corpo, quando il piede colpisce con dolcezza e precisione la parte bassa del pallone, disegnando una parabola morbida che dolcemente si incammina verso il centro della porta avversaria. Non è la prima volta che succede, ma quell’ultimo rigore, quel brivido che repentino che gli corre sulla schiena quando vede la sua fantasia accompagnare la Cecoslovacchia sul tetto d’Europa, è unico, ed è in quel preciso momento che Panenka vince la sua personale guerra. In quel  frangente lui è unico, il protagonista al quale sono dedicate le attenzione di un’intera platea. Anche Maier, abbandonata tutta la sua grandezza, in quel momento resta lì, disteso sul fianco sinistro. Tutto quello che il portiere più temuto del momento può fare è girare il collo verso destra e ammirare insieme agli altri il Panenka, un colpo irriverente ed eccezionale, fare il suo ingresso nella storia del calcio.

Tratto da La guerra di Panenka
www.storiedelboskov.it

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