BALLAST DEBOUT, rivista di creazione politica. TENER TESTA, FEDERARE, INNESCARE. Interviste a Graeber, Usul, Poutou, Nammour, Kanouté, Castillo, Pinatel, Angela Davis
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Il re è nudo e non è bello da vedere. Ma ringraziamo François Hollande e il suo governo per la luce che ci viene data: la destra e la sinistra bisticciano per il colore dei tovaglioli, ma mangiano alla stessa tavola. Il potere parla da solo, ma noi siamo dei milioni.
Noi siamo il numero senza nome, il popolo che fa la Storia senza entrare nei suoi libri. Noi non siamo né degli « utopisti », né dei «sognatori»: la nostra lingua non è dettata dalla burocrazia dei loro uffici, ma dalle realtà che viviamo. Si riempiono le tasche mentre noi riempiamo le piazze — di Francia, Germania, Spagna, Belgio, Québec.
Loro ? L’oligarchia. I colletti bianchi, i ben nutriti, i riccaccioni. Anche il loro riflesso pena a «rappresentarli» : sono ministri, consiglieri, finanzieri, banchieri, azionari, grandi padroni, esperti, specialisti, occupano i media dei potenti e dormono sui banchi dell’Assemblea.
Noi ? Lo studente che lavora in un fastfood per pagare i suoi studi; la sindacalista trattenuta dalla polizia; l’agricoltore che si chiede come pagare i suoi prestiti, l’agente di pulizia incaricato da un ospedale; il restauratore il cui stabilimento è perquisito sotto lo stato d’urgenza; la madre disoccupata che osserva il prezzo della pasta ; il giovane di quartiere che si rivolta contro gli incessanti controlli; l’operaio licenziato per degli affari di «competitività», il titolare dell’RSA che vorrebbe partire una settimana in vacanza; la militante ecologista piegata dai lacrimogeni; il liceale che subisce violenza dalla polizia quando non ha fatto altro che manifestare.
Siamo già a conoscenza delle divisioni e delle tensioni che attraversano il nostro «noi»: cerchiamo però ciò che abbiamo da dire — e soprattutto da fare — insieme. Scriviamo i capitoli che mancano a questa storia collettiva. Troviamo le parole, quelle vecchie e quelle nuove, così da essere meglio compresi — senza folklore né vane increspature, gerghi o pleonastici schemi.
Abbiamo perso troppo tempo nel gioco del cerca le differenze: ora vediamo l’immagine che ci somiglia. I dettagli sono la passione dei privilegiati. Noi, contro la loro falsa «alternanza»; noi, contro questo regno che indossa la maschera della democrazia; noi, contro gli assassini liberali dell’Europa e del mondo.
Occupare degli spazi non sarà sufficiente, ma nel risveglio ognuno scopre un sentiero da lungo tempo ostruito: quello che ci sussurra che possiamo vivere senza di loro. Il progetto della legge sulla riforma del Lavoro deve essere gettato tra i rifiuti, così come il sistema che l’ha reso possibile.
DAVID GRAEBER
Antropologo, teorico e figura del movimento Occupy Wall Street
Si è verificato un fenomeno di disorientamento : siamo così presi dalla cultura della gratificazione istantanea e dal bisogno di effetti immediati che spesso si ascolta la gente dire sbalordita : «Guarda, il movimento Occupy ha fallito. Si mobilita da due o tre anni e il mondo non è ancora cambiato!» Sappiamo benissimo che i movimenti sociali richiedono del tempo!
Pensate ad un qualunque movimento sociale importante che abbia lasciato al mondo visibili cambiamenti : più il cambiamento è risultato profondo, più il movimento ha richiesto del tempo. L’abolizione della schiavitù o il femminismo, tutti quei movimenti che sono riusciti considerevolmente a trasformare le nostre prospettive, hanno richiesto dei decenni e spesso molto di più.
MARC NAMMOUR
Rapper e poeta
Sono cresciuto in una città operaia e sono sempre stato preso da una collera che allora difficilmente riuscivo a spiegare : tutti gli immigrati si erano stabiliti nello stesso posto e il solo rapporto esterno alla città erano gli autobus che trasportavano i lavoratori per il 3×8. È vivendo questi ambienti che mi sono interessato alla politica. Per situarti nel presente e nel futuro bisogna sapere ciò che è accaduto a monte : il passato ci concede le sue lezioni.
Abbiamo una grande eredità politica di lotte. Creando un legame tra le battaglie antiche e le nostre, possiamo costruire delle proiezioni. Le rivendicazioni prime di ogni lotta sono, grosso modo, sempre le stesse. Le dieci settimane della Comune di Parigi e le contestazioni contemporanee non hanno subito mutamenti : avere delle condizioni di lavoro decenti, una remunerazione decente, un’istruzione per i nostri bambini, approfittare di un po’ di tempo libero. Noi rivendichiamo questa affiliazione. Ogni ora deve essere scandita dallo scambio, dalla parola, dall’incontro: un nuovo linguaggio che deve erigersi contro la divisione, la paura, la semplificazione e i serpenti che vogliono farci ingoiare.
PHILIPPE POUTOU
Operaio presso la fabbrica First-Ford di Blanquefort, Gironda
L’idea di uno sciopero generale rientra nelle nostre prospettive, ma nessuno può decretarlo. Bisognerebbe mobilizzare massivamente la popolazione per avere la possibilità di bloccare l’economia. Lo sciopero concerne coloro che lavorano, principalmente, e deve agire al fianco dei blocchi di piazze e zone industriali. Questo è possibile unicamente se i salariati e la popolazione convergono e si dicono pronti all’affronto, ovvero ad impiegare dei metodi che oltrepassano le manifestazioni di routine ed i piccoli scioperi abituali; ma dobbiamo chiaramente discuterne. Imporre lo sciopero generale come un obbiettivo da conseguire. Essere dei milioni e agire insieme. Il movimento operaio deve unirsi al movimento ecologista, senza dimenticare la situazione dei migranti. Tutti sostengono la stessa lotta, infondo : contro il padronato, contro il liberalismo, contro la sete di profitto delle multinazionali, contro le divisioni interne del nostro campo. Ma i pregiudizi non esitano a presentarsi. La battaglia è dura…
I sindacati non giocano il ruolo che dovrebbero giocare : non invitano, per esempio, a raggiungere i militanti di Notre-Dame-des-Landes; non creano legami sufficienti. Tutte le lotte devono essere sostenute allo stesso tempo. L’efficacia risiede nell’unione. La rabbia è visibilmente presente, ma le battaglie rischiano la dispersione e mancano, alle volte, il loro bersaglio. Fissiamo insieme una bussola. Poveri contadini, camionisti, operai, ecologisti, zadisti, battiamoci contro il campo capitalista.
USUL
Youtuber e militante
Abbiamo interiorizzato i nostri difetti storici in una sorta di postura difensiva che ci ha condotti a non proporre più nulla, a non rivendicare più nulla — nei migliori casi ci scandalizziamo al cospetto di una riforma o di una polemica. Spero che sia una storia di generazioni : quella del baby boom ha subito una grande batosta e non è più pronta a credere nella vittoria, ma per i giovani di oggi è diverso. Non accettano il piano della vita che è loro proposto (lavoro subordinato, debito, rassegnazione, disoccupazione) e un bel numero tra di loro è pronto a riprendere la battaglia sull’onda del «Avete vinto e umiliato i nostri genitori ? Sono così stanchi da non osare più sperare il cambiamento ? Molto bene, ma con noi non sarà così facile. Tutto ciò che abbiamo da perdere è una vita che non desideriamo».
Provengo dalle classi popolari, parlo alla gioventù, quella che conosco personalmente, quella che ha lavorato in precarietà, quella che è persa negli studi e che si affatica. A questa gioventù non importano le vecchie controversie che animano ancora le incomprensioni intestine della sinistra critica.
ALMAMY KANOUTÉ
Educatore e militante presso i quartieri popolari (Fresnes)
Parlate di «socialismo» o di «comunismo» alle genti dei quartieri e nessuno vi ascolterà. La gente non li ascolta più: queste parole non parlano più se non a coloro che sono già stati avvertititi, coloro che sono già consapevoli. Non serve più a nulla risollevare le vecchie cose, i vecchi discorsi dogmatici. Fare volantinaggio nel proprio piccolo angolino non serve più a nulla: guardate le manifestazioni, sono sempre gli stessi che marciano, con le loro bandiere e i loro stickers. Dobbiamo federare tutti senza privilegiare nessuno; vogliamo federare tutti coloro che subiscono ingiustizie quotidianamente e sono discriminati (le persone che lavorano — di qualunque provenienza, non soltanto coloro che abitano nei quartieri popolari —, i musulmani, le donne, gli omosessuali, etc.). Le élite amano vederci tra di noi, ben delimitati in un perimetro, ben circoscritti nei nostri quartieri.
Rompo le scatole ben più alle autorità affermando che sono al di là della mia zona, fuori dai loro parametri. I cittadini rappresentano ciò che c’è sopra di noi, i cittadini si riuniscono e così facendo combinano delle logiche di pensiero differenti. Dobbiamo applicare la democrazia, quella vera : si decide e si organizza collettivamente. È soltanto una questione di volontà e determinazione.
CARMEN CASTILLO
Regista, collaboratrice di Salvador Allende e esiliata sotto la dittatura Pinochet
Per la mia generazione militare significava sacrificare molte cose, senza uscire dalla collettività. Un rivoluzionario dovrebbe saper ridere, amare, danzare, avere dei bambini, essere « normale », ma l’ideologia, se la si seguiva troppo da vicino, implicava il sacrificio di tutto questo. Oggi questa privazione non ha più senso. Tutto è adibito, dagli spazi mediatici e dalla logica dei consumi, affinché non ci siano più legami, incontri, affetto, espressione del pensiero. Tutti coloro che sono legati ad un’azione collettiva sentono una sorta di gioiosa malinconia. L’ho constatato spesso: è raro che la gioia della vittoria sia durevole, il cammino che resta da percorrere è sempre lungo, l’amarezza può sopraggiungere. Ma su questo cammino, coloro che incontriamo, coloro che sono impegnati con noi per molto o per poco, coloro con i quali viviamo delle esperienze illuminanti costituiscono la fonte stessa dell’impegno politico. Che è una gioiosa passione.
LAURENT PINATEL
Contadino e portavoce della Confederazione contadina
Noi lottiamo tutti, nel nostro piccolo, contro delle forze che ci opprimono. Miriamo l’industria agro-alimentare e le politiche pubbliche, ma identifichiamo una base comune: l’Europa ultra-liberale e un sistema politico che funziona sul principio della legge del più forte. È questo che ci unisce alla comunità sociale e alle battaglie che essa sostiene. Bisogna assolutamente ritrovarsi, lavorare insieme, che si mutualizzino le nostre lotte e che si avanzi verso la convergenza. Soltanto così avremo ben più possibilità di vincere. Raggiungere altri collettivi ci permette di constatare reciprocamente che non siamo isolati. È confortante vedere che siamo molti, no?
Identifichiamo, denominiamo, e osserviamo in che modo possiamo acquisire peso. Il sistema liberale è così pesante e potente che non saremo mai troppo numerosi… Se non parveniamo a proporre un altro modello — l’agricoltura contadina, per esempio —, ci ritroveremo con questo tipo di struttura : sovrapproduzione, accaparramento illimitato di terre, la ricerca di risorse esterne, Non saremo legati più a nulla ; bisognerà fare appello a capitali esterni. Questo modello implica la finanziarizzazione dell’agricoltura, standardizzazione dei prodotti. Mi sono recato molto spesso alla «Fattoria delle mille vacche : è una fabbrica, ormai.
È davvero questo il modello che vogliamo? Fermiamolo.
ANGELA DAVIS
Figura del movimento dei diritti civici e femminista
Anche quando Nelson Mandela ha insistito sul fatto che ciò che aveva compiuto era il frutto di uno sforzo collettivo, portato avanti con tutti i compagni che hanno lottato al suo fianco, i media non hanno cessato di erigerlo personalmente al rango di eroe. Un processo simile è avvenuto per dissociare Martin Luther King Jr. dal grande numero di donne e uomini che costituivano il cuore del movimento per la libertà durante la metà del ventesimo secolo. È essenziale sfidare e resistere a questa descrizione della storia come il successo di qualche eroe, affinché ciascuno di noi, oggi, possa riconoscere il suo potenziale e il ruolo che può assumere nelle lotte sempre più numerose che sono portate avanti.
Cerchiamo oggi di comprendere il modo attraverso il quale la razza, la classe, il genere, la sessualità, la Nazione e il potere sono inestricabilmente legati, ma anche il mezzo di oltrepassare queste categorie al fine di comprendere le interazioni che intercorrono tra idee e processi apparentemente senza legame, indipendenti.
INTERVISTA CON L’ORGANIZZAZIONE DI NUIT DEBOUT
Com’è nata l’idea della Nuit Debout ? Su quale base e quale chiamata le persone si sono raggruppate?
In alcuni canali militanti è da molto che si cerca di mettere all’opera questa convergenza, ma l’idea si è cristallizzata con la dinamica del film Merci Patron! di François Ruffin (del giornale Fakir). Ovunque in Francia la gente esce dalla sala ponendosi la stessa domanda: « Cosa si fa adesso?» L’equipe di Fakir ha allora organizzato a Parigi una serata intitolata «Fargli paura », riunendo dei/delle militanti, liceali, studentesse e studenti, sindacalisti di Air France e di Goodyear, degli intermittenti dello spettacolo, dei precari, così come uomini e donne di ogni orizzonte…
In molti hanno preso la parola per parlare della battaglia che stavano conducendo e tutti hanno deciso all’unanimità di non lottare più individualmente: è unendoci che possiamo esercitare un vero rapporto di forza. La prima decisione collettiva fu di dire: «Il 31 marzo, non rientreremo a casa!»
Abbiamo tutti sentito parlare delle grandi mobilitazioni in Québec, in Spagna (con gli Indignati) o negli Stati Uniti (con Occupy Wall Street): si tratta di ispirare delle ampie azioni dove gli stessi cittadini decidono di occupare uno spazio, di incontrarvisi e di agire attraverso un movimento trasversale. Con le Nuit Debout noi vogliamo organizzare delle assemblee popolari per dibattere e costruire concretamente la convergenza. Il fine è quello di riuscire a fare di questi momenti uno spazio di liberazione della parola, al fine di dare eco a tutte le lotte, ma anche ai «senza voce» — tutti coloro dei quali i media non parlano.
In cosa la convergenza delle lotte è capace di «far paura», come dite voi?
L’idea non è nuova. Lottiamo ognuno dalla nostra parte e, pertanto, risalendo alla radice del nostri mali designiamo tutti lo stesso nemico: l’oligarchia, affermatasi da 30 anni, che non si occupa d’altro se non della protezione degli interessi della classe dominante. Non è complicato da capire quando osserviamo la non equa ripartizione delle ricchezze nel mondo! Da uno studio dell’Osservatorio delle disuguaglianze emerge che il 10% della popolazione più ricca del mondo detegono l’86 % della ricchezza mondiale che la metà della popolazione mondiale non dispone che dello 0,5 % di questa ricchezza. Il miliardario Warren Buffett ha le sue ragioni per dichiarare che « esiste certamente una guerra tra classi, ma è la mia classe, quella dei ricchi, che fa questa guerra e noi la stiamo vincendo ! »
Opporre ai loro privilegi le nostre voci e le nostre azioni, ma anche i nostri sogni, è la scommessa che lanciamo per la Nuit Debout. Se si arriva ad associare determinazione e numero possiamo bloccare il paese e costringere il governo ad ascoltare la nostra voce. Possiamo fare paura alle elite scendendo insieme in strada. È riunendoci che inverseremo il rapporto di forza, a noi il compito di «fare classe» !
E quali risultati vi aspettate ?
Per il momento ci consideriamo una grande equipe logistica che ha definito l’obbiettivo di permettere l’occupazione di Piazza della Repubblica, a Parigi, il 31 marzo a partire dalle 18 — dopo la manifestazione e per i giorni che seguiranno, come è stato dichiarato presso la prefettura. Il seguito non dipende da noi, ma da coloro che si riconosceranno nel movimento e che lo prenderanno in mano. L’iniziativa è stata lanciata ! In seguito, si spera che essa vivrà ! Per noi la Nuit Debout non è la fine di un qualcosa, ma l’inizio di un movimento; e prima di questo, la convergenza. Vogliamo riunire il più ampiamente possibile coloro che si riconoscono in questa constatazione, e avanzare insieme attraverso un nuovo modo di fare : ovvero faire sens (dare un senso) e faire commun (farlo in comune). Insieme, in strada, gli faremo paura !