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Ballottaggi: l’ambiguo ma sonoro schiaffo al PD di Renzi

Ballottaggi, un risultato frutto di pulsioni diverse e forse contrastanti ma convergenti contro il partito che impone l’austerità. Sinistra d’alternativa cercasi

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Sì, questa volta possiamo dirlo, le votazioni ai ballottaggi comunali del 19 giugno sono state proprio una severa lezione per il PD.

La travolgente vittoria di Virginia Raggi e del M5S a Roma (che Renzi cerca affannosamente di giustificare con le conseguenze dell’ “avventura Marino”), ma ancora di più quella di Chiara Appendino a Torino, dove il PD sperava di capitalizzare il netto sostegno di tutti i poteri forti cittadini per il suo sindaco uscente Fassino, sono la prova della decisa impasse in cui si trova il Partito democratico.

Nella capitale, la neosindaca del M5S raccoglie 300mila voti in più che al primo turno capitalizzando in modo incontrovertibile su di sé tutta l’opposizione a Giachetti e al suo sponsor di Palazzo Chigi e raggiungendo una percentuale mai raggiunta prima nei ballottaggi capitolini e percentuali “bulgare” nei quartieri più popolari (80% a Torbella Monaca). Per Giachetti a nulla o quasi sono valse le aperture di credito di alcuni dei capi della destra cittadina (primo fra tutti Storace).

Stessa cosa può dirsi per la situazione torinese, dove la neosindaca Chiara Appendino, nonostante l’appoggio quasi esplicito di una parte del centrodestra a Piero Fassino, polarizza su di sé quasi tutti i voti canalizzati al primo turno sui candidati esclusi dal ballottaggio, arrivando quasi al raddoppio dei voti assoluti raccolti. Anche qui con una netta affermazione nei quartieri popolari.

E perfino i risultati di Merola a Bologna e di Sala a Milano, pur vincendo sui candidati del centrodestra, non riescono a mitigare il senso di sconfitta complessiva, perché vincono ma sostanzialmente solo riconfermando i voti del primo turno e grazie al fatto che i loro antagonisti, anch’essi espressione di uno schieramento molto in affanno, non capitalizzano quasi per nulla la spinta “antirenziana” che si è manifestata in queste elezioni.
La sconfitta del PD infatti si materializza anche in altre città capoluogo, dove in parecchi casi la destra o liste civiche di destra riescono a spuntarla o anche in altre città rilevanti dove i grillini, se sono presenti al ballottaggio, riescono quasi sempre a vincere.

Il successo del M5S ovviamente si combina con il fallimentare esperimento gli insuccessi pesanti delle liste riformiste costruite in numerose città dai fuoriusciti dal PD, dal PRC e da parte di SEL nel primo turno elettorale. E potrà spingere una parte dei militanti reduci da quei fallimenti su un terreno assai scivoloso, quello, se non di inserirsi, per lo meno di sperimentare un rapporto con il movimento fondato da Grillo, trascurando o mettendo in secondo piano le ambiguità e gli aspetti inaccettabili di questa formazione e del suo carattere interclassista.

A Napoli la vittoria di De Magistris sul rappresentante della destra, Lettieri, era forse più scontata ma rappresenta anch’essa una sonora sconfitta degli schieramenti politici che si sono alternati al governo del paese negli ultimi 25 anni. E indica, alle forze della sinistra un’ipotesi di lavoro che, nonostante le contraddizioni presenti, si è basata su una radicale opposizione alle politiche di austerità, di forte collegamento con i movimenti e con le lotte sociali e di unità nel rispetto delle diversità. Non è un caso che De Magistris abbia voluto sottolineare che la vittoria è stata ottenuta contro il PD, contro la destra e contro il movimento 5 Stelle.

Complessivamente va ancora una volta rimarcato il fenomeno dell’astensione (che esprime a sua volta la sofferenza della società dopo anni di crisi e di politiche liberiste), già molto forte al primo turno ed ancora cresciuto al secondo turno. Questo sistema elettorale col ballottaggio consegna al candidato e alle coalizioni vincenti nei consigli comunali una grande maggioranza di eletti pur disponendo di percentuali di voto che raggiungono soltanto il 25-30% rispetto agli aventi diritto al voto.

Infine, queste elezioni mostrano alle classi dominanti la fragilità di un assetto istituzionale disegnato per gestire il bipartitismo dell’austerità (tra centrosinistra e centrodestra) ormai in crisi e il rischio che questo assetto, invece che impedire sorprese e incidenti politici, potrebbe facilitarli. La stessa legge elettorale tanto decantata dell’ ”Italicum” potrebbe diventare un boomerang per la stabilità istituzionale.

Così, questo risultato peserà gravemente sul dibattito che accompagnerà la politica del paese da qui al referendum di ottobre, sia per la posta in gioco sul piano delle formulazioni costituzionali sottoposte al voto confermativo, sia per le implicazioni politiche che si potrebbero produrre nel caso, a questo punto non più impossibile, di una vittoria del No.

Naturalmente, su tutto ciò peserà anche quanto i sindaci neoeletti riusciranno a fare già nei prossimi mesi. Quanto riusciranno a rispondere alla volontà di cambiamento e al profondo disagio sociale espressi dal voto, sia sul piano politico, sia sul piano di una gestione amministrativa strangolata dai patti di stabilità e dai tagli dei finanziamenti, sia dalle strutture del potere economico capitalista. E naturalmente potranno pesare i limiti e le ambiguità di quelle forze politiche che come i 5 Stelle concepiscono il loro agire solo all’interno delle istituzioni, senza avere la volontà di suscitare e/o animare un movimento sociale forte, capace di vincere le resistenze delle forze dominanti.

E’ una sfida che riguarda loro e chi convintamente li ha sostenuti, ma che riguarda anche chi, come noi e i tanti movimenti sociali che non si rassegnano all’esistente. Occorrerà per la sinistra radicale e anticapitalista saper agire in questo nuovo contesto di voglia di cambiamento che però, ancora una volta, dati i livelli di coscienza politica e le sconfitte subite dal movimento dei lavoratori, si rifugia nella delega elettorale e aggira il nodo cruciale della mobilitazione unitaria, diretta e di massa delle classi lavoratrici, come in Francia.

Ma questo è il compito e l’obiettivo che ci si deve porre a partire dalla scontro referendario dell’autunno, in cui cruciale diventa la possibilità di unire la battaglia democratica per la difesa di fondamentali diritti costituzionali e quella contro le politiche dell’austerità e della legge finanziaria.

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