Il sindaco di Parma Pizzarotti lascia il partito grillino. Un divorzio annunciato dopo lunga sospensione dal “movimento”. Prove di corsa per il secondo mandato
di Francesco Ruggeri
Pensa a un secondo mandato e intanto esce, e sbattendo la porta, dal movimento di Grillo. E’ il giorno di Federico Pizzarotti. La rottura con Grillo ha a che fare con la mutazione genetica del M5s, con la scabrosità della dialettica interna dovuta alle ambiguità di un movimento proprietario mentre in città riprendono fiato i partiti legati a quel sistema di potere che portò Parma alla bancarotta. La Giunta vivrebbe in un sostanziale immobilismo e l’inceneritore più famoso del Nord sbuffa i suoi veleni. Una lettera d’addio al Movimento 5 Stelle, che lo ha sospeso da mesi, iniziata a scrivere da tempo. Anche con un libro appena uscito, La Rivoluzione Normale (Mondadori), che, come ha scritto Giuliano Santoro, sul manifesto, «ripercorre questi anni di grillismo visti dal sindaco e viene attraversato dall’elogio dell’arte del compromesso e della mediazione. La rottura di Pizzarotti si consuma in nome di un invito alla moderazione: apparirà eretica ma a ben guardare non è tanto inconsueta nelle esperienze di governo locale penta stellato e in molte delle proposte concrete dei grillini». E ora? Intanto c’è il referendum. «Io sono assolutamente per il no al referendum e, quando ci avvicineremo alla data, nel mio piccolo farò campagna elettorale – ha detto – le frasi che dicono Renzi e i sostenitori del sì sono irresponsabili. Sulla riforma l’articolo che vorrebbe superare il bicameralismo è delirante, per avere governabilità bastava cambiare la legge elettorale, bastava far votare direttamente. Non bisogna fare le norme pensando a se stessi, ma alle future generazioni e agli altri». Insomma, non è uno scontro tra indiani e cow boy ma l’ennesima tensione tra pezzi dell’apparato in cerca di autonomia e la cupola del “movimento” populista che quell’autonomia nega.
«Un secondo mandato? Sarebbe irreale non pensarci, però essendo soprattutto una scelta personale, io ho anche un altro lavoro, lo facciamo se ci sono le condizioni. Ma è chiaro che sarebbe auspicabile una continuità, anche per alcuni cantieri e alcuni progetti». «Io non credo nei partiti personali – spiega Pizzarotti – non credo che ci sia il salvatore della patria, non lo può fare Renzi, Salvini, Berlusconi, non lo può fare nemmeno Grillo: è una sconfitta avere un capo politico, poi ci può essere persona rappresentativa, ma da soli non si va da nessuna parte. La parola movimento è giusta perché è orizzontale. Si ha sempre avuto paura di darsi un’organizzazione, che non vuol dire una struttura verticistica, ma sapere chi chiamare quando devi fare qualcosa senza che nessuno si offenda. Sette anni fa a Firenze e al teatro Smeraldo ci si incontrava e ci si guardava in faccia, poi non lo si è più fatto. Forse per paura di togliere potere alla Casaleggio? Ma noi dobbiamo far crescere la Casaleggio o il Movimento?». Ma è più deluso da Di Maio che da Grillo, Pizzarotti: «Cattivi consiglieri in Emilia Romagna e non solo hanno raccontato a Grillo un sacco di balle sul nostro conto, questo lo so per certo, quindi hanno creato in lui un’idea sbagliata di quello che stiamo facendo. Di contro lui non ha neanche mai chiamato per sapere cosa era vero e cosa no – dirà a una tv all-news – ma con Di Maio avevamo un contatto sicuramente più diretto per età, per elezione, per quello che era stato fatto all’inizio nel nostro comune: era venuto due volte, avevamo fatto un dibattito coi giornalisti quando ancora i giornalisti erano visti come eretici dal Movimento, mentre noi invece avevamo già capito che serviva un dialogo, far passare delle idee. Di Maio, responsabile dei comuni, la cosa più coraggiosa che ha fatto con gli stessi è stata uscire dalla chat nel momento in cui non voleva avere un confronto». Per colpa dei «talebani», in questi anni «il Movimento 5 Stelle ha perso tante persone che avrebbero potuto dare un contributo», ha continuato Pizzarotti, ricordando il caso di Andrea Defranceschi, ex consigliere regionale dell’Emilia-Romagna, espulso per un’inchiesta dalla quale è stato poi completamente prosciolto «ma era inviso al vassallo, all’emissario in Emilia-Romagna (il riferimento è al consigliere comunale bolognese Massimo Bugani, ndr). Il suo lavoro è andato perso e nessuno degli attuali consiglieri regionali, che hanno faide interne tra di loro, ha voluto ascoltarlo. Sarebbe stato il miglior candidato alla presidenza della Regione, ma è stato isolato e abbandonato da tutti. E come lui quante persone abbiamo perso, persone che quando avevamo percentuali da prefisso telefonico facevano i banchetti. Sono stati abbandonati dai talebani, persone oltranziste che giustificano tutto e il contrario di tutto per il solo fatto di leggerlo sul blog».
«Sono sempre stato un uomo libero, da uomo libero non posso che uscire da questo Movimento 5 Stelle, da quello che è diventato oggi e che non è più quello che era quando è nato», così il sindaco di Parma, ufficializza lo strappo. «Ho preso questa decisione con grande sofferenza: il nostro rimanere dentro era provare a direzionare l’auto in corsa. La grande domanda che ci siamo sempre fatti è: ma tu puoi cambiare più cose da dentro o da fuori? Io dopo tre anni non sono riuscito a cambiare le cose», ha spiegato il primo dei sindaci grillini di una grande città. «Non sono cambiato io, o i nostri ideali, è cambiato il M5s. È mancata la coscienza critica, l’ho esercitata solo io, e quindi vengo visto come disturbatore. In tante parti d’Italia siamo stati consumati da arrivisti ignoranti che non sanno cosa vuol dire amministrare: vogliamo governare e poi non si dialoga con nessuno. Questo non vuol dire governare».
«Nella più triste tradizione italiana, nel regolamento del M5s c’è una norma ad personam, perché sono l’unico sospeso d’Italia: quando si dice che si può essere sospesi per 12 o 24 mesi difficile pensare che sia riferibile ad altri – continua Pizzarotti ringraziando Grillo – senza di lui non mi sarei alzato dal divano, ma dal direttorio mi sarei aspettato una parola».
«Il cappello sulla mia testa non ce lo mettono e gradirei che finissero le indiscrezioni. Da uomo libero mi sento libero di ragionare con la mia testa, è evidente che in Italia ci siano dei problemi, ma non ho mai lavorato per un partito a livello nazionale, ho sempre lavorato per il mio Comune e le due cose sono poco compatibili». Infine, rispetto alla sindaca di Roma Virginia Raggi, «io sono stato messo in croce per molto meno. Cosa sarebbe successo se io avessi nominato assessore un ex Pd o un ex consulente di Iren, l’azienda che gestisce i rifiuti a Parma?». «Ho pagato per aver messo la mia città davanti al M5s e questo lo rifarei mille volte. Manca una rete di amministratori, non si vuole imparare dalla propria storia. Io voglio rappresentare quello che avremmo potuto essere. Da ‘mettiamo in streaming tutto’ a ‘non mettiamo in streaming niente’. E nonostante i risultati che abbiamo raggiunto nell’amministrazione nessuno nel Movimento 5 Stelle vuole usare la nostra esperienza. Non siamo riusciti a fare rete, il Movimento questo concetto se l’è dimenticato».
Beppe Grillo tace sull’addio del sindaco di Parma. Arrivato a Roma per un incontro nel pomeriggio con Davide Casaleggio e i membri del direttorio, il leader del Movimento glissa alle domande dell’Adnkronos. L’addio di Pizzarotti? «Guardi che bel cielo e che bella città – dribbla – mi lasci passeggiare tranquillo, sono sempre assediato da voi giornalisti. Di buoni o cattivi tra voi non ce ne sono, siete giornalisti e punto, vi conosco da 45 anni e ne so qualcosa… La democrazia è bella [come se la praticasse, ndr] perché si possono fare domande ma si può anche decidere di non rispondere, non trova?», taglia corto prima di infilarsi nell’albergo dove oggi si svolgerà il vertice, opaco come sempre, del suo partito.