«Dopo il fallito golpe, la Turchia ha iniziato un gioco estremamente instabile». Parla Burhan Sonmez, scrittore, di turno alla «staffetta per la libertà» davanti alla prigione di Istanbul
di Francesco Ruggeri
«Dopo il fallito colpo di stato, la Turchia ha iniziato un gioco estremamente instabile. Oggi, Erdogan sa che se ferma la repressione, rischia di cadere». A parlare, in un’intervista all’ANSA, è Burhan Sonmez, scrittore e attivista appena stato di turno alla «staffetta per la libertà» davanti alla prigione di Bakirkoy, a Istanbul. Dietro le sbarre, ci sono tanti scrittori e intellettuali come lui, finiti nel tritacarne delle purghe in Turchia. «Destra o sinistra, islamici o curdi, non conta più: siamo tutti vittime dell’oppressione del governo, che utilizza il tentato golpe come scusa per liberarsi dell’opposizione democratica», spiega lo scrittore turco, mentre sciorina le cifre – in costante aggiornamento – del pugno di ferro del presidente Recep Tayyip Erdogan.
In carcere oggi ci sono più di cento giornalisti e scrittori. Una realtà che Sonmez, tra i più apprezzati autori della nuova narrativa turca, conosce bene. Negli anni ’90, fuggì in esilio in Gran Bretagna dopo essere stato torturato. Un’esperienza drammatica che si riflette nel suo ultimo romanzo, ‘Istanbul Istanbul’, da poco pubblicato anche in Italia: «Con lo stato d’emergenza, il fermo di polizia può durare fino a 30 giorni, senza che si possa vedere un avvocato. In quel periodo, può accaderti di tutto». Sonmez ha vissuto a lungo a Cambridge, e potrebbe continuare a starci. «Oggi siamo tutti a rischio di arresto, ma questo non è il momento di scappare. Anzi: rispetto a due mesi fa, subito dopo il golpe, credo che adesso la gente stia riacquistando il coraggio e la voglia di lottare».
In questi giorni, Sonmez ha potuto visitare in prigione diversi detenuti grazie al suo tesserino da avvocato. Anche se ormai fa lo scrittore a tempo pieno, la sua conoscenza delle procedure legali lo aiuta a seguire i diversi casi. «In Turchia non esistono più istituzioni che obbediscono allo stato di diritto, ma solo alla volontà di Erdogan», è la sua denuncia. «Quando ci fu il golpe del 1980 ero un adolescente, ma ricordo bene la situazione. Neanche allora ho visto una repressione così dura, con tante decine di migliaia di persone arrestate e licenziate». Eppure, suggerisce Sonmez, il controllo di Erdogan sulla Turchia è meno solido di quanto potrebbe sembrare. «L’unica certezza è che non avremo un futuro stabile, comunque andranno le cose. Perché quando demonizzi metà della società, non puoi prevedere come finirà».
Il suo nuovo romanzo, Istanbul Istanbul, edito Nottetempo, è ambientato proprio nei sotterranei del carcere di Istanbul: la storia di quattro dissidenti. Sonmez vive proprio in quella città, sul versante anatolico. Per tutta la notte del golpe fallito, tra il 15 e 16 luglio, ebbe a dire: «Chiunque sia a vincere, comunque, il risultato comprometterà le nostre speranze democratiche. Perché nessuno dei due partiti è mosso da idee libertarie e democratiche. Erdogan ha lanciato un appello alla popolazione affinché scendesse in piazza. E la gente riversatasi per strada scandiva il nome di un uomo (Erdogan), o un richiamo religioso (Allah u Eqber). Non c’è stato alcun accenno alla libertà, alla democrazia o alla tolleranza. Non importa quali delle due forze avesse vinto. Alla fin fine, sia l’una che l’altra avrebbero preso di mira i gruppi democratici, i partiti socialisti e l’opposizione curda».