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Con che armi l’Arabia Saudita sta facendo la guerra nello Yemen?

E’ roba made in Italy, venduta agli arabi, quella che fa strage di civili nello Yemen.  Gli ambigui rapporti di amicizia tra la ministra Pinotti e i migliori amici dell’Isis

di Enrico Baldin

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Si registrano in questi giorni le punte più alte di tensione nel conflitto che si sta combattendo nello Yemen, lungo il confine con l’Arabia Saudita. Di pochi giorni fa la strage a Sana’a, capitale dello Yemen e patrimonio Unesco, con la morte di 155 persone causata dai raid aerei effettuati dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita. I bombardamenti sauditi hanno colpito la folla che stava partecipando ad una cerimonia funebre: una strage che è solo l’ultima di una serie. Dopo un anno e mezzo si continua a combattere e quella che era una guerra civile ha visto l’intervento di altri attori internazionali: Iran ed Eritrea sosterrebbero gli sciiti huthi, monarchie arabe con appoggi occidentali stanno dalla parte di Hadi. Nel frattempo anche Al Qaeda e ISIS stanno conducendo una loro guerra agli huthi e nella scorsa primavera hanno conquistato importanti posizioni nello Yemen centrale.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha attestato circa 7mila morti e oltre 30mila feriti dall’inizio della guerra che sta distruggendo uno stato tra i più poveri al mondo, in cui prima dell’inizio del conflitto quasi la metà della popolazione viveva sotto la soglia di povertà. Le “armi intelligenti” fino ad ora non hanno risparmiato ospedali, moschee, feste di matrimonio e folle di donne e uomini che affollavano i mercati. Negli ultimi dieci mesi sono stati bombardati quattro ospedali gestiti da “Medici senza frontiere”, in particolare ad agosto l’ultimo raid aereo ha ucciso diciannove tra pazienti ed operatori sanitari.

Dunque in questo contesto che cosa fa l’Italia? Mentre il Parlamento Europeo a febbraio si pronunciava per un embargo sulle armi verso l’Arabia Saudita, alcuni giorni fa il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha condannato l’azione militare che ha colpito la cerimonia funebre di Sana’a. Ma nei mesi scorsi ha difeso «il diritto dell’Arabia Saudita a difendere la propria sicurezza», invocando comunque il dialogo. Lascia parecchi interrogativi però la visita di Roberta Pinotti avvenuta ad inizio ottobre in terra saudita. La Pinotti in compagnia del segretario generale agli armamenti, nel silenzio generale dei media italiani, ha incontrato l’assistente alla difesa e il capo di stato maggiore sauditi. Perché la Ministra della Difesa si reca in Arabia Saudita, paese che sta radendo al suolo lo Yemen con azioni criminali ai danni di obiettivi civili? Secondo l’agenzia di stampa saudita “SPA”, la Pinotti si è recata in Arabia Saudita per trattare sistemi di difesa navale.

La visita non è sfuggita ad “Amnesty International” e alla “Rete per il disarmo” che hanno richiamato ancora una volta al rispetto della legge 185/90, che vieta la vendita di armi a stati in conflitto armato o a paesi in cui non vengono rispettati i diritti umani. La Pinotti stessa via twitter, ha detto che si trattava solo di «visita politico istituzionale» minacciando di querela chi avrebbe diffuso falsità. Popoff qualche giorno fa ha chiesto spiegazioni su quali fossero gli argomenti trattati dalla visita “politico istituzionale” e come si commentassero le indiscrezioni secondo cui l’oggetto della discussione coi reali sauditi era la vendita di sistemi armati navali. Ma finora la titolare del dicastero della difesa ha preferito non rispondere alle nostre domande.

Non ha aggiunto molto neppure alla deputata grillina che la interrogava al question time, alla quale ribadiva il carattere “politico istituzionale” della visita, sostenendo di aver parlato coi rappresentanti del governo arabo di lotta al terrorismo (l’Arabia è però accusata da più parti di fare il “doppio gioco” con l’ISIS) e di sistemi armati di difesa, specificando che nessun contratto era stato sottoscritto. Una normale chiacchierata quindi e nulla di più.

Tuttavia è difficile prendere per buona e per legittima la non meglio specificata visita politico-istituzionale della Pinotti, corredata da minacce di querele e da silenzi. Tanto più che nei mesi scorsi il giornalista irlandese Malachy Browne e il giornalista di Famiglia Cristiana Luigi Grimaldi, segnalavano il probabile utilizzo di ordigni di provenienza italiana (della compagnia RWM Italia che ha sede in Sardegna) rinvenuti inesplosi in alcune località yemenite in seguito a bombardamenti a tappeto eseguiti dalla coalizione saudita. Tutto regolare secondo la Pinotti. Ma nel frattempo la Procura di Brescia ha aperto una inchiesta sulle forniture di bombe di provenienza italiana all’Arabia Saudita.

L’Arabia Saudita a cui la ministra Pinotti ha appena fatto visita non solo è un paese in guerra, ma considera i diritti umani un optional. E’una monarchia assoluta in cui la dinastia reale impone la dottrina wahhabita, una interpretazione piuttosto radicale del Corano. L’Arabia Saudita è uno dei pochissimi stati a non avere un Parlamento ed una Costituzione. Le libertà religiose sono negate, come pure quelle di orientamento sessuale e le opinioni politiche. Pratica la pena di morte e la tortura, non contempla parte dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti dell’uomo, discrimina in maniera sistematica la popolazione femminile in tutti gli ambiti della sua vita.

Non ci sarebbe però da stupirsi se l’Italia avesse – come molti elementi fanno credere – trattato di armi con l’Arabia Saudita, che negli ultimi tempi ha fatto “spese” in occidente. Del resto la monarchia araba – nell’ambito dello storico accordo petrolifero – ha acquistato dagli USA armamenti (tra cui le famigerate bombe a grappolo) per 60 miliardi di dollari: la più grande vendita di armi nella storia degli Stati Uniti. E il rifornimento bellico sarebbe avvenuto anche presso altri paesi occidentali, Gran Bretagna in primis.

Lo stato italiano, in ogni caso, non sarebbe nuovo ad autorizzare cessioni di armamenti a paesi stranieri in situazioni e modalità a dir poco border line. A giugno scorso fu la stessa ministra Pinotti a confermare commesse di sistemi armati per quasi 4 miliardi di euro firmate dall’emirato del Qatar per Fincantieri e Finmeccanica, confermando così la vocazione ad intrattenere buoni rapporti con stati dalla politica estera ed interna imbarazzante. Il Qatar, alleato dell’Arabia Saudita nella guerra in Yemen e accusato di sostenere l’ISIS, è un’altra dittatura in cui governa la stessa dinastia familiare dal 1825 ed in cui non si sono mai svolte elezioni politiche. Mentre l’11,6% dei bambini sono malnutriti, il Qatar destina un quarto del suo bilancio a spese militari. Analogo caso per la Somalia, paese poverissimo e ridotto alla fame e al lastrico da una guerra civile, che però acquista armi dalle industrie italiane nello stesso periodo in cui la FAO manifesta preoccupazione per gli «allarmanti picchi di fame acuta». L’accordo in materia di cooperazione nel settore difesa firmato tra i due Stati nel 2013 è stato ratificato dal Parlamento italiano nell’aprile di quest’anno. E poco importa se sia comprovato l’utilizzo da parte dell’esercito somalo di bambini soldato a cui potrebbero finire in mano armi “made in Italy”.

Nessun imbarazzo per tutto ciò ne’ dalle parti di Palazzo Chigi né dalle parti di via XX settembre, che godono del silenzio assoluto dei principali media. Resta da chiedersi che cosa sia rimasto della legge 185/90 e di quel divieto – facilmente aggirato dagli accordi bilaterali – a vendere armi a paesi in guerra o che non rispettano i diritti umani. E intanto in Yemen si continua a morire di armi e di guerra.

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