L’incipit di La ballata dei giorni della pioggia, il romanzo di Maria Caterina Prezioso appena pubblicato da Kogoi
di Maria Caterina Prezioso
Settembre 2012
I giorni precedenti al mio ritorno ha piovuto. Una mareggiata fuori stagione e un vento freddo ha saccheggiato Sperlonga sottraendole quei colori che il mese di settembre le dona. Ora il mare è una tavola, una tavola attaccata alla terra. Dopo la festa dei Santi Patroni, il paesino arroccato si veste dei colori della quiete e del cobalto. Gentile direbbe che il paese suo tira un sospiro di sollievo. Oggi sarebbe stato il suo compleanno. Sarei andata a trovarlo e gli avrei portato da Roma una bottiglia di prosecco che a lui piace tanto: azienda agricola Fratelli Berlucchi, Franciacorta Brut 25 millesimato. Oggi Gentile avrebbe compiuto sessantanove anni. È accaduto a novembre dello scorso anno. Sono stata l’ultima a sentire la sua voce. Gentile è morto all’arrivo del Nuovo Governo. È stato un bel morire. È la sera del 17 novembre 2011. A Roma il Nuovo Governo sta giurando nelle mani del Capo dello Stato. Gentile, a Sperlonga, prepara la cena. È presto, ma a lui piace stare in cucina. I fornelli accesi, un bicchiere di vino bianco, la radio di sottofondo, le ultime notizie in attesa della trasmissione che ascolta ogni sera, alle 19:00 in punto, Hollywood Party su Radio Tre. Decide di chiamarmi. Sono ancora in ufficio. A Roma è solo tardo pomeriggio; a Sperlonga si pensa alla cena. La suoneria del cellulare mi scuote.
Sto seguendo dal web l’insediamento del Nuovo Governo. Rispondo in automatico. Riconosco la voce e non riesco a trattenere un sorriso.
– Non puoi usare il nome di Leone!
– Sì lo so, ma non saprei che altro nome dargli.
– Che ne pensi di Angelo Calò?
– Angelo Calò?!
– E non fare il pappagallino, non è da te…
Rido, intanto gli attori si sono messi in fila indiana. La processione del giuramento. Sono ministri tecnici, sono professori universitari, esperti di economia, alcuni, altri, banchieri: la lobby fortissima dell’università Bocconi di Milano. Questi ultimi fanno sorridere di meno, un’ombra di dubbio, ma il maggior partito di sinistra non se l’è sentita di andare a elezioni anticipate. Sempre gli stessi errori: la paura di governare. Ed ecco l’unica soluzione: il Nuovo Governo salverà l’Italia dal baratro. Beh non proprio “salvare”. Diciamo risollevare le sorti del Paese, ricreare la credibilità dello Stato italiano in Europa. Basta con i risolini francesi e tedeschi; basta con le barzellette, le corna, i commissari tedeschi kapò, basta con Ruby rubacuore. Beh non proprio.
– Che ne dici allora di Angelo Maesano?
– Sì, mi piace… e così non disturbi nessuno.
– Stanno giurando, fanno una certa impressione…
– Cosa? Ah sì, il Nuovo Governo… staremo a vedere. Mi sta bruciando il sugo. Quando vieni? Ti aspetto. Ora però ti saluto. Non fare tardi e vattene a casa…
Ho seguito il suo consiglio. Sono tornata a casa. Ho cenato. Poi mi sono messa alla scrivania a scrivere. Sono stranamente felice. Gentile si è coricato intorno alle 23:00. Poi quel formicolìo al braccio sinistro, forse un pochino troppo forte e troppo insistente.
Si è girato per accendere la luce della lampada posta sul comodino. Forse c’è riuscito, forse no, non ha importanza. Si è trovato steso a terra e non ha avuto paura. La morsa più forte gli ha dipinto sul volto un curioso sorriso di felicità. L’indomani mattina Angelo Maesano mi ha avvertito. Sono rimasta stordita, ancora più stordita quando a Roma è stato aperto il testamento. Gentile mi ha insegnato a giocare delle buone partite. Questo non significa vincere sempre. Anzi, un buon giocatore sa che occorre a volte lasciare il tavolo da gioco a tasche vuote. Non aver nulla da perdere fa, di un buon giocatore, a suo modo un vincente. Mi sarà difficile fare a meno di lui.
Ho corretto il tiro. Ho scoperto che l’incapacità è figlia della fedeltà e che solo l’uomo intelligente tradisce. Ho scoperto dunque il grande mistero del culo della gallina. A volte gli uomini di potere amano circondarsi di esseri incapaci e per questo fedeli. Sono stata un testimone. Un testimone, per certi versi, scomodo, per altri, sorprendentemente capace di resistenza: un testimone di tre lunghi anni. Perché passano i giorni e non succede nulla di quanto ti aspetti. Perché passano le ore e ti accorgi che nessuno di questa parte del fronte del Nuovo Governo, ha interesse a vedere cosa siamo capaci di combinare. Tutt’altro direi. Mi pare, piuttosto, che si domandino come caspita io abbia fatto a sopravvivere senza il loro sostegno. E il sospetto è diventato una certezza. Sono stata messa agli angoli dalla stessa mia parte. Una strana gelosia per un cavallino di razza al quale nessuno fa troppa attenzione. Forse hanno notato che sono un buon corridore, che so tenere la distanza e poi staccare gli altri al momento giusto. Forse, ma ora non ha più importanza. Gentile me lo ha sempre detto Hai una marcia in più mia cara, ma questo non farà mai di te un trionfatore nell’arena, acclamato dal popolo accorso ai giochi. Non te lo permetteranno, e questa sarà la tua carta assolutamente vincente, anche se storci il naso bambina.
Vedrai, ho pensato, i briganti saranno disarmati, i potenti corrotti o sciocchi verranno disarcionati dagli stessi cavalli e privati delle loro arroganti armature. Neanche per sogno. Sono iniziate, invece, delle guerre trasversali della serie io non faccio fuori te, così tu non fai fuori me, una specie di braccio di ferro tra deficienti. Con un’aggravante: la percentuale di deficienza e di vendita di cervelli è andata aumentando percentualmente dall’una e dall’altra parte e, come al solito, il centro, il sano centro cristiano ha guidato la danza. Anche il mio cervello è stato messo in vendita. Venduto da quelli del lato B, quelli della parte mia; e io ho iniziato ad accumulare una serie di errori, uno dopo l’altro: ci sono rimasta male, mi sono battuta, ho lottato, ho pianto e alla fine ho accettato di essere venduta al mercato degli schiavi e per cosa? Ma certo, come no, per salvare l’Italia. Poi è accaduta una cosa inaspettata anche per me. Nonostante il mio cervello fosse stato venduto, ha continuato a funzionare e il tic tac ha provocato da una parte, la mia, un certo disturbo, dall’altra parte, la loro, un certo stupore. Mi è stata diagnosticata una malattia rarissima, non la mancanza di fedeltà, non il desiderio di vendetta rivoluzionaria, ma un coerente, spasmodico desiderio di legalità. Un desiderio allo stadio terminale della malattia. Una legalità giustizionalista che toglie il sonno non al malato, ma a chi lo ha in cura. Nel frattempo, il Sistema 4.4.2., che non è una pistola di ultima generazione, gestisce tutti gli asset amministrativi, i gangli interni della ferruginosa e gloriosa macchina da guerra della maggioranza parlamentare che, a sua volta, sostiene il moderno, esplorativo, innovativo, il nostro, famoso anche a livello internazionale, Nuovo Governo. Con l’anno nuovo sono tornati gli operai, gli stessi che, tre anni prima, hanno manifestato sotto le nostre finestre.
Solo oggi sono riuscita a tornare a Sperlonga. Due giorni dopo leggo dai giornali. È un bollettino di guerra. Venti contusi, scontri con la polizia, bombe carta esplose. Conosco bene quello che succede. Il Palazzo viene chiuso, chiuso anche il portone di bronzo. Noi siamo chiusi dentro e loro fuori. Dicono che lo fanno per la nostra sicurezza. Dicono che ci stanno proteggendo: in pratica, ci tengono in ostaggio dentro, mentre fuori si scatena l’inferno. Urla, fischietti, petardi, caschi ripetutamente battuti a terra. La via principale è chiusa, tutte le possibilità di fuga sbarrate. Gli audaci escono dal garage, ma c’è il pericolo che non si riesca più a entrare. Conosco come ci si sente. Topi in trappola. I mesi precedenti sono stati un disastro. La crisi entra nelle ossa, come umidità acida si infiltra nella schiena e non dà tregua alle articolazioni.
Il Nuovo Governo non fa altro che parlare di spread e di sacrifici, a volte parla di sviluppo, ma intanto lo spread sale e dello sviluppo neanche l’ombra. Al popolo resta il sacrificio. Il Nuovo Governo chiede a tutti gli italiani di fare i compiti a casa; in buona sostanza ci tratta come scolaretti un po’ cretini e un po’ disattenti. In questo mondo rovesciato, a febbraio cade la neve, anche a bassa quota, e si fa finta di nulla; a marzo arrivano i giorni della merla, i giorni più freddi dell’anno e si fa finta di nulla; ad aprile cade la Santa Pasqua, ma nessuno se ne accorge; a maggio iniziano i vertici europei, per lo più incontri bilaterali: io vengo da te, tu vieni da me, noi andiamo da lui, ma soprattutto lui è quasi fallito, noi ancora no. A giugno gli italiani sono tutti impegnati a fare i conteggi per pagare l’IMU. Luglio e agosto passano tra un terremoto e l’altro mentre una morsa di caldo mette in ginocchio l’Italia intera. A Roma non si respira e si suda. In ufficio, tutti moderatamente bianchi, non è più di moda essere abbronzati; per salvare l’Italia bisogna essere bianchi, leggermente sudati e, soprattutto, fare un uso improprio di aria condizionata in modo da prendersi un bel colpo della strega e comunque eroicamente venire lo stesso al lavoro. Sono ben visti anche piccoli incidenti domestici e attesi pigiama party per coloro che si sono beccati la faringite. Non si può sperare di meglio. Siamo infastiditi l’uno dall’altro, ma nessuno ha l’ardire di mandare a quel paese l’altro.
Intanto, fuori, c’è un’Italia che sta morendo. Ad agosto il mio sistema micro cellulare, brevettato in ventotto anni di servizio, va a puttane. Non riesco a trattenere niente, comincio a dimagrire a vista d’occhio, ma garantisco la mia presenza in ufficio fino alla fine del mese. In questo mondo rovesciato, io voglio continuare a vedere le cose diritte; c’è di peggio: voglio fare le cose diritte. Non c’è verso di farmi ragionare, nonostante sia mancina. Ho preso un mese sabbatico di ferie. Secondo la tradizione ebraica ogni sette anni cade un anno sabbatico. Un anno nel quale i campi sono lasciati a riposo, i crediti e i debiti sono annullati e gli schiavi ebrei acquistano la libertà. Si legge nella Torah: Alla fine di ogni sette anni celebrerete l’anno di remissione. Ecco la norma di questa remissione: ogni creditore che abbia diritto a una prestazione personale in pegno per un prestito fatto al suo prossimo, lascerà cadere il suo diritto: non lo esigerà dal suo prossimo, dal suo fratello, quando si sarà proclamato l’anno di remissione per il Signore. Potrai esigerlo dallo straniero; ma quanto al tuo diritto nei confronti di tuo fratello, lo lascerai cadere.
E ancora: Quando tu avrai acquistato uno schiavo ebreo, egli ti servirà per sei anni e nel settimo potrà andarsene libero, senza riscatto. Se è entrato solo, uscirà solo; se era coniugato, sua moglie se ne andrà con lui. Più modestamente ho deciso di prendere un mese sabbatico di ferie. Diventare grandi non significa rinunciare ai propri sogni. Diventare grandi non significa neppure tramutare i propri sogni in realtà, non sempre ci si riesce. Diventare grandi significa forse insegnare agli altri a credere nei propri sogni, significa forse dare una mano agli altri a scoprire quanti sogni hanno sepolto sotto un albero del giardino incantato. Significa forse scrivere storie. La verità non è sempre così dolorosa come ci sembra. La verità non è sempre così immodificabile come ci appare. Presto apriremo una nuova stagione e sarà diversa da tutte le altre che l’hanno preceduta. Sarà una stagione dove avverranno strani prodigi e il sorriso tornerà a brillare sulle labbra. Sarà una stagione particolarmente bella dove le parole si intrecceranno per raccontare storie nuove ad altri che verranno. Nel testamento di Gentile c’è scritto: «Ricordiamoci sempre chi siamo. Perché altro non siamo che l’acqua inquinata dall’agnello per il lupo». Mi alzo a guardare l’orizzonte del mare. Davanti il Monte Circeo, un bellissimo profilo di donna, è il profilo di colei che, secondo Omero, tramutò gli uomini in maiali e fece innamorare Ulisse. Ulisse dimentico di Itaca. Dentro questo orizzonte di mare, argento schizzato di lamine di blu elettrico, vedo lei, la maga Circe nuotare, e so di essere stata fortunata.
—————
Con una scansione temporale ossessiva simile a una sorta di diario che crea
binari paralleli, lui, un uomo di origini ebree, che diventa un giurista, e lei,
funzionario in un ufficio governativo di Roma, fanno i conti personali con la Storia, quella terribile della Shoah e quella della cronaca minore che agita i Palazzi del potere. Di loro si sa che hanno molto in comune: sognano e credono nella Giustizia, eppure potrebbero anche essere l’uno la fantasia dell’altro. Sullo sfondo, una Sperlonga di vicoli e vento o un mare dell’eterno ritorno. Intorno, personaggi indimenticabili come Sara, la madre di Gentile, e Angelo, l’amico attore. La ballata dei giorni della pioggia, una storia narrata con una scrittura potente fin dall’attacco iniziale, onirica, burocratica, grottesca attraversata da una tensione: la resistenza è uno stile di vita fuori dalla logica dei vinti e dei vincitori, perché è l’unica occasione di riscatto per gli agnelli in un mondo di lupi.
«La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia». (Gandhi)
Maria Caterina Prezioso è nata a Roma nel 1961. È autrice di poesie, Nelle rughe del muro (Ibiskos 1991); di drammaturgie, La risposta di Leonardo (con Giuliana Majocchi, Il Segnale 1996) messa in scena per la regia di Sergio de Sandro Salvati dalla Compagnia della Medusa (Teatro Oda di Foggia e Teatro Verga di Milano
– premio migliore spettacolo); La stanza – la festa dei Tuareg (Titivillus 2004) e di narrativa, Il gioco n. 33 (Il Ventaglio 1993), il Colpo (peQuod 2008), Cronache binarie (EDE 2011), Blu Cavolfiore (Golena edizioni 2013). Alcuni suoi racconti e novelle sono stati pubblicati in diverse riviste di letteratura («Storie», «Omero», «In-Edito», «TutteStorie», «EllinSelae»). Attualmente collabora con la rivista «Satisfiction».
Per info e materiali editoriali: Book Media Events – bookmediaevents.wordpress.com – Isabella Borghese info.bookmediaevents@gmail.com
romanzo, letteratura, prezioso, kogoi, sperlonga, shoah, potere, giustizia, ebrei, ebraico, ebraica, circeo, governo monti, austerità, debito