Accogliendo il ricorso dell’anti-Brexit Gina Miller, l’Alta Corte ha riconosciuto il diritto del Parlamento di decidere se attivare l’Articolo 50 del Trattato di Lisbona e avviare ufficialmente il negoziato per l’uscita dalla Ue
di Giulio AF Buratti
Il governo britannico deve presentare «senza ritardi» i termini del negoziato sulla Brexit al Parlamento di Westminster. Lo chiede Jeremy Corbyn, leader del Labour, commentando il verdetto dell’Alta corte che dà torto all’esecutivo di Theresa May sull’attivazione dell’articolo 50. Il Labour inoltre «rispetta il risultato del referendum», ma chiede al primo ministro «trasparenza e responsabilità». L’Alta corte di Londra, infatti, in mattinata ha accolto il ricorso di un gruppo di attivisti pro Ue che chiedono un voto del Parlamento di Westminster per avviare l’iter della Brexit. Il giudice ha dato così torto al governo di Theresa May che rivendica il pieno diritto d’invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. È atteso un appello del governo contro la decisione.
«Il principio fondamentale della costituzione del Regno Unito è che il Parlamento è sovrano», ha detto il giudice dell’Alta corte, Lord Thomas of Cwmgiedd, nel leggere il verdetto. Come sottolineano i media britannici, non solo si tratta di una forte umiliazione per il governo di Theresa May ma questo di sicuro avrà ripercussioni sui tempi della Brexit, rallentandola. Secondo il Guardian, non è comunque la fine di questo storico caso legale, che vedrà la sua conclusione molto probabilmente di fronte alla Corte suprema, che già si starebbe preparando per dibatterlo.
La sterlina, intanto, è in rialzo dopo il verdetto sulla Brexit. Il pound è salito a oltre 1,24 dollari, guadagnando circa l’1% sulla divisa americana. Nel cross con la divisa europea, la sterlina si apprezza dell’1,3% a 0,8907 pence per euro (0,9029 la chiusura di ieri).
Il verdetto dell’Alta corte sull’avvio della Brexit «scatenerà la rabbia» della gente. Lo ha affermato Nigel Farage, leader dell’Ukip, sul suo profilo Twitter.
La stragrande maggioranza dei deputati britannici aveva dichiarato prima del referendum di essere a favore della permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea. Secondo il prospetto della Press Association, rilanciato dalla BBC dei 650 deputati britannici ben 480 avevano dichiarato che avrebbero votato a favore del Remain al referendum del 23 giugno. Altri 159 deputati si erano schierati per il Leave. Infine undici non avevano espresso pubblicamente il loro parere. In totale, i deputati europeisti erano 310 più dei loro avversari. Se guardiamo ai partiti, fra i Tories in 184 si erano espressi per il Remain, 139 per il Leave e quattro non si erano schierati pubblicamente. Fra i laburisti in 218 erano sul fronte europeista e in undici in quello opposto. Tutti gli otto liberaldemocratici erano per il Remain, come i 56 nazionalisti scozzesi dell’Snp, i tre del partito di sinistra gallese Plaid Cymru, i quattro del Sinn Fein nord irlandese, i tre del partito social democratico nordirlandese Sdlp, la deputata verde, quella indipendente e i due del partito Unionista dell’Ulster. Infine erano per il Leave gli otto deputati dell’altro partito unionista nordirlandese (Dup) e naturalmente l’unico deputato del partito euroscettico Ukip.
La questione della Bexit, oltre ad alludere in generale al rispetto della sovranità popolare, è l’esito di uno scontro interno alla borghesia britannica, una parte della quale avrebbe evidenti vantaggi dall’uscita dall’Ue, ma ha spaccato anche la sinistra, l’estrema sinistra, che, come in altre parti d’Europa vive torsioni sovraniste e speranze di un’alternativa all’Europa dei padroni. Secondo Ken Loach, schieratissimo regista inglese di estrema sinistra, la Brexit avrà delle conseguenze sugli stipendi dei lavoratori britannici che pagheranno il prezzo dell’uscita del Paese dall’Unione europea. «Mi sembra che molte imprese se ne andranno perché vorranno rimanere nell’Ue e avere accesso a questo mercato», ha spiegato pochi giorni fa Loach, a Parigi per presentare “Moi, Daniel Blake”, Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes.
«Gli uomini politici britannici vorranno attirare altri investimenti in Gran Bretagna per sostituirli. L’unico modo per poterlo fare è quello di offrire una manodopera a buon mercato. Per cui la disoccupazione di nuovo tirerà verso il basso il valore del lavoro», ha aggiunto. Ken Loach aveva invitato a votare per il mantenimento nell’Ue al referendum del 23 giugno. Il regista 80 anni ha inoltre affermato che la Brexit è una “cattiva notizia” anche per il cinema britannico perché lo priverà degli aiuti europei mettendo a rischio gli accordi di co-produzione che “dipendono molto dalla libera circolazione dei lavoratori”.
Se il referendum del 23 giugno aveva fatto chiarezza sul quesito Brexit Sì-Brexit No, la decisione dell’Alta Corte britannica apre un terzo scenario: Brexit, forse. Accogliendo il ricorso dell’attivista anti-Brexit Gina Miller, i giudici dell’Alta Corte hanno riconosciuto il diritto del Parlamento di decidere se attivare l’Articolo 50 del Trattato di Lisbona e avviare ufficialmente il negoziato con Bruxelles per l’uscita dalla Ue. È stata così ribaltata l’impostazione del governo guidato da Theresa May, che rivendicava l’esclusiva responsabilità di Downing Street sulla questione, al punto da indicare una data, marzo 2017, per l’avvio del processo di uscita. In fondo, quello sostenuto dalla premier e dal fronte pro Brexit, decisi ad evitare il pronunciamento del Parlamento, era un paradosso politico, uno dei tanti innescati dal referendum. L’intera campagna per l’uscita dalla Ue era stata impostata proprio sulla necessità di consentire a Westminster di riappropriarsi della piena sovranità ceduta a Bruxelles ed ora lo stesso governo britannico intendeva negare al Parlamento di Londra la possibilità di esprimersi su una decisione di tale portata storica. Il ricorso in appello che il governo ha già annunciato di voler presentare davanti alla Corte Suprema, il tribunale di ultima istanza, secondo gli esperti ha scarse possibilità di essere accolto.
In teoria, se l’appello del governo dovesse essere bocciato, l’esecutivo potrebbe tentare un estremo ricorso davanti alla Corte europea di Giustizia. E questo sì che sarebbe un altro paradosso. Quindi, se non ci saranno sorprese e anche se «Brexit significa Brexit», come ha più volte ripetuto in questi mesi Theresa May, spetterà comunque alla Camera dei Comuni e a quella dei Lord decidere se e quando dare il via alla pratica di divorzio dalla Ue. La domanda alla quale al momento è però impossibile rispondere è come il Parlamento verrà consultato. Sarà sufficiente un semplice voto Sì o No, una sorta di referendum parlamentare che confermi o ribalti l’esito di quello popolare? O sarà invece necessario varare una legge che stabilisca i termini del pronunciamento parlamentare? Se questo dovesse avvenire, i tempi si allungherebbero, e non di poco, e si aprirebbero scenari inediti e rischiosi per il governo. Al momento è anche impossibile prevedere l’esito del voto parlamentare. Sulla carta, tra i 650 deputati che siedono ai Comuni, 479 durante la campagna referendaria erano schierati per la permanenza nella Ue, compresi circa la metà dei deputati conservatori. Ma a partire dal 23 giugno, molte cose sono cambiate. Molti deputati, con la vittoria della Brexit, hanno scoperto di rappresentare collegi nei quali la maggioranza degli elettori si era schierata per il divorzio dall’Europa.
Col sistema elettorale britannico, per un deputato sarebbe un suicidio elettorale votare in Parlamento in palese contraddizione con la volontà espressa dalla maggioranza degli elettori del suo collegio. Una decisione in massa in questo senso, spalancherebbe le porte ad un prepotente ritorno sulla scena politica dell’Ukip, il partito euroscettico di Nigel Farage, che dopo il referendum sembrava aver esaurito la sua parabola politica. Per risolvere il conflitto tra ciò che la stragrande maggioranza dei parlamentari ritiene (o riteneva) essere nell’interesse nazionale, vale a dire la permanenza nell’Unione europea e la volontà della maggioranza degli elettori che hanno votato per la Brexit, ci sarebbe solo un modo: convocare elezioni anticipate. Per farlo, è richiesta una maggioranza dei due terzi dei deputati della Camera dei Comuni, ma con il partito Laburista in forte difficoltà secondo i sondaggi è improbabile che ciò avvenga. In questo contesto, gli unici voti sicuri contro la Brexit sono quelli dei deputati dello Scottish National Party. Alla fine, come suggerisce Anand Menon, direttore del think tank ‘UK in a Changing Europe’, la decisione di oggi dell’Alta Corte molto probabilmente non fermerà la Brexit, ma le darà un’ulteriore legittimazione. Il Parlamento, adeguandosi alla volontà popolare, voterà per il Sì all’uscita dalla Ue, limitandosi a imporre dei paletti politici al governo di Theresa May. Tra questi, probabilmente, la permanenza nel mercato unico europeo, che però potrà essere accordata da Bruxelles solamente se Londra accetterà quelle regole su libertà di movimento delle persone e immigrazione contro le quali si è votato nel referendum di giugno.