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Usa, riot e arresti ai cortei anti-Trump

Ancora manifestazioni anti Trump. riot a Portland e minacce del Ku Klux Klan. Verso una mobilitazione nazionale nel giorno dell’investitura a Washington il 20 gennaio

di Francesco Ruggeri

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Continuano le proteste anti-Trump in diverse città degli Stati Uniti e campus universitari. Secondo quanto riferiscono i media americani, a Portland, nell’Oregon, la polizia ha usato lacrimogeni e granate stordenti per disperdere la folla dopo che centinaia di manifestanti hanno marciato in città bloccando il traffico e sporcando i muri con i graffiti. Il corteo è iniziato in maniera pacifica, ma è presto degenerato in atti di violenza dopo che i dimostranti si sono uniti a un gruppo anarchico iniziando a danneggiare auto ed edifici. Durante i disordini, ‘alcuni oggetti in fiamme’ sono stati lanciati contro i poliziotti che hanno risposto con i lacrimogeni.

L’America, da New York a Los Angeles, ha vissuto un’altra notte di marce e sit-in sotto lo slogan ‘Not my president’. A mobilitarsi, in queste ore, i settori più radicali che avevano sostenuto Sanders, l’estrema sinistra Usa, collettivi di studenti, antirazzisti e quel variegato mondo che aveva dato vita al movimento Occupy Wall Street. L’impresa è quella di costruire un movimento di base contro le deportazioni di massa di immigrati e un giro di vite sulle comunità musulmane, contenute nel programma di Trump. Restano i timori di un’escalation della tensione, di un’ondata di violenza, alimentata anche da segnali che arrivano dal fronte opposto: dalla ‘parata della vittoria’ annunciata dal Ku Klux Klan per il prossimo 3 dicembre in North Carolina al moltiplicarsi di minacce a sfondo razzista, religioso o sessuale nelle scuole, nelle università, su internet e in alcuni luoghi pubblici, con inni al ‘potere bianco’, cori per ‘costruire il muro’, svastiche associate a Trump. Uno scenario conflittuale dove si inseriscono anche figure istituzionali, come il sindaco di New York Bill de Blasio, che ha promesso di resistere ai piani più controversi di Trump sull’immigrazione se il presidente eletto deciderà di metterli in pratica. Il primo cittadino ha già detto che farà di tutto per non aprire al tycoon il database di New York con le identità di oltre 850mila immigrati illegali che vivono in città, la stessa del magnate. Che la situazione possa diventare esplosiva sembra averlo capito anche Trump, che ha rilanciato via twitter il suo auspicio di unità dopo aver attaccato i manifestanti come «contestatori di professione, incitati dai media». «Amo il fatto che i piccoli gruppi di manifestanti la scorsa notte abbiano mostrato passione per il nostro grande Paese. Ci uniremo tutti e ne saremo orgogliosi», ha corretto il tiro. Anche Barack Obama ha ripetuto il suo appello all’unità, nel suo intervento in commemorazione dei reduci militari, ad Arlington: «L’istinto americano è quello di trovare la forza nel nostro credo comune, forgiare l’unità dalla nostra grande diversità, mantenere quella forza e unità anche quando è difficile». Come in questo momento. Ma per ora prevalgono la rabbia, la frustrazione, l’incapacità di metabolizzare una sconfitta cocente, il timore di una totale inversione di rotta dopo l’inclusiva era Obama.

Le proteste sono degenerate a Portland, dove migliaia di persone hanno marciato cantando «rifiutiamo il presidente eletto», mentre alcuni accendevano petardi, appiccavano piccoli roghi, usavano pietre e mazze da baseball per rompere vetrine e auto parcheggiate. La polizia è stata costretta ad intervenire con manganelli, proiettili di plastica e spray urticanti per disperdere la folla, arrestando in totale una trentina di manifestanti. Gli organizzatori del corteo hanno condannato i vandalismi, a loro avviso opera di frange estremiste che le forze dell’ordine hanno identificato con gruppi anarchici, e si sono impegnati a ripulire le strade, nonché a raccogliere fondi per ripagare i danni. A Los Angeles le proteste sono state prevalentemente pacifiche ma 185 persone sono state arrestate per blocchi stradali. Un agente è rimasto ferito in modo non grave. Anche a Denver gli attivisti hanno puntato sul blocco del traffico, lungo la interstate 25 e l’autostrada da Minneapolis e Los Angeles, ma non ci sono stati fermi. A Oakland invece un gruppetto si è confrontato con la polizia, che ha arrestato 11 persone. Senza problemi i cortei a San Francisco, dove sono spuntate anche bandiere arcobaleno e messicane, a Filadelfia e Baltimora. A Chicago e New York la protesta si è concentrata davanti alle Trump Tower, con slogan e cartelli anti tycoon. «Trump non sarà il mio presidente», hanno gridato i protagonisti dell’omonimo movimento nato su Facebook nella notte di martedì e che ha riunito in 25 città giovani, universitari, docenti, sostenitori democratici, simpatizzanti di Hillary Clinton. Sui social il movimento ha convocato una grande protesta di fronte al Campidoglio, a Washington, il giorno dell’investitura di Trump, il prossimo 20 gennaio. «Unitevi a noi il giorno dell’investitura per far sentire la vostra voce. Ci rifiutiamo di riconoscere Trump come presidente degli Stati Uniti e ci rifiutiamo di prendere ordini da un governo che mette gli intolleranti al potere», si legge su Facebook. La protesta promette di proseguire.

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