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Metalmeccanici, perché il nuovo contratto è un veleno per la Fiom

Centinaia di delegati Fiom smentiscono l’allegria di Landini: il nuovo contratto è molto di più di un pessimo accordo è un modello che mina la sindacalizzazione e la solidarietà fra lavoratori

di Giulio AF Buratti

landini (fiom), bentivogli (fim) e Renzi nel 2015
landini (fiom), bentivogli (fim) e Renzi nel 2015

«Non si tratta di discutere se 92 euro di aumento siano tanti e pochi. Per il semplice motivo che non sono 92, non sono certi e non sono per tutti», centinaia di delegati Fiom smentiscono l’entusiasmo di Landini per il nuovo contratto dei metalmeccanici e inorridiscono ai sorrisi delle photo opportunity per la ritrovata unità con Fim e Uilm.

Infatti si arriva a tale cifra solo sommando 51 euro di aumenti salariali al resto delle misure di welfare aziendale (7,69 euro di aumento sulla previdenza, 12 sulla sanità, 13,6 di welfare, per un totale di 85 euro mensili che arrivano a 92,68 con la quota per il diritto alla formazione continua).

Pochi spiccioli. E tanta confusione. «Innanzitutto perché si sommano voci di salario diretto a prestazioni di welfare, come se si trattasse di voci sostitutive l’una dell’altra. In secondo luogo perché si sancisce che si possa accedere a tale “aumento” solo accettando di far parte del welfare integrativo: non un diritto universale, ma basato su un rapporto con un fondo privato o con un fondo aziendale», spiegano i firmatari di un appello che lancia per il prossimo 6 dicembre a Firenze un’assemblea nazionale contro l’accordo.

E nemmeno i 51 euro salariali sono certi e per tutti. Non lo sono perché riassorbibili da tutti gli aumenti “fissi collettivi della retribuzione eventualmente concordati in sede aziendale” (con l’esclusione di quelli legati alla modalità di effettuazione della prestazione lavorativa).

Non lo sono perché sono aumenti solo “stimati”. L’effettivo importo verrà deciso ex-post: dopo la comunicazione annuale da parte dell’Istat dell’Ipca. L’Ipca (Indice Prezzi al Consumo Armonizzato) è un calcolo dell’inflazione che esclude dal paniere le voci energetiche importate. Un metodo truffaldino, dalla Fiom in passato contestato, che di fatto regala alle aziende la possibilità di pretendere una sorta di scala mobile al contrario. E se non bastasse, questa destrutturazione dell’aumento salariale si lega a una parte normativa estremamente negativa.

In primo luogo, passa quasi sotto silenzio il fatto che la Fiom firmando questo contratto abbia accettato contemporaneamente il contratto separato del 2012 precedentemente osteggiato, passa tutto quello che non è espressamente modificato, per esempio l’aumento delle ore di straordinario obbligatorio, le ore di flessibilità e la malattia.

«Se la Fiom ha ragione oggi, aveva torto ieri. Se aveva ragione ieri, ha torto oggi», viene spiegato dall’opposizione in Cgil, l’area de Il Sindacato è un’altra cosa. «Per la prima volta, gli aumenti salariali di un ccnl non sono certi ma soltanto prevedibili – aveva detto la coordinatrice dell’area, Eliana Como, nel CC della Fiom di domenica scorsa – in ogni modo, se anche l’andamento dell’inflazione da qui al 2019 fosse quello previsto oggi, l’aumento sarebbe di 51 euro in quattro anni!».

Il contratto 2012 era stato osteggiato per misure come aumento degli straordinari obbligatori, flessibilità oraria, penalizzazione della malattia e apertura alle deroghe. «Tutto questo viene recepito, con buona pace di 8 anni di battaglie. E c’è in fondo un legame diretto tra il fatto che si accetti la penalizzazione della malattia (contratto 2012) e la limitazione della 104 («con l’attuale rinnovo – spiega ancora Como – si accetta che i lavoratori e le lavoratrici debbano dire quando saranno in permesso addirittura 10 giorni prima che inizi il mese di riferimento. Se anche sono fatte salve le urgenze, nella pratica questo determinerà un netto peggioramento nell’utilizzo dei permessi») e dall’altro si apra alla sanità integrativa. Quando lo faceva la Fim nei contratti separati, la Fiom si inalberava, giustamente. Diritto universale alla salute, all’assistenza e alla malattia sono inversamente proporzionali a qualsiasi forma di integrazione della sanità. In seconda battuta questo contratto, come dimostra la gioia di Renzi, Poletti e Federmeccanica, risponde a un obiettivo e un modello ben preciso».

Gli obiettivi che si poneva il fronte padronale possono essere riassunti in tre grandi capitoli:

blocco dei salari, ogni qualsiasi aumento dovrà venire a livello aziendale, in modo totalmente variabile e in cambio di aumento dei carichi di lavoro, indebolendo sempre di più la “paga oraria”;

– introdurre un sistema di fidelizzazione del lavoratore attraverso una rete di benefits aziendali;

sfondare sul terreno dell’orario, con 80 ore a disposizione delle aziende per prolungare l’orario settimanale fino a 48 ore, adattando la vita del lavoratore a esigenze e fluttuazioni del mercato.

«Dal punto di vista di Federmeccanica la missione è compiuta. I premi aziendali sono dichiarati variabili in maniera stringente: collegati a quella produttività che il lavoratore non controlla e che non determina di certo da solo. Si introducono una serie di misure di welfare aziendale e di benefits aziendali. E si allargano le possibilità della plurisettimanalità: la settimana lavorativa deve essere “mediamente” di 40 ore, allungabile e accorciabile a seconda delle esigenze».

E’ qualcosa di più di un pessimo contratto. E’ un modello che lentamente, ma inesorabilmente, mina la stessa sindacalizzazione. «Si mettono in moto tutti quei processi che legano il lavoratore a mille fili all’andamento della “sua” azienda. Si recepiscono quei meccanismi che spaccano il fronte tra lavoratori di aziende “che tirano” e aziende in crisi. Si crea un interesse diretto del lavoratore a non fermare mai la macchina aziendale, magari con uno sciopero che mina la produttività. Si pensa di salvarsi entrando sotto l’ombrello del rapporto bilaterale sindacato-azienda dove il lavoratore trova conveniente aderire al sindacato per aderire ai servizi che ne derivano. Ma questo modello è veleno per la Fiom. E’ l’approdo a un aziendalismo che oggi si rivolge contro le punte avanzate dell’organizzazione e domani contro l’organizzazione intera».

Tutto ciò senza aver mai posto realmente il rifiuto del Jobs Act (che Landini aveva giurato di smontare fabbrica per fabbrica) e la richiesta a Cisl e Uil di disconoscere la firma del contratto separato in Fiat.

L’appuntamento di Firenze servirà ad attrezzarsi perchè le ragioni del NO all’accordo siano conosciute, sostenute, argomentate e diffuse nelle assemblee e infine nel referendum del 19-20-21 dicembre nonostante le regole tutt’altro che democratiche della consultazione non consentano che il NO abbia la stessa agibilità del SI durante il percorso referendario. «Il nostro NO deve vivere da subito, soprattutto nelle grandi fabbriche, nella battaglia della consultazione sul contratto, e diventare un punto di riferimento per affermare una pratica sindacale opposta a quella dell’attuale gruppo dirigente».

«E’ evidente che rispetto alla piattaforma presentata da Federmeccanica lo scorso anno ci sono stati dei miglioramenti – spiega Eliana Como a Popoff – ed è altrettanto evidente che quando si dice che una ipotesi di accordo non va bene, si deve pensare a quale sarebbe l’alternativa se non si firmasse. Ma sono due argomenti che usavano Fim e Uilm nel 2009 e nel 2012. Noi giustamente rifiutammo allora quella logica. Peraltro non ho affatto capito la ragione di questa accelerazione dei tempi. Mi viene da pensare che si volesse chiudere prima del 4 dicembre. Non so se sia così, ma penso in ogni modo che aver firmato prima del referendum costituzionale sia un errore. Questo consegna al governo la possibilità di propagandare l’idea di un paese rappacificato, con la promessa di una chiusura imminente della vertenza dei lavoratori e delle lavoratrici pubbliche e in cui anche i metalmeccanici e le metalmeccaniche firmano il loro contratto. La nostra campagna per il No andrà avanti anche dopo il 4 dicembre!».

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