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Otto mesi di condanna per l’evasa No Tav, Nicoletta Dosio

Udienza fulminea, inaccessibile al pubblico e condanna per Nicoletta Dosio, colpevole di essere evasa dai domiciliari, una misura ingiusta, infondata di repressione politica

di Checchino Antonini

++ Convalidato arresto della pasionaria dei No Tav ++

Otto mesi di reclusione per Nicoletta Dosio, processata a Torino per il suo rifiuto di attenersi agli arresti domiciliari. La storica militante del movimento No Tav, difesa dagli avvocati Valentina Colletta ed Emanuele D’Amico, verrà quindi ricollocata ai domiciliari nella sua casa di Bussoleno. «Continuerò a disobbedire – ha ribadito al termine dell’udienza lampo inaccessibile al pubblico – E lo farò per me, per la lotta contro la Tav e per i compagni che, come me, sono stati condannati ingiustamente». L’insegnante, ora in pensione, colpita da misura cautelare il 22 settembre, si era ripetutamente allontanata dal suo domicilio.

Eppure non ci sono rischi di inquinamento probatorio, non c’è rischio di fuga né di reiterare il reato. In più ha 71 anni e non può essere reclusa in prigione. Lo scrive il procuratore della Repubblica di Torino, Spataro, il 28 novembre, tutt’altro che tenero coi movimenti sociali, chiedendo la revoca delle misure cautelari per Nicoletta Dosio come «misura razionale per interromepere una ritualità mediatica finalizzata alla propaganda delle ragioni della militanza anti Tav». Richiesta respinta il 3 novembre e fissazione del processo di ieri. Sia chiaro, Spataro non è un garantista e ritiene che Nicoletta sia dedita alle «attività illegali della parte minoritaria (del movimento No Tav, ndr) di cui ella fa parte» ma si rende conto (richiesta-revoca-della-misura) che la Procura “con l’elmetto” non ci fa un figurone ad accanirsi su una signora assolutamente pacifica ma determinata a contrastare un’opera che considera «dannosa, inutile, fonte di sprechi e ricettacolo corruttivo». Contro Nicoletta c’è un evidente utilizzo politico e ingiustificato delle misure di prevenzione per tentare di separare, si legge tra le righe del documento della Procura, i buoni dai cattivi. Operazione quanto mai difficile nei confronti del più longevo dei movimenti popolari di questo paese.  

Si legge su NoTavInfo che alle 7 di ieri mattina,

«mentre Bussoleno cominciava a svegliarsi, i Carabinieri sono andati a prelevare Nicoletta direttamente a La Credenza, la casa della sua evasione e punto di riferimento per il movimento NoTav. Caricata in auto, si sono recati al Tribunale di Torino dove poco dopo si sarebbe tenuta la comunicazione della sentenza per il processo per reato di evasione. Una sentenza flash, venti minuti per comunicare la condanna di 8 mesi senza condizionale e il risarcimento delle spese processuali e alle 8:45 era già finito tutto. In un’aula completamente vuota Nicoletta arriva per prima, ad aggiungersi solo Pm, Giudici, Avvocati Difensori. Nessun NoTav presente, nessun giornalista, nessuna voce che potesse portare fuori informazioni. Ma il processo, garantiscono tutti, era a porte aperte! Eppure “qualcuno deve averle inavvertitamente lasciate chiuse”, hanno spiegato in tribunale ai tanti notav presenti che hanno provato ad accedere alla sala senza riuscirci. E’ interessante come il timore che la notizia prenda forma tocchi così da vicino Spataro e tutto il suo bislacco entourage. E’ davvero ridicolo il modo in cui questo processo prosegue. Tutto viene fatto in tempi strettissimi e in orari improbabili. Il tutto per tenere a tacere una situazione (folle) in cui si sono andati ad incastrare Giudici e Pm e dalla quale non sanno bene come uscirne. Tra una quindicina di giorni il verdetto sull’attuazione della pena.

Il gesto di Nicoletta “è un modo per rivendicare la nostra lotta e farla conoscere dappertutto”. Insieme continueremo a sostenere Nicoletta e le sue scelte, che sono le nostre perché, come lei stessa ha aggiunto: “Il segno della nostra resistenza è una speranza e un esempio per tanti. Noi l’abbiamo detto: questi tribunali ci condannano, ma la storia ci assolverà”.

Scriverà Nicoletta una volta tornata a casa:

Si può andare ad un processo dal quale ci si aspetta una condanna, andarci forzatamente, prelevati dai carabinieri e, nonostante tutto, essere felici.
C’è quel cielo dell’alba là in fondo,che dilaga sui prati coperti di brina, sui grigi capannoni della periferia, e si impiglia nei rami spogli dei viali cittadini.
Il processo al tribunale di Torino si conclude ad alta velocità: una sentenza fulminea – otto mesi senza condizionali – pronunciata prima ancora che gli avvocati abbiano avuto il tempo di indossare la toga, prima ancora che siano state aperte al pubblico le porte dell’aula: altri casi premono, altre vite da passare al tritacarne, nella catena di montaggio della ingiustizia quotidiana.
Fuori dall’aula mi attendono compagne e compagni, qualcuno arrivato da lontano, Milano, Brescia, Roma. Un abbraccio veloce, sottratto alla procedura che mi vuole immediatamente riportata alla casa dei miei affetti, quella che ho lasciato per amore, perché non fosse trasformata nella mia prigione.
Ed ecco, dall’autostrada, venirmi incontro una gloria di montagne, una teoria di cime innevate contro il cielo terso, dalla geometria del Monviso, alle sagome delle Alpi Graie che si perdono in lontananza. Ma ad annunciare davvero la Valle sono la Sacra e il Musinè, il profilo inconfondibile del Rocciamelone.
Bussoleno mi accoglie nel tepore di un sole di dicembre che sa già di primavera. Via Torino, via Battisti, via San Lorenzo, i cedri argentei della mia casa, Argo al cancello che uggiola di gioia, sospeso tra l’entusiasmo e l’incredulità. Fra qualche istante mi saranno tutte intorno le dolci creature della mia quotidianità interrotta e mi seguiranno per le stanze, fino al sottotetto dove vivono i miei libri. 
Riparto senza voltarmi indietro, per non vedere lo sguardo triste di Argo, attraverso le sbarre.

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