Storie di Dp nel veronese. Giovani, operai, studenti che contrastavano il malgoverno della Dc. E a volte vincevano. Trent’anni dopo si sono rivisti. E c’era l’inviato di Popoff
di Enrico Baldin
Un vecchio cartello elettorale recitava “Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare”. Sotto i Blues brothers e ancor più sotto l’invito all’adesione a Democrazia Proletaria. A 26 anni dal suo scioglimento il gioco – nella politica e nella società italiana – si è fatto ancora più duro, e del “piccolo partito dalle grandi ragioni” qualcuno sente la mancanza. Un clima di nostalgia e di amarcord si avverte tra un gruppo di vecchi militanti di Democrazia Proletaria del veronese. Alcuni di loro hanno abbandonato la politica del tutto, qualcun altro milita nelle formazioni dell’attuale sinistra (Rifondazione e S.I.), qualcuno dà il suo contributo alla società in qualche altro modo. Altri ricordano qualche vecchio compagno non con considerazioni positive: «Lo sai che adesso sta con Renzi quello?» – dicono di un ex consigliere regionale – «L’ho sempre detto fosse destro» commenta amaramente qualche altro.
Provincia di Verona, zona tra il lago di Garda e il monte Baldo. Come gran parte del Veneto questo era un territorio bianco, in cui la Democrazia Cristiana faceva il bello e il cattivo tempo. Nella seconda Repubblica il bianco si è tinto di verde, e a dominare le istituzioni in maniera quasi incontrastata la Lega Nord che oggi si trova a competere – nelle elezioni locali – con Flavio Tosi divenuto ormai un rivale che nel veronese conserva ancora un certo seguito. Un territorio da sempre difficile per chi si oppone, ancor di più per chi si oppone in maniera tosta.
«Credevamo moltissimo in ciò che facevamo» ci dice Leo mentre inizia a raccontarci la storia di Democrazia Proletaria in quei territori. Nel 1972 un gruppo di ragazzi mette in piedi un circolo culturale dedicato alla memoria dell’anarchico Franco Serantini: Baffo, Jack, Bresaola, Gianky e altri si ritrovano per discussioni, momenti ricreativi e culturali trovando come riferimento la nuova sinistra e come compagni di strada un gruppo di scout cattolici con passione internazionalista. In quel periodo esisteva un conflitto nelle fabbriche e i giovanotti non ne erano esenti. Mirko, uno dei più giovani dell’allora D.P. ci accompagna davanti ad un fabbricato dismesso: è quel che resta della “Cometti”, una vecchia fabbrica di Caprino Veronese che produceva interruttori elettrici e che ha impiegato fino a 350 dipendenti: «Alcuni di noi lavoravano lì dentro». Appena dopo è visibile l’ospedale, oggi chiuso. «Tutto iniziò con lo spostamento delle sale parto in una struttura privata convenzionata» ci racconta Giuseppe che amichevolmente chiamano “El Bepo”. «Lo dicevamo che era l’inizio dello smantellamento della sanità pubblica di questo territorio, trent’anni dopo ci hanno dato ragione». Ci si ride sopra, ma tutti paiono riconoscere che le proprie tesi vengono sempre confermate a posteriori. Il “trent’anni dopo” pare essere un leitmotiv di giornata.
Poco distante vi è una fabbrica tessile che all’epoca venne occupata. Vecchie foto in bianco e nero, immagini di cortei e di picchetti. In una foto una ragazza tiene in mano un cartello: “Abbasso i krumiri”. E’nel periodo in cui si incontrarono le vertenze operaie che quelli del “Segantini” divennero più compiutamente una realtà riconosciuta nel territorio. L’attivismo era intensissimo: corsi per aiutare a prendere il diploma di terza media a chi non aveva potuto studiare, sportello di consulenza agli inquilini: oggi lo chiamerebbero “partito sociale”. Anna mi fa vedere un giornalino scritto a mano e ciclostilato da Gigliola che chiamavano “L’angelo del ciclostile”: «E’il numero speciale in cui parlammo del lavoro della commissione salute sulle presenze di collanti e altre sostanze inquinanti», mi dice mentre ricorda l’ennesima vertenza sindacale. Uno scatolone pieno di giornalini, volantini e altre carte ingiallite testimonia l’enorme mole di lavoro che in quegli anni era stata messa in piedi. «Avevamo provato anche a mettere su una radio» ricorda Mirko. «C’eravamo divisi per capire fin dove si sentiva, ma le frequenze non arrivavano neppure alle frazioni del paese» sottolinea con rammarico. «Potevamo insistere» dice qualcuno, «Si potrebbe ancora fare, il palo di cemento c’è ancora?» scherza qualcun altro.
Man mano che raccolgo le testimonianze, la curiosità di raccontarsi fa spazio all’orgoglio di ciò che si è fatto. Leo, che per D.P. fu consigliere comunale d’opposizione a Caprino Veronese, mi porge un calendario, anche questo fatto a mano, roba da far impallidire i grafici di oggi. Per ogni mese un consigliere comunale democristiano di Caprino Veronese veniva satiricamente preso in giro e ritratto con gli abiti da giullare. E poi foto sbiadite di manifestazioni contro il nucleare, per la pace e contro i missili. E ancora un numero speciale de “L’arcobaleno” sul progetto di discarica da realizzarsi nella frazione di Ruina, una battaglia vinta: «No, non l’hanno più fatta» dice ancora Leo, con la soddisfazione che almeno in quel caso non si sono attesi trent’anni per dar loro ragione. Tante battaglie per l’ambiente. Raffaello, ex consigliere comunale demoproletario nel piccolo comune di Affi oggi è attivo in Legambiente e ha la passione per la fotografia: «Ci eravamo battuti perché venisse istituita un’area naturale protetta nella zona del monte Baldo». Su questo, complici le lobby dei cacciatori e del cemento, trent’anni dopo non li hanno ancora dato ragione. A Caprino la piccola D.P. sfiorava il 10%: «Eleggevamo un consigliere comunale e mezzo» scherza ancora Leo, che ricorda che il secondo consigliere comunale in due occasioni non era scattato per pochi voti.
Nel piccolo comune confinante di San Zeno di Montagna (poco più di 1000 abitanti) invece Democrazia Proletaria aveva il sindaco e alle regionali del 1985 era arrivata anche al 30%. A testimoniare l’esperienza è Giuseppe Campagnari, primo cittadino per dieci anni del piccolo comune. «Ero stato eletto quasi per caso» scherza oggi. «Tornai per un permesso dal servizio di leva e mi chiesero di candidarmi» ricorda Campagnari. «Io, che mi davo parecchio da fare nell’opposizione alla D.C., accettai e mi ritrovai capolista di una civica». San Zeno è un piccolo comune a 700 metri di altitudine che si affaccia sul Garda. Una località tranquilla e frequentata durante le ferie estive dove prima dell’amministrazione Campagnari la gestione dell’urbanistica era a dir poco allegra: «L’amministrazione stava mettendo in atto una speculazione edilizia autorizzando a costruire seconde case a tutto spiano» ricorda Campagnari. Su questo, sulla gratuità del trasporto scolastico, sulla battaglia dei coltivatori condotta nel ’73 per il mantenimento della sede locale della cooperativa sociale, la sua lista vinse. E Giuseppe Campagnari si ritrovò sindaco: «Annullai le autorizzazioni a 140mila metri cubi di seconde case, facemmo abbattere le case abusive e istituimmo un piano per l’edilizia popolare» ricorda il vecchio sindaco che oggi risiede a Verona e che vive ancora la politica odierna con lo stesso ardore. E ancora le fognature, l’istituzione del primo consultorio familiare di tutto il Veneto, il sostegno agli agricoltori: «Democrazia Proletaria in questi comuni dimostrava che non eravamo solo teoria e discussioni, facevamo gli amministratori, facevamo la politica vera e ci confrontavamo con le vite reali».
Una esperienza significativa, ma non figlia del niente. Perché questi furono paesi in cui c’era una certa tradizione socialista, con partigiani che diedero tributi importanti nella guerra di liberazione dai nazifascisti. «Due nostri compaesani negli anni ’30 andarono anche a combattere la guerra civile spagnola nel fronte repubblicano antifranchista» ricorda ancora Mirko che oggi è attivo anche nell’Anpi.
Tra volantini e foto compare di tutto: la squadra di calcio femminile e quella maschile, il corso di ginnastica, i corsi di storia e i cineforum. Ogni sera c’era un buon motivo per uscire di casa e riunirsi, in maniera impegnata, ma anche per il gusto di uscire. In estate, a luglio, c’era anche l’appuntamento fisso con la festa di D.P. al parchetto: «Ci venivano anche i democristiani» ricordano trionfanti gli organizzatori dell’epoca. Gli avversari giurati parevano concedere ai demoproletari una sorta di onore delle armi facendo visita alle feste messe in piedi dai giovanotti di D.P. Forse perché quell’aria allegra e speranzosa faceva bene a tutti, anche a quelli della “balena bianca”: almeno in questo diedero loro ragione senza aspettare i proverbiali trent’anni.