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Messico, ecco la candidata zapatista alle presidenziali

Messico, gli zapatisti hanno designato la candidata per le elezioni presidenziali del 2018: donna, indigena, guaritrice tradizionale: Maria de Jesus Patricio Martinez

di Francesco Ruggeri

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Gli zapatisti e il Congresso nazionale indigeno (Cni) hanno designato una donna della comunità indigena, che pratica la medicina tradizionale, come candidata indipendente alle elezioni presidenziali del 2018 in Messico. Maria de Jesus Patricio Martinez, 57 anni, è stata scelta il 28 maggio durante un’assemblea di 58 gruppi etnici indigeni del Paese, a San Cristobal de las Casas, nello Stato di Chiapas (Sud), liberato dal 1994 grazie alla rivolta dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) del subcomandante Marcos, che ora si fa chiamare Galeano ed era presente alla riunione. «Noi non puntiamo ai voti, ma alla ricostituzione dei nostri popoli», ha detto Patricio Martinez, guaritrice tradizionale, originaria della comunità indigena di Tuxpan, nello Stato di Jalisco (Ovest). «Combatteremo per la vita e la vita comprende terra, territorio, acqua. Vogliamo recuperare ciò che ci è stato preso», ha aggiunto la candidata, vestita con un abito bianco con motivi floreali colorati. A seguito di una riforma costituzionale in Messico, per la prima volta, i candidati indipendenti potranno partecipare alle elezioni presidenziali, dopo avere assolto a tutti gli obblighi di legge, come raccogliere le firme di decine di migliaia di elettori. Il rispetto dei diritti degli indigeni e il controllo delle risorse naturali della regione sono state al centro della rivolta del movimento zapatista.

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Un percorso annunciato il 1 gennaio 2017, si legge sul sito italiano di YaBasta!, dopo la vasta consultazione nelle comunità indigene, seguita alla proposta lanciata lo scorso ottobre dal Congresso Nazionale Indigeno e dall’EZLN.

All’incontro hanno partecipato circa 1500 persone, delegazioni giunte dai 32 stati del paese.

Nell’inaugurazione sabato 27 a dare il benvenuto è il Congresso Nazionale Indigeno. Viene poi letto un messaggio di Emilia Aurora Sosa Marín, vedova di Don Félix Serdán. I saluti per gli zapatisti sono fatti dal Subcomandante Insurgente Moisés, la “niña Defensa Zapatista” e il “niño Pedrito”.

Ci si divide poi in tre gruppi per discutere: propositi e strategie del Consiglio Indigeno di Governo, il suo funzionamento e l’organizzazione, il legame con altri settori sociali e la scelta della portavoce.

La domenica vengono presentati i 71 membri del Consiglio Indigeno di Governo che si presentano uno ad uno e la portavoce María de Jesús Patricio Martínez e si fanno le relazioni degli accordi frutto tavoli di lavoro.

Parlano anche i familiari dei 43 desaparecidos della Normal Rural di Ayotzinapa. Il SubComandante Moises legge un comunicato a nome del CNI e EZ con il popolo Wixárika sotto attacco in Jalisco, si legge un contributo da parte dell’UNIOS; parla Arceli Osorio, madre di Lesvy Berlín Osorio Martínez, universitaria assassinata nella UNAM; viene letto un saluto del prigioniero politico Fernando Sotelo ed un altro di Fidencio Aldama Pérez, yaqui prigioniero nel CERESO di Obregón.

Seguono i saluti delle organizzazioni dall’Europa e della Red contra la Represión y por la Solidaridad.

Parlano poi un rappresentante di Nuevo San Andrés, municipio de Santa María Chimalapa, uno della Comunidad indígena de Tepoztlán, Morelos, si legge uno scritto della Diocesi di Matehuala, San Luís Potosí, uno del governo tradizionale del popolo di Cohuirimpo, Sonora, tribu mayo.

Alla portavoce del CIG viene dato il “bastón de mando” da parte di Shannon Rivers del pueblo Akimel O’otham dell’Arizona negli Stati Uniti che parla di come stanno lottando a Standing Rock contro la devastazione del territorio e di come per loro sia naturale la solidarietà con chi cerca di attraversare il confine imposto.

«Noi siamo i popoli indigeni ben oltre quella che viene definita America».

Il rappresentante dei primi popoli dice che hanno voluto arrivare da Standing Rock per far sapere che “nel tempo di Trump noi sopravviveremo come abbiamo sopravvissuto in 500 anni di Trump vari. Continuate ad essere forte, dobbiamo far sapere perchè siamo in piedi e continueremo ad esserlo”.

Per questo alla portavoce, alla sorella indigena, viene consegnata una piuma d’aquila che arriva dai lontani ma vicini territori dell’Arizona, accompagnata dai suoni dei tamburi.

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Il portavoce dei Akimel O’otham chiude il suo intervento ricordando tutte le donne morte lottando e cercando la libertà.

Poi la Comandanta Miriam, a nome dell’EZLN, consegna il simbolo della lotta alla portavoce, perchè “lei tenga nella mente e nel cuore gli indigeni del Messico”.

Conclusa l’assemblea, segue una conferenza stampa aperta ai mezzi di comunicazione alternativi e “de paga” (commerciali).

Ad aprirla è María de Jesús, Marichuy, la portavoce candidata indipendente alla Presidenza nel 2018. Immediatamente entra nel vivo: «Non siamo qui per sederci nelle poltrone del potere ma la nostra partecipazione è per la vita, l’organizzazione, la ricostruzione dei nostri popoli colpiti da anni ed anni … dobbiamo cercare una forma per continuare ad esistere non solo per i popoli originari ma per tutti i settori della società civile. Ci uniamo per distruggere questo sistema che ci sta eliminando tutti».  Chiude il suo saluto dicendo che «è difficile ma necessario se vogliamo che i nostri popoli continuino ad esistere se vogliamo ci sia vita per tutti, anche per chi verrà dopo di noi».

A questo punto scattano le domande che insistono su quale sarebbe la differenza tra questa proposta e gli altri che corrono alle elezioni, viene chiesto cosa si pensa del candidato AMLO Andres Manuel Lopez Obrador, se non c’è contraddizione fra dire che non si corre per il voto e il presentarsi alle elezioni. Arrivano precise e corali le risposte da parte dei componenti del Consiglio Indigeno di Governo. Si capisce che al di là di chi parla, in molti casi donne, la voce è comune.

E’ proprio su questa dimensione collettiva che si gioca lo scarto con i partiti politici e con le forme della politica del potere.

Chiara anche la scelta di presentare una candidata indipendente alle elezioni come strumento di una voce collettiva che non solo vuole rompere il silenzio sullo sfruttamento e il saccheggio del paese ma soprattutto essere uno stimolo all’organizzazione collettiva e dal basso.

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Il ragionamento è semplice e trasparente: «dalla consulta che abbiamo fatto per proporre una alternativa generale è nata la proposta del Consiglio Indigeno di Governo. Ora visto che non si può registrare un Consiglio alle elezioni, registreremo la nostra portavoce che trasmetterà le nostre decisioni che noi consulteremo con le comunità. Il nostro percorso parte dalla base non siamo come i partiti dove tutto è deciso ai vertici. Non vogliamo cariche ma dare voce alle proteste e proposte di voce non ne ha. Siamo in una campagna di difesa della vita non in una campagna elettorale.

I popoli indigeni stanno creando alternative.

Non siamo dei super-eroi abbiamo semplicemente deciso di lottare in forma collettiva perché non c’è alternativa per rompere con il potere che ci viene imposto dall’alto.

La soluzione non può venire da una persona sola e non ci si riferisce solo ad AMLO. Per noi, ribadiscono all’unisono, anche se con voci diverse, è una questione collettiva.

L’orizzonte è ampio, l’impegno profondo e lo si capisce quando in più interventi in cui si afferma che è questo sistema mondo in crisi: viviamo una crisi di civiltà, della civilizzazione occidentale. Per questo il percorso che si apre è un assunto di civiltà, in gioco c’è il futuro non solo delle comunità indigene ma dell’intero Messico.

Non ci vedete, non ci ascoltate, ma noi ci siamo!».

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Per questo ribadiscono le consigliere e consiglieri “vamos por todo”, la scommessa è a 360 gradi,.

«Non vogliamo i voti, non vogliamo un potere che distrugge in ogni forma, vogliamo ricostruire, dare visibilità, denunciare e soprattutto unirci come popolo messicano contro il saccheggio che avviene anche con le riforme strutturali.

Farla finita con la discriminazione che esiste da 500 anni, basata su una sorte di sistema di caste per costruire una dimensione sociale egualitaria, basata sul rispetto, l’imparare a vedere la grandezza dell’altro, l’altro come differente. Una lotta per superare la colonizzazione occidentale che ha portato a pensare che ci sono esseri umani superiori ed inferiori mentre, dicono i raprresentanti del Consiglio,“siamo tutti uguali».

 

Le risposte spaziano e chiariscono ancora di più la forza che è sottesa alla proposta della candidata indipendente alle elezioni, che permetterà di sfruttare al massimo gli spazi del tempo elettorale, avere l’attenzione dei media per attraversarli con una proposta che è meno di tutto elettorale.

Tagliente e chiara la risposta sulle riforme delle politiche di sicurezza: «quello che chiamano sicurezza noi la chiamiamo repressione».

Non servono grandi giri di parole per spiegare il ruolo da protagoniste delle donne contro un sistema capitalista e patriarcale.

E’ un processo che inizia con il Congresso ma non finisce con una campagna elettorale.

Perché come dice uno degli ultimi a parlare «ya se mira l’horizonte».

La prossima tappa il 12 ottobre a San Cristobal per strutturare il lavoro e continuare il cammino.

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