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Mausoleo al criminale Graziani, condannato sindaco di Affile

E’ apologia di fascismo erigere un mausoleo a un criminale di guerra come Rodolfo Graziani, ministro di Salò, responsabile di genocidio in Libia ed Etiopia

di Checchino Antonini

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Apologia del fascismo. Questa l’accusa con la quale il tribunale di Tivoli ha condannato il sindaco e due assessori della giunta di Affile, comune della provincia di Roma (dentro un territorio che alcuni definiscono naziland per quanto è infestato di esponenti e gruppuscoli fascistoidi), per aver realizzato il monumento dedicato al gerarca fascista Rodolfo Graziani. «Ora si provveda a cancellare questa vergogna, un’offesa alla Memoria», l’appello prima dell’Anpi e poi del governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che, nel 2013, revocò i fondi stanziati dalla Regione per la realizzazione dell’opera. Per Fratelli d’Italia, legatissima al lascito spirituale di quello e altri criminali di guerra e di pace, invece, si tratta di «una condanna faziosa, frutto di un’accusa anacronistica provocata da un livore ideologico senza senso».

Secondo il giudice del tribunale di Tivoli, dunque, Ercole Viri e i due assessori Giampiero Frosoni e Lorenzo Peperoni sono colpevoli e dovranno scontare la pena, rispettivamente, di otto e sei mesi, oltre a pagare un risarcimento nei confronti dell’Anpi, alla quale spetterà intanto una provvisionale di 8.000 euro. Per tutti è stata anche disposta l’interdizione dai pubblici servizi per la durata della pena. ll procedimento venne preso in carico direttamente dal Procuratore della Repubblica, all’epoca dei fatti Luigi De Ficchy, che ha acquisito tutta la documentazione utile e condotto in fase istruttoria un’approfondita indagine, con l’ausilio dell’Arma dei Carabinieri. Rinviati a giudizio, gli imputati hanno optato per il rito abbreviato, che non prevede dibattimento. La decisione è stata presa dal giudice monocratico, la giovane magistrata Marianna Valvo, basandosi sullo “stato degli atti”. Anche in udienza la pubblica accusa è stata rappresentata dall’attuale Procuratore Capo Francesco Menditto che, dopo una requisitoria di oltre un’ora, ha chiesto la condanna per apologia di fascismo: 2 anni per il sindaco, 1 anno e 7 mesi per i due assessori, tenendo già in conto la riduzione di un terzo dell’eventuale pena da infliggere, così come previsto dall’abbreviato.

Il monumento, inaugurato nel 2012, è al centro di polemiche ormai da anni. Alla vigilia del 25 aprile del 2013, Zingaretti decise di sospendere il finanziamento di 180 mila euro concesso dalle amministrazioni precedenti al Comune di Affile accusando in buona sostanza l’amministrazione di aver cambiato le carte in tavola: quello che doveva essere un neutro ‘monumento al Soldato’, cioè al Milite Ignoto, era diventato un omaggio all’ex ministro di Salò. Un gerarca fascista, nato nella vicina Filettino, che fu accusato di aver usato i gas contro le popolazioni africane prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. Era ministro delle Forze Armate nella repubblica di Salò, creata dai tedeschi, senza alcun senso politico né storico, senza l’appoggio di nessuno. Le forze italiane che l’hanno sostenuta sono state addestrate per lo più in Germania, non sono mai state schierate in combattimento contro le forze alleate, ma hanno fatto soltanto da supporto ai nazisti nelle azioni di repressione interna della Resistenza partigiana, nei rastrellamenti, nelle stragi. Giuliano Vassalli, ai tempi del dibattito sulla legge che proponeva di equiparare i repubblichini ai combattenti “legittimamente belligeranti, sosteneva che, per ottenere tale riconoscimento, occorre aver combattuto in un conflitto tra Stati opposti. Graziani, invece, fu un collaborazionista e per questo reato condannato dal Tribunale penale militare a 19 anni di prigione, circa 2 scontati prima di essere scarcerato. In quella sentenza sono riportati numerosi proclami contenenti la minaccia di condanna a morte per i renitenti alla leva, sottoscritti dal ministro Graziani. Poi c’è tutto l’aspetto dei crimini di guerra di cui le Nazioni Unite lo ritengono responsabile, pur non essendo mai finito a processo, per l’uso di iprite nel corso della guerra di Etiopia che provocò anche molte vittime civili. Nel film Il leone del deserto sono narrate molto bene le sue strategie per stroncare la resistenza all’invasione italiana della Libia: la deportazione di intere tribù, oltre centomila persone, l’allestimento di campi di concentramento nel deserto, la pubblica esecuzione per impiccagione di Omar al-Mukhtar, leader dei resistenti. Un vero gaglioffo sanguinario.

La sentenza, commenta la neoeletta presidente nazionale dell’Anpi Carla Nespolo, costituisce «una rilevante conquista non solo per l’Anpi, custode e promotrice della memoria della lotta partigiana che fece formale denuncia costituendosi poi parte civile al processo, ma per tutta l’Italia democratica e antifascista. I valori che fondano la Costituzione vincono ancora una volta». La definisce una «sentenza significativa» il legale dell’associazione dei partigiani, Emilio Ricci, «perché, finalmente, un giudice si è pronunciato su una questione complessa e delicata affermando che l’apologia del fascismo si manifesta anche con la creazione di monumenti che celebrano il regime».

 

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