Pisapia rilancia il suo Campo progressista a fianco del Pd di Renzi. Boldrini come Bersani sembrano chiudere il discorso. Oggi la direzione del Nazareno
di Giulio AF Buratti
«Non vogliamo un’altra Sicilia». L’ultima sconfitta del centrosinistra spinge Giuliano Pisapia a non mollare e a lanciare un ennesimo accorato appello a Pd e Mdp per l’unità, condizione necessaria, per quelli come lui e per il partito di Repubblica, per fermare le destre e il populismo. L’ex Sindaco di Milano, con le sue Officine di Campo Progressista, sembrava sul punto di federarsi o unirsi coi transfughi dalemiani e bersaniani del Pd ma qualcosa, forse l’accordo su chi dovesse guidare il processo, è sempre andato storto: «Qualcuno dice che la mia è una missione impossibile, ma io ci proverò sino all’ultimo momento. Non c’è altra scelta se si vuole battere la destra», afferma preoccupato nell’auditorium Antonianum, ascoltato dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini – il suo l’intervento più applaudito – da Roberto Speranza, che chiude ogni porta al Pd, e da Gianni Cuperlo, ancora convinto che il partito guidato da Renzi «possa tornare il perno del centrosinistra». Una assemblea che arriva alla vigilia di una delicatissima direzione Pd con Repubblica, l’organo di stampa di questo processo, che tira la volta con un’intervista accorata di Prodi, poi con la rivelazione di trattative in corso per la desistenza, o un accordo tecnico, tra Bersani e Renzi, infine con un altro accorato appello di Veltroni, primo segretario del Pd.
E proprio ai dem, Pisapia rivolge parole aspre: «L’idea dell’autosufficienza è un suicidio politico, non possiamo lasciare il Paese alla destra». Quindi, boccia il dialogo tra Renzi e Alfano, chiedendo al Pd di «smetterla di guardare a destra e al centrodestra». «Non ci può essere alcun cammino per chi pensa che nel nuovo centrosinistra ci possa essere spazio per un nuovo o un vecchio centrodestra». Ma dopo aver criticato ogni «ridotta minoritaria che non cambia il Paese», segnando la distanza dal progetto di sinistra, esorta la Direzione Pd a lanciare un segnale di disgelo, assicurando «un impegno vero, reale» su ius soli e biotestamento, «due leggi – osserva – che naufragheranno se avremo una sconfitta che oggi vedo, non dico certa ma possibile». Un appello condiviso anche da Walter Veltroni, secondo cui le divisioni a sinistra «sono irresponsabili» e aprono «un’autostrada alla destra».
Non aspettatevi che qualcuno provi a scandagliare l’abisso che s’è creato tra lavoratori e sinistra per capire se, niente niente, la ragione stia nelle politiche di macelleria sociale del Pd e del centro sinistra in generale. Sembra che le ragioni di tutto questo travaglio siano psicologiche.
«Domani Renzi per prima cosa – consiglia l’ex Sindaco di Roma dallo studio di “Mezz’ora in più” – annunci che vuole concludere lo ius soli e il biotestamento e inviti ad un tavolo Grasso e le altre forze». E in questo ruolo di pontiere, ne ha anche per Bersani e D’Alema: «Mdp smetta di dire ‘mai con Renzi’, è sbagliato, mancano 4 mesi alle elezioni, possibile che non si riesca a convivere in un’area più ristretta dell’Unione». Anche Bruno Tabacci, vicinissimo a Pisapia, offre un consiglio a Matteo Renzi: «Chieda aiuto a Prodi. Di fronte all’appello di Romano, credo che Bersani e altri potrebbero ascoltare…».
Di parere diverso, Laura Boldrini, che sbarra la porta al Pd, infiammando la platea ‘pisapiana’, con tanto di standing ovation finale. La presidente della Camera demolisce le riforme renziane, parlando di vera lotta alla precarietà, contro bonus a pioggia ma di incentivi strutturali per i giovani, politica a favore delle donne, uguaglianza, diritti, di una politica progressista «laburista, sociale, femminista, ambientalista, solidale e europeista». «Campo progressista ha cercato un dialogo costruttivo con il Pd. Ma davanti all’indisponibilità a cambiare rotta rispetto a certe politiche divisive degli ultimi anni – affonda Boldrini – dobbiamo prendere atto che purtroppo non ci sono i presupposti per la coalizione con loro». Parole che sono piaciute a un altro dei protagonisti di queste ore, Pietro Grasso, che ha alzato il telefono per complimentarsi con la Boldrini per la «nettezza» delle sue posizioni. Con la convinzione che la presidente della Camera abbia oggi portato un pezzo di Campo progressista alla porta del nuovo soggetto politico di sinistra che si sta coagulando sulla spinta delle dimissioni del presidente del Senato dal Pd. Sulla stessa linea Roberto Speranza. «L’intervento di Laura – sottolinea il leader Mdp – è la nostra agenda per il futuro. Anch’io sono preoccupato ma esiste un’ Italia che vuole un’alternativa e non si sente rappresentata da Renzi, Salvini e Grillo». L’assemblea fiume finisce oltre le tre di pomeriggio. Pisapia, prima di lasciare Roma, alle tv dice di «attendere risposte». Intanto i suoi, da Ciccio Ferrara a Carlo Romano, assicurano già che, comunque vada, alle prossime elezioni Campo Progressista sarà della partita.
«Vedo che Giuliano Pisapia» continua ad insistere su una formula, quella del centrosinistra, che semplicemente non esiste più. E in questo senso, l’appello a non replicare un altro caso siciliano dimostra quanto poco si sia capito di quello che è successo davvero in Sicilia e anche nel Paese – commenta – il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni replicando alle parole di Pisapia – la verità è che se la destra avanza e torna a far paura la responsabilità sta tutta in carico a chi in questi anni ha, in nome di una cosiddetta sinistra di governo, fatto politiche di destra. Oggi, dopo molti mesi, vedo anche che in tanti si rendono conto che serve costruire un altro polo, alternativo e radicale nelle proposte e nel suo profilo. E che questa è l’unica strada percorribile. Mi pare una buona notizia. Noi lo diciamo da tempo e ora, a cominciare dall’assemblea del 2 e dal documento che la promuove, siamo pronti a partire.»
Sul versante Pd, l’incontro con Emma Bonino e Benedetto Della Vedova, prima della direzione, sono la dimostrazione che Matteo Renzi tenterà sul serio, in un lasso di tempo pur breve, di aprire un tavolo per costruire una coalizione che regga la sfida nei collegi uninominali visto che nella parte proporzionale ognuno può andare da sè. «Pisapia ha tenuto aperto uno spazio pur piccolo e comunque non sembra interessato a unirsi a Grasso e alla sinistra», tirano un sospiro di sollievo al Nazareno dove un’altra partita sarà aperta fino a domani per tentare di compattare il partito sul voto su un unico documento, evitando ordini del giorno alternativi della minoranza. Alla vigilia, la situazione resta molto confusa con le varie anime del centrosinistra che suonano il proprio spartito: Mdp e la sinistra ormai vanno per i fatti loro, come conferma la reazione stizzita di Pier Luigi Bersani alla sola ipotesi di trattative in piedi con il Pd, Campo Progressista appare divisa tra chi, come l’ex sindaco, non vuole chiudere del tutto al Pd e chi, come l’area ex Sel, applaude Laura Boldrini e vorrebbe finire nell’abbraccio con il presidente del Senato. In attesa di capire come andrà il primo incontro con i Radicali, aprono, invece, i Verdi e i socialisti così come ieri anche Angelino Alfano si è preso qualche giorno di tempo per capire che fare. Ma è soprattutto alle mosse dell’ex sindaco di Milano che il Pd guarda con estrema attenzione: nelle ultime settimane i pontieri, tra i quali Lorenzo Guerini, avevano lavorato con le colombe di Cp per evitare una rottura definitiva con i Dem.
La realtà è che tutti sanno che ormai un’unità vera di tutto il centrosinistra appare una chimera anche se nel Pd c’è chi scommette che quando la sinistra si metterà, sondaggi alla mano, a capire come andrà, si spaccherà perchè il rischio è di perdere tutti i collegi. Ma domani Renzi non dimostrerà il suo scetticismo sul raggiungimento dell’obiettivo e ha promesso che non attaccherà nessuno. Il suo intervento sarà di apertura «senza veti ma anche senza abiure» perchè se, raccogliendo l’invito di Dario Franceschini tenterà di parlare «di ciò che unisce più che di ciò che divide» il centrosinistra, l’ex premier non ha intenzione di mettere in discussione l’operato dei Mille Giorni. «Stiamo al merito delle proposte», è il consiglio arrivato al leader nella maggioranza come nella minoranza. Per evitare spaccature dentro il partito, Andrea Orlando ha deciso di declassare a contributo per una riflessione del gruppo parlamentare una valutazione sul jobs act, lo scalpo che gli ex dem chiedevano per vedere segnali di discontinuità. Per tutta la giornata i renziani hanno cercato di convincere Orlando e Michele Emiliano a non presentare ordini del giorno che insistessero sulla necessità di fare ogni sforzo per tentare di riunire il centrosinistra facendo aleggiare anche il tema della premiership. Il leader dem sul punto del candidato premier ritiene di essere stato chiaro: facciamo intese nei collegi per cercare di strapparne il maggior numero a M5S e centrodestra, poi il premier si deciderà in Parlamento dopo le elezioni. Ma la minoranza non si fida completamente sul fatto che Renzi farà un vero tentativo con gli ex di Mdp e teme che, a parte dichiarazione di principio, non si spenda veramente preferendo correre velocemente in campagna elettorale.
Sul fronte del Brancaccio si prova a rintuzzare lo smacco di Mdp, Sinistra italiana e Possibile che hanno convocato l’assemblea della lista unitaria per il 2 dicembre. Il 24 e il 25 novembre eleggeranno i delegati azzerando, nei fatti, l’assemblea che terrà il 18 novembre il percorso del Brancaccio. Dalle colonne del manifesto, Anna Falcone, una dei due portavoce, dice che domenica prossima consegnerà «la lettera di intenti (il documento-base unitario che, senza consultare la propria base Falcone e Montanari hanno firmato scatenando il putiferio tra il “popolo del Brancaccio”, ndr), lì stabiliremo i criteri di partecipazione alla lista unitaria. Io e Montanari abbiamo contribuito a lavorare a questa lettera che è una proposta. Chiediamo garanzie democratiche sull’assemblea del 2 e su tutto il percorso comune. Ci hanno garantito che sarà così. Lavoriamo perché lo sia davvero (…) Ma abbiamo sempre detto che l’obiettivo più importante è la lista unitaria. Sarebbe stato sciocco dire di no. Quel testo contiene tutte le condizioni che abbiamo chiesto nel nostro appello al Brancaccio. È evidente che non contiene tutto, non è ancora un programma (…) Faremo tutti gli sforzi possibili per fare la lista unica di sinistra, su un programma radicale e con un metodo democratico. I nostri sforzi nascono da questo intento. Non abbiamo una subordinata.
Il 18 voteranno online tutti quelli che hanno fatto l’iscrizione certificata e che hanno aderito all’appello entro 17.