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La Turchia attacca il Rojava. Prove di guerra arabo-curda

La Turchia riporta la guerra nel Kurdistan occidentale, la parte siriana. E mira a provocare un conflitto arabo-curdo

di Checchino Antonini

Era nell’aria da giorni, l’offensiva turca contro i curdi siriani nella regione di Afrin, una delle regioni più stabili e sicure della Siria negli ultimi cinque anni e che ha accolto un numero di sfollati interni pari alla propria popolazione originale. Lo sdegno per la guerra dello stato turco ha portato attivisti a protestare nelle città della diaspora. A Roma l’appuntamento è scattato alle 21.30 di sabato mentre le agenzie curde denunciano: «La Turchia vuole caos, instabilità e guerra. La Turchia non vuole che l’ISIS venga sconfitto. La Turchia vuole occupare. La Turchia sta gettando le basi per una guerra regionale e internazionale. La Turchia vuole essere una forza dominante nella regione, sostenendo le forze salafite e agendo con una mentalità espansionista nazionalista turca. Lo stato turco sta cercando di provocare un conflitto arabo-curdo nella regione e che molti media sono stati utilizzati a tal fine».

La notte scorsa, dunque, Ankara ha rotto gli indugi. Mezzi terrestri e aerei da combattimento turchi hanno bombardato a più riprese il Rojava roccaforte di Jpg/Ypg, antagonisti del dittatore Assad nella rivoluzione siriana, con un ruolo chiave nella battaglia contro i terroristi dello Stato Islamico. Ad annunciare l’attacco, denominato ‘Ramo d’Ulivo’, è stato stamane lo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan parlando di «operazione anti-terrorismo» di terra, un linguaggio truce che svela la natura del regime di Erdogan e un linguaggio che fonde le usanze dell’esercito dell’entità sionista d’Israele (ricordate Pace in Galilea, l’invasione israeliana del Libano del 1982?) con le mistificazioni tipiche dei fautori della guerra globale che loro chiamano, appunto, operazione antiterrorismo.

I bombardamenti aerei sono stati successivamente annunciati dal premier turco Binali Yildirim, dopo che un portavoce delle milizie curde aveva confermato più di 100 raid aerei contro le località curde nella regione siriana di Afrin fin da venerdì pomeriggio. E stasera Ankara ha annunciato di aver attaccato la base aerea di Mannagh, aeroporto chiave da tempo strappato dai curdi all’Isis. Secondo il ministro della Difesa turco Nurettin Canikli, Ankara non avrebbe avuto altra scelta che decidere di cacciare «elementi terroristi» dal nord della Siria, ossia il Kurdistan occidentale. Una posizione motivata nei dettagli solo nel tardo pomeriggio da un comunicato dei militari turchi, dove si afferma che l’operazione intende proteggere i confini della Turchia, «neutralizzare» i combattenti curdi siriani nell’enclave di Afrin e salvare la popolazione locale da «pressioni e oppressione». Il testo dei militari turchi dice pure che l’offensiva rientra nel diritto internazionale della Turchia di attuare una legittima autodifesa del suo territorio e che Ankara intende rispettare l’integrità territoriale della Siria. La Turchia infatti – aggiunge il comunicato – vuole colpire «i terroristi», i loro rifugi e i loro arsenali. E garantisce che sarà usata «estrema attenzione» affinché i civili non siano colpiti. Una dichiarazione d’intenti che difficilmente verrà rispettata in quanto nella regione, dopo che la cacciata dei jihadisti dello Stato Islamico ha dato ai curdi siriani il controllo dell’area, sono affluiti da altre zone della Siria settentrionale decine di migliaia di profughi. Secondo varie fonti ad Afrin in questo momento vi sarebbero almeno 800mila civili, in condizioni di assoluta povertà, senza viveri né medicinali sufficienti. L’operazione ‘Ramo d’Ulivo’ non potrà che peggiorarne le condizioni di vita. Intanto a livello internazionale la Turchia ha dichiarato di aver avvertito gli Usa nella persona del segretario di Stato Rex Tillerson mentre Mosca (alleata storica del macellaio Assad) ha annunciato di aver ordinato ai suoi militari nell’area di ritirarsi «per prevenire possibili provocazioni ed evitare che personale russo rischi la vita». L’Iran invece ha decisamente condannato l’attacco. Il vice ministro degli Esteri di Teheran, Hossein Jaberi Ansari, ha parlato di conseguenze negative, in particolare in relazione al Congresso del Dialogo nazionale siriano in programma a Sochi (Russia) il 29 e 30 gennaio.

Il conflitto in corso in Siria da sette anni che si è trasformato in una guerra internazionale che ha causato la morte di centinaia di migliaia di persone e ha creato milioni di profughi, si stava quasi avvicinando alla fine. La denuncia dei curdi è precisa, spiega l’agenzia Afn: «Il governo turco sotto la guida di Recep Tayyip Erdogan, insieme ad Al Qaeda (Heyet Tahrir El Şam), ISIS e altri gruppi salafiti ora sta preparando un’operazione militare per attaccare Afrin, la città e il cantone della zona curda nel nord della Siria. Questo significherebbe un nuovo sanguinoso conflitto che trascinerebbe la regione in una nuova catastrofe, infliggendo fame, uccidendo altri bambini, causando l’espulsione della popolazione locale e un’altra crisi umanitaria. In base alla legalità internazionale questa azione viene definite come una “operazione per l’invasione”». Centinaia di arabi hanno marciato contro l’occupazione dello stato turco nei villaggi di Keferneya, Umhos, Kefernase, Tell Rifaat, Ehres, Vahsiye, Fafen e Hisarcik. La gente del villaggio di Keferneya si è radunata davanti alla moschea del villaggio e ha raggiunto la scuola elementare locale. I manifestanti, che sono stati raggiunti dall’assemblea popolare di Shehba e dall’Assemblea delle donne, hanno gridato “Assassino Erdogan!”.

Nel 2017, Raqqa, la capitale del cosiddetto Stato Islamico (ISIS) è stata liberate da una coalizione internazionale che includeva le FSD (costituite da forze curde e arabe). Questo è stato l’inizio della fine di ISIS. L’aggressione ad Afrin rischia di essere l’inizio di un altro sanguinoso conflitto.

Le zone più sicure e stabili della Siria sono quelle regioni che ora sono sotto l’amministrazione dei curdi e dei loro alleati. Uno di questi cantoni è Afrin. Afrin è diventato un rifugio sicuro fin dall’inizio di questa guerra, liberato da qualsiasi guerra e conflitto.

Né il cantone di Afrin né le altre regioni curde nel nord della Siria hanno mai attaccato o minacciato di attaccare la Turchia. Di fatto la Turchia negli ultimi anni ha costantemente minacciato e attaccato più volte villaggi e località. La definizione giuridica delle azioni della Turchia in base alla legalità internazionale è definita «attaccare un Paese sovrano».

La Turchia si trova a nord e ad ovest di Afrin, ad est vi sono gruppi turchi e a sud il Fronte Nusra (Hayat Tahrir al-Sham). I prezzi del petrolio e dei prodotti alimentari ad Afrin, la cui economia si basa su olive, l’olio d’oliva e la frutta, sono aumentati negli ultimi tempi a causa dell’embargo da tutti i versanti. Dal 2014, gli arabi hanno preso il loro posto nell’assemblea legislativa, nel consiglio presidenziale dell’assemblea e nel consiglio esecutivo nell’amministrazione cantonale. Una piccola popolazione di arabi vive nel centro di Afrin, con i curdi aleviti a Mabata e i curdi yazidi a Kastel Cindo e Ezaze. A causa della sua relativa stabilità, dal 2013 Afrin è stato un rifugio per le persone che sono fuggite dall’ISIS da posti come Raqqa, Manbij, al-Bab e Jarablus. La popolazione di Afrin, che comprende sette quartieri e 365 villaggi, è raddoppiata rispetto alla cifra originaria di 400.000.

Dopo la sconfitta dell’ISIS a Kobani e Gire-Spi nel 2016 lo stato turco ha visto che la sua posizione era peggiorata; soprattutto dopo aver venduto le proprie bande al regime siriano e alle forze russe. Per cercare di porvi rimedio, lo stato turco ha reindirizzato la sua attenzione verso l’amministrazione autonoma democratica.

L’esercito turco occupante ha il controllo di alcune parti della regione di Shehba. L’obiettivo principale del dispiegamento militare nella sacca di Azaz-Jarablus è quello di circondare Afrin prendendo quello che è visto come il corridoio curdo tra la base aerea di Menagh e Tell Rifaat. Le ambizioni di questa occupazione sono duplici: prima il sabotaggio dell’operazione Raqqa e, in secondo luogo, la protezione di ISIS. C’è anche il desiderio di ostacolare lo sviluppo della Federazione della Siria settentrionale, combattere l’amministrazione autonoma democratica e impedire lo sviluppo di progetti democratici in Siria.

Da quando Afrin si è liberata dal regime baathista, la Turchia ha voluto distruggere la città. Da giugno l’esercito turco e i gruppi della FSA stanno sostenendo attacchi di mortaio nella città e dall’inizio della rivoluzione del Rojava lo stato turco ha ucciso molti civili, ferito migliaia di persone e bruciato fasce di terra appartenenti al popolo. Per il comandante YPG, Sipan Hemo, «La Turchia è entrata a Jarablus e al-Bab con il permesso dalla Russia e persino dalle forze della coalizione internazionale. Questa è una questione interstatale. Lo stato turco sta facendo concessioni, facendo sì che stia cercando di aprirsi un percorso. Sta facendo uno sforzo diplomatico per questo fine e militarmente ha riunito alcuni gruppi».

L’obiettivo dei massacri della Turchia è di ostacolare gli sforzi contro l’ISIS. Tuttavia, il percorso di autodifesa del nostro popolo sarà attuato contro chiunque intenda danneggiare questa strategia.Sfortunatamente, alcune forze stanno continuando a sostenere la Turchia. Il silenzio della comunità internazionale contro le intenzioni della Turchia non è nell’interesse della nazione siriana. È per questo motivo che la comunità internazionale è responsabile della situazione in Siria.Se le nostre richieste alla comunità internazionale di prendere posizione contro le intenzioni della Turchia non si concretizzeranno, il nostro popolo non avrà altra scelta che resistere. Il nostro popolo accetta i confini comuni nel quadro del diritto internazionale. Tuttavia, gli attacchi della Turchia continuano. La nostra gente vede la resistenza contro questi attacchi come un dovere nazionale “.

Ecco, infine l’appello del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK), rilanciato dall’Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia per la protezione di Afrin contro gli attacchi esterni:

  • Afrin è stata una delle regioni più stabili e sicure della Siria negli ultimi cinque anni. In tale contesto, la città ha accolto un numero di sfollati interni pari alla propria popolazione originale. Le Nazioni Unite e la Coalizione Internazionale devono assicurare il permanere della stabilità e della sicurezza di Afrin. Afrin deve essere protetta da attacchi esterni.

  • Afrin non è una minaccia per la Turchia e non ha attaccato nessuno. Lo stato turco sta attaccando Afrin perché esso è contrario ai curdi e ai progressi che hanno ottenuto. Questa realtà non deve essere trascurata e gli attacchi dello stato turco devono essere impediti.

  • La Russia, che è responsabile dello spazio aereo di Afrin, non deve essere una spettatrice di fronte agli attacchi della Turchia e deve impedire qualunque simile dimostrazione di aggressività.

  • Gli attacchi dello stato turco contro Afrin, il Rojava e l’intera Siria del Nord sono un vantaggio per l’ISIS e altri gruppi Salafiti. La Coalizione Internazionale contro l’ISIS deve prendere delle precauzioni in merito e deve impedire gli attacchi dell’esercito turco.

  • Lo stato turco in Siria è una forza d’occupazione. La comunità internazionale non deve essere una spettatrice di fronte a questa situazione e bisogna fare in modo che l’esercito turco abbandoni il territorio siriano

L’assemblea nazionale della Rete Kurdistan riunita a Roma, oggi e domani, 20 e 21 gennaio, per sviluppare i rapporti e le iniziative con il movimento curdo, condanna in modo inequivocabile i criminali bombardamenti delle forze armate turche che stanno colpendo il popolo curdo nel cantone di Afrin, già provocando centinaia di morti, feriti e dispersi.

«Il tutto avviene con la complicità della Russia e degli USA e nel silenzio assordante dell’Europa, interessati esclusivamente alla spartizione del Medio Oriente e a sconfiggere la rivoluzione curda che si impronta alla convivenza pacifica dei popoli attraverso il confederalismo democratico».

La Rete Kurdistan, già mobilitata per la manifestazione nazionale del 17 febbraio a Roma in ”sostegno della liberazione di Öcalan e delle prigioniere e dei prigionieri politici, per la libertà e la giustizia per il popolo curdo”, chiama alla risposta immediata in tutte le sedi politiche e istituzionali, richiede l’esclusione dalla Turchia dal Consiglio d’Europa, fa appello a Papa Francesco dell’urgente necessità di rifiutare l’incontro con il boia Erdogan previsto per il 5 febbraio prossimo.

#DifendereAfrin #DefendAfrin

 

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