5S primo partito, centrodestra al potere e Gentiloni bis al governo. O no?
Della serie ve l’avevo detto, dimmi come chiudi e ti dirò come va. Cominciamo dai primi della classe, quelli che si dicono buoni ma segnati da tutti tra i cattivi sulla lavagna. I Cinquestelle hanno riempito Piazza del Popolo per reclamare la presa del Palazzaccio, la vittoria della loro rivoluzione di febbraio con l’usuale sicumera di chi è nel giusto, sempre, sola eredità della sinistra doc. Mai vista una manifestazione di piazza con l’entrata – così c’era scritto sui cartelli in piazza, entrata come alle fiere, ai saldi della politica – protetta da un cordone di sicurezza, col popolo pentastellato a zigozagare a serpentina nel traffico romano, inclemente più del tempo.
Poche spanne più in là dei Cinquestelle, vincitori reali a dispetto di tutto e di tutti, i vincitori immorali. I bandieroni con le tartarughe corazzate di Casa Pound sventolavano davanti al Pantheon per la gioja di adepti e turisti, a far numero. Con essi e i quattro stracci neri di Fiore il veterofascismo s’è compiutamente sdoganato. Con piena soddisfazione del sistema e dei media che l’hanno allumato a dovere, e buona pace di chi s’è incaponito a scornarsi con loro o negarsi al circo mediatico. Nel centrodestra, dopo la manifestazione congiunta hanno chiuso ognuno per suo conto. Ognun per sé e Tajani per tutti, Salvini permettendo. Il giovin monarchico già corifèo del Cavaliere, trombato da Veltroni alle comunali capitoline. Il nulla per tutte le stagioni ripescato in quel di Strasburgo dal duce d’Arcore, immarcescibile ma non eleggibile.
Quegli altri neppure hanno il coraggio di mostrarsi in piazza. Si son ritirati al chiuso d’un teatrino, come Renzi col suo partito personale, il PdR, nella ridotta fiorentina. O i transfughi da quel corpaccino immoto, ridotto alla soglia del 20%, espianti dal paese reale come il male da cui hanno preso il nome, Leu. Diminutivo della Leucemia che ha colto la sinistra di potere. Quel male incurabile frutto di personalismi e demenza, giovanile e senile, che fa vedere la lucciola al posto della lanterna del treno della storia che la travolge. Come il Pci, che tra i rari pregi aveva il chiodo fisso dell’unità, abbia subito una tale mutazione genetica da divenire PdR, Partito di Renzi, cioè partito personale di un ex premier che l’ha portato al dissesto dopo averlo trasformato in neodiccì, e di quattro stracci residuali senza peso né senno, è materia che nessuno scienziato della politica ha capito e narrato. Forse solo complottisti e dietrologi sanno spiegare.
Nel carrozzone dei sinistri già al governo, al chiusissimo dei loro strapuntini hanno chiuso le listarelle delle animelle morte, le donnine scese in campo per grazia ricevuta dall’ex premier. L’ex ministra dell’insanità di cui porta male pure dire il nome, Nostra signora dei vaccini, e la Bonino che Wikipedia definisce “una delle figure più importanti del radicalismo liberale”. La più trombata dagli italiani ma tanto amata dai salottini buoni radicalchic, come dai poteri forti e dal carrozzone mediatico. Pervicacemente attaccata a una poltrona qualesia (ricordate quando venne eletta alla Camera tra le file della Lega, in forza a Forza Italia? Era la XII legislatura, mica secoli fa). Che l’abatino pieddino spotteggi in bicicletta e Salvini si dia al grattavoto col Vincisalvini è mero colore, nel teatrino della politica. E dopo aver fatto il giro di piazza, veniamo ai numeri.
Salvo sorprese oggi vedremo i 5S al primo posto col 30% dei voti, un buon terzo dell’elettorato votante. Segue il PdR, già miracolato se toccherà il 20%. Qualche punto sotto i nostalgici del Cavaliere, seguiti da presso (superati, quasi) dai redivivi leghisti. Fratellastri d’Italia se la sfanga di poco oltre il 5%. Per gli altri sono briciole, senza resti e vuoti a perdere. Non c’è trippa per gatti e per nessuno (tantomeno idee e anime men che morte), come recita Pirozzi nel suo spot elettorale per la regione Lazio. L’ex sindaco d’Amatrice che a tutti s’è dato, con sano spirito democratico, e nessuno ha pigliato, come la Sora Camilla della canzone. Se madamina il catalogo è questo, per dirla come Leporello servitore di Don Giovanni, è d’uopo che il faccino pulito di Di Maio – Dio ci salvi dagli incompetenti e ancor più dai competenti che hanno ridotto il paese allo stato larvale in cui si trova – salga al Colle per vedersi accollare la prima mano dall’algido Mattarella. Salvo colpi di scena e monco d’appoggi, dovrà passarla al partito della coalizione dominante, al Centrodestra.
Ma neppure questo avrà i numeri necessari, per non dire facce spendibili e men che abusate. Ergo la soluzione è in cantiere da mesi. Un bel Gentiloni bis che metta d’accordo tutti, destri & sinistri, grandi e piccini. Altre soluzioni sono possibili, tipo governo tecnico del Draghi uber alles, ma il Groko all’italiana – chiamatelo inciucio, pateracchio, governissimo per amor di patria, come volete – è servito. Dopo averla apparecchiata, si potrà gustare la farsa elettorale, o meglio democratica. Che nulla ha da invidiare a quella umanitaria e all’altra calcistica, la più seguita dal pubblico italiota. Le tre farse del Belpaese contemporaneo. Alla prossima il menù. Intanto godetevi questi, stasera è il meglio che abbiamo avrebbe detto De André.
ps. Tutto come previsto, o quasi, con la Lega un po’ sopra le aspettative. Sarà l’asse dei populisti, come auspica Steve Bannon, già consigliori di Trump, col duce d’Arcore ad assemblare i pezzi, o l’ora del Gentiloni mannaro, nonostante il tracollo del PdR e dei leucemisti? E Renzi, dopo aver fatto tabula rasa di quel ch’era il Pci, si farà da parte per lasciare il nulla ai suoi eredi? Non perdete la prossima puntata della farsa.