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Brasile, Lula ineleggibile. Bolsonaro in testa

Brasile, Lula dichiarato ineleggibile dal tribunale supremo elettorale. Estrema destra in testa, minacce ai candidati del Psol, il partito di Marielle Franco

Luiz Inacio Lula da Silva non può presentarsi come candidato alla presidenza del Brasile nelle elezioni del prossimo 7 ottobre. Lo ha deciso il Tribunale Supremo Elettorale (Tse) brasiliano, accogliendo le impugnazioni presentate contro Lula, a causa della sua condanna penale per corruzione e riciclaggio, per 6 voti contro 1.

 

Durante la lunga sessione del Tse – apertasi alle 14.30 e conclusa più di 10 ore dopo – i sette magistrati hanno convenuto che non vi sono dubbi in quanto al fatto che Lula risulta ineleggibile in base alla cosiddetta «legge della scheda pulita» che vieta ai cittadini condannati in secondo grado da un tribunale collegiale presentarsi come candidati alle elezioni. L’ex presidente, infatti, sconta dallo scorso 7 aprile una condanna a 12 anni inflittagli in primo grado dal magistrato-simbolo delle inchieste anti-corruzione in Brasile, Sergio Moro, e confermata in secondo grado da un tribunale regionale di Porto Alegre. Edson Fachin, l’unico magistrato che si è espresso a favore dell’autorizzazione della candidatura di Lula, lo ha fatto in base alla richiesta presentata dal Comitato per i Diritti Umani dell’Onu alle autorità brasiliane, perché garantissero all’ex presidente il pieno esercizio dei suoi diritti civili – compreso il suo diritto a presentarsi come candidato alle presidenziali – finché non saranno esauriti tutti i ricorsi riguardo alla sua condanna. Fachin ha sostenuto che la richiesta dell’organismo Onu era vincolante per le autorità brasiliane, ma i suoi sei colleghi hanno ribattuto che le richieste del Comitato per i Diritti Umani solo potrebbero diventare obbligatorie se la presidenza brasiliana avesse promulgato i relativi accordi internazionali, già ratificati dal Parlamento. Questo però non è avvenuto e – ironia della sorte – è stata Dilma Roussef, la compagna di partito di Lula che è stata eletta dopo di lui alla presidenza, la responsabile di questa dimenticanza. Appena annunciata la bocciatura della candidatura di Lula, il Partito dei Lavoratori (Pt) ha emesso un comunicato nel quale ha promesso di «continuare a lottare con tutti i mezzi» per la sua candidatura, ma anche se i difensori dell’ex presidente presentassero ricorsi contro la decisione la sua applicazione resta immediata.

Jair Bolsonaro, intanto, l’ex militare candidato alla presidenza del Brasile dal Partito Social Liberal (Psl, estrema destra) è risultato primo in un sondaggio sulle intenzioni di voto nello stato di San Paolo, la più grande circoscrizione elettorale del paese, diffuso ieri dalla Paranà Pesquisas e ripreso dai media locali. Secondo il risultato dell’inchiesta demoscopica, infatti, Bolsonaro può contare con il 21,9% dei voti, battendo così l’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva – leader in tutti i sondaggi a livello nazionale – per lo 0,1%. San Paolo è lo stato più ricco e con il maggior numero di abitanti del paese: 45 milioni, compresi i 12 milioni della città di San Paolo, la più grande del continente americano, dei quali 33 milioni avranno diritto a votare nelle presidenziali dell’ottobre prossimo, il che rappresenta il 22% degli iscritti a livello nazionale. Lo stesso sondaggio indica che se Lula venisse escluso dalla lista dei candidati – come potrebbe avvenire  – Bolsonaro salirebbe al 23,1%, seguito da Geraldo Alckmin, del Partito della Socialdemocrazia (Psdb, centrodestra), con il 17% delle intenzioni di voto. La campagna per le elezioni di ottobre è entrata in una fase cruciale, con la diffusione dei primi spot radiotelevisivi gratuiti dei candidati governatori nei 27 stati del Brasile, a cui farà seguito oggi l’inizio della trasmissione di quelli dei candidati alla presidenza.

E proprio un collaboratore di Bolsonaro, mercoledì scorso, di fronte a una sede politica ha minacciato con una pistola, un attivista del comitato per la campagna di Guilherme Boulos e Sonia Guajajara, il più giovane candidato alla presidenza nella storia del Brasile e la prima donna indigena su una targa presidenziale che si battono per ricostruire la democrazia in Brasile contro gli attacchi senza precedenti dalla fine del regime dei militari: «Il discorso di odio di Jair Bolsonaro incoraggia atti di questo tipo, premeditati o meno», il commento di Boulos e Guajajara, candidati del Psol, lanciati con un appello firmato, tra gli altri, da Frei Betto, Paula Lavigne, Sonia Braga, Chico de Oliveira, Boaventura de Sousa Santos. Un progetto «più che simbolico – si legge nell’appello – il 2018 è già un anno cruciale nella storia del Paese. Potrebbe essere un calcio d’inizio per una rinascita democratica e per la formazione di un nuovo progetto popolare di potere, aggregatore di agende, lotte, diritti; capace di risvegliare la speranza in tutti e tutti gli attori sociali dei nostri popoli sfruttati e oppressi che non si sono mai arresi in questi 518 anni di resistenza».

Il Psol è il partito di Marielle Franco, la militante assassinata a a marzo a Rio de Janeiro che era diventata il simbolo della lotta per il rispetto dei diritti della comunità afro-brasiliana e nel“Complexo da Maré”, dov’era stata eletta in municipio, «un grandissimo quartiere povero, situato nella Zona Nord di Rio de Janeiro. È formato dalle tradizionali “favelas”, da quartieri di case popolari senza alcun servizio pubblico e da immense baraccopoli, dove il degrado si mischia alla vita di un proletariato urbano sempre alla ricerca di un lavoro», ha scritto Achille Lollo, fuoriuscito dall’Italia negli anni ’70 e giornalista in Brasile. Il partito nasce nel 2004 da quel pezzo di Pt che era inorridito quando Lula, allora a Palazzo di Planalto, scrisse una Lettera ai Brasiliani proponendo un accordo con gli impresari, i banchieri, le multinazionali, la borghesia e i latifondisti, per raggiungere la “governabilità possibile” mentre il Pt controllava la Cut e l’Une.  Alle successive elezioni del 2010 ha eletto 3 deputati e un senatore.

Guillerme Boulos, presidente del Mtst (Movimento dei Lavoratori Senza Tetto) subito dopo l’impeachment contro Dilma Rousseff, nel 2015,  ha saputo costruire un fronte unitario denominato “Povo Sem Medo” (Popolo senza Paura) mobilitando i movimenti sociali del Brasile contro il governo golpista di Michel Temer.

 

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