Potere al Popolo: rischia di chiudere l’avventura di PaP. C’è un solo modo intelligente per riprendere il cammino. Ma serve un atto di umiltà
di Dino Greco
Prima di tutto i dati, che hanno un’eloquenza superiore ad ogni interpretazione di parte.
Lo Statuto 1 è stato votato da 3332 persone, esito giudicato “straordinario” dai proponenti che lo ritengono così approvato. Solo che le compagne ed i compagni che con un crescendo strepitoso negli ultimi giorni hanno aderito a PaP versando la quota di iscrizione per il tramite della piattaforma on line sono 9091. Un risultato salutato da tutti con grande soddisfazione.
Queste persone non sono passanti distratti, ma la “base” che costituisce il nucleo organizzato di Potere al Popolo. Non è concesso dimenticarlo, come se coloro che hanno deciso di esprimersi con il voto sullo statuto avessero un tasso più elevato di “nobiltà”. Ebbene, chi ha votato per lo Statuto 1 è esattamente il 36,65% della nostra comune realtà militante. Si era preteso di approvare lo statuto a maggioranza semplice: un’assurdità, visto che si tratta dell’atto fondativo della casa comune di PaP. Ma ora si è andati molto oltre: sappiamo che quasi due terzi dei militanti non lo hanno votato. Eppure sembra vada bene così.
Secondo. Soltanto 7312 dei 9091 aderenti a PaP hanno completato le procedure necessarie per partecipare al voto e, di questi, solo 4041 hanno poi effettivamente votato, vale a dire il 44,45% del nostro potenziale “corpo elettorale”. E’ vero che qui non era previsto un quorum per rendere valida la votazione, ma che più della metà dei potenziali votanti abbia disertato la “conta” e che i 3332 voti allo statuto1 rappresentino il 45,56% di costoro vorrà pur dire qualcosa!
Terzo. Al netto di tutto questo, Lo Statuto 1 ha ottenuto uno strepitoso 82,4%, un plebiscito!
Peccato che neppure un’acrobazia da trapezisti può dare per approvato quello Statuto se non con un atto di insuperabile superbia. E “la superbia – per dirla con Flaiano – parte a cavallo, ma ritorna a piedi”.
La pretesa di andare al voto su due statuti contrapposti ha prodotto questo splendido esito: una comunità drammaticamente spaccata proprio nel momento in cui avrebbe dovuto dare mostra della massima coesione e della massima unità.
Poi, come sempre accade quando alla volontà di mediare si sostituisce lo scontro fra schieramenti contrapposti e il confronto di merito cede il passo all’arroccamento delle posizioni, ciascuna parte finisce per dare il peggio di sé.
Quello che abbiamo visto nelle ultime settimane, sbagliato nasconderselo, rischia di chiudere l’avventura di PaP. E chi accarezza l’idea di scrollare la pianta pensando di raccoglierne i frutti si sbaglia di grosso.
C’è un solo modo intelligente per riprendere il cammino. Ma serve un atto di umiltà. Riconoscere che bisogna tornare all’inizio, quando stabilimmo che il solo modo di stare insieme fra diversi, ma animati dallo stesso progetto politico, è quello di adottare il metodo della decisione condivisa.
C’è però chi ha scoperto, o sostiene di avere scoperto, che il progetto non è più condiviso, perché – sento dire – le elezioni europee sono alle porte e Rifondazione coltiverebbe l’intenzione di intrupparsi con i vecchi rottami del centrosinistra alla deriva.
E si usa la non fortunatissima definizione di “quarto polo” per alludere a questa non troppo recondita intenzione.
Ma Rifondazione ha compiuto la sua scelta di campo e non c’è indizio che essa intenda rimetterla in discussione.
La questione aperta è invece un’altra. E cioè se si ritenga che potere al Popolo debba avvitarsi in un’autosufficienza totalizzante; e debba concepirsi, ad ogni effetto, come un partito, anzi, un super-partito a cui ogni altro soggetto debba cedere integrale sovranità; se si ritiene che fuori di esso non esista nulla e nessuno con cui valga la pena di connettersi e allearsi, sia pure all’interno di una precisa e non negoziabile discriminante antiliberista e anticapitalista.
Certo non era questo il progetto su cui avevamo investito con entusiasmo e senza risparmio di energie.
Il mutamento è avvenuto in corso d’opera, con strappi vistosi che sono stati sottovalutati, mentre si sarebbe dovuto coglierne al tempo la portata. Fino al patatrac di questi giorni. Lo scontro sullo Statuto ha al fondo questa divaricazione strategica di cui bisognerebbe avere il coraggio di discutere apertamente. Ciò che non è mai stato fatto.
E’ possibile parlarne con sincerità, apertamente, senza lasciare che corrano sospetti e retropensieri?
Non mi azzardo a dire se esista o meno lo spazio per ricostruire la trama spezzata. Ma vorrei che almeno si provasse a capirsi. Senza furbizie, perché, come dice il saggio, “la furbizia è il cascame dell’intelligenza, e si usa il cascame quando la materia prima scarseggia, o manca del tutto”.
Premesso che ho votato per lo statuto 1, ma anche il 2 e il 3 e il 4 mi sarebbero andati bene perchè a PaP ci tengo
Premesso che non ci rendiamo conto di quanto divisi non siamo niente (forse vale la pena ripeterlo) e riflettere sulla nostra ininfluenza sull’andamento della storiaa
Premesso che concordo sul fatto che la votazione è stata un mezzo flop e che non c’è nulla da festeggiare
direi però che
1) “quarto polo” o definizioni simili lo ha usato RC in propri documenti (ho le prove :)) e se vogliamo anche legittimamente (in quel momento)
2) la divisione è colpa sempre di almeno due attori e non di uno solo
3) se è ridicolo chi ha proseguito e fomentato la conta (e su questo anche concordo), si dovrebbe vergognare anche chi vi si è sottratto a 3 ore dal giorno stabilito per iniziare le votazioni
4) quali sono gli atti in cui PaP stabilisce che non ci si possa alleare con nessuno che di dichiari esplicitamente antilibersita e anticapitalista
Facciamo in modo che cosa sia PaP siano gli aderenti a deciderlo e non che ciascuno di noi imponga la propria visione (qualsiasi essa sia).