Roma: nel “palazzo dei bambini”, l’hotel 4 stelle di via Prenestina senza acqua dopo l’incendio
Uno stabile occupato, l’hotel 4 stelle di via Prenestina, sabato scorso ha subito un incendio. Acqua e luce non sono state ancora riallacciate in maniera stabile e si rischia lo sgombero. Qui vivono, dal 2012, 460 persone italiane e straniere (170 famiglie e 141 bambini). “Non sappiamo dove andare, questa è la nostra casa”
16 novembre 2018
Foto Eleonora Camilli/Rs |
ROMA – “Non ci possono buttare per strada, abbiamo i bambini piccoli, dove andiamo? Siamo qui da sei anni, siamo una famiglia, non ci sono mai stati problemi. Solo questo incidente , che però poteva succedere ovunque. La luce e l’acqua ce l’hanno staccata, poi rimessa, poi ristaccata. Che dobbiamo fare?”. Giulia, 47 anni e un’invalidità permanente, vive nello stabile di via Prenestina 944 a Roma, nella zona est della Capitale. Un hotel a 4 stelle occupato dal 2012, nell’ambito dello tsunami tour, da famiglie italiane e straniere in difficoltà economica.
Attualmente nello stabile vivono 460 persone: 170 famiglie e 141 bambini. “I nuclei sono entrati quasi tutti insieme il 6 dicembre del 2012 durante lo tsunami tour e la composizione è rimasta la stessa da quella data, con pochi nuovi arrivi. E’ un’occupazione stabile, solo qualche famiglia italiana si è aggiunta nel tempo, soprattutto dopo la crisi – spiega uno dei portavoce del Movimento per il diritto all’abitare -. Sabato scorso c’è stato un corto circuito, che ha coinvolto una piccola parte dell’ex hotel, il corridoio, e lo ha reso inagibile. I vigili del fuoco, intervenuti, hanno staccato luce e acqua per precauzione, poi sono stati riallacciati e di nuovo staccate. Si va avanti così, ora abbiamo riattacato noi le utenze ma Acea potrebbe toglierla di nuovo. Intanto la protezione civile ha portato una cisterna d’acqua e ha montato qui fuori i bagni chimici. Anche tante associazioni e persone comuni si sono mobilitate per portare acqua alle persone, serve chiaramente per tutto: per cucinare, per lavarsi. Lo stabile è sotto sgombero – aggiunge – ma chiediamo che le persone possano rimanere qui. Oppure che sia data loro un’alternativa degna, finora il Comune ha proposto solo container a tempo determinato a via Ramazzini e non è neanche pensabile spostare le persone lì. Soprattutto, i nuclei familiari non vanno separati”. Gli abitanti, insieme ai movimenti e alle associazioni chiedono quindi che acqua e luce vengano ripristinate definitivamente. E di poter restare nell’immobile in cui vivono ormai da diversi anni.
Foto Eleonora Camilli/Rs |
Le storie degli occupanti. “Ci siamo resi disponibili da tempo a pagare le utenze di luce e acqua – aggiunge Giulia -. Ma nessuno ci ha mai ascoltato, lo sappiamo che la situazione non è legale, ma cosa possiamo fare? Io sono venuta qui quando mio marito ha perso il lavoro. Vivevamo alla Borgata Finocchio, insieme ai nostri tre figli che ora hanno 8, 12 e 20 anni. Non avevamo e non abbiamo alternativa a questo posto. Non riusciamo a pagarci un affitto. E ora speriamo di non rimanere per strada”.
Anche Fatima, originaria del Marocco, è arrivata all’Hotel 4 stelle dop uno sfratto per morosità: “I soldi erano pochi, mio marito aveva difficoltà a trovare lavoro. E allora siamo venuti qui, dal primo giorno dell’occupazione, i miei figli vanno a scuola. Andava tutto bene, fino a pochi giorni fa”. Il più piccolo dei figli di Fatima fa la seconda media, la più grande è in cerca di lavoro. Ci chiede di non rivelare il suo nome perché per chi cerca lavoro abitare in uno stabile occupato non fa curriculum. “Ogni tanto faccio la parrucchiera, ma l’ultima volta mi hanno fatto un contrattaccio di Garanzia Giovani, pochi soldi e nessuna stabilità – spiega -. Non ho mai detto ai miei datori di lavoro che abito qui. Non è che mi vergogni, ma ho paura che poi le persone pensino male di me. Su noi sono state dette e scritte cose brutte e spesso totalmente false. Non ci fa piacere stare qui, ma se viviamo qui dentro è perché non abbiamo un altro posto dove stare. Mia madre fa le pulizie, io lavoro quando posso, altro posto non abbiamo. E’ così difficile da capire?”. Meriem, 60 anni, è venuta in Italia 41 anni fa dalla Tunisia e qui ha passato la maggior parte della sua vita. “Ci vuole coscienza, ecco cosa ci vuole – aggiunge -. Tutti parlano di legalità ma a questi bambini e a noi anziani chi ci pensa?”.
Foto Eleonora Camilli/Rs |
La solidarietà dei cittadini. All’ingresso dell’albergo in un piccolo container si raccolgono i beni di prima necessità che vengono portati dai cittadini romani. “Ho sentito di questa situazione e ho portato qualcosa – dice Paola, 70 anni, che vive nel quartiere adiacente -. Ho preso latte, biscotti e pannolini per i bambini. Mi sembrava giusto”. I beni alimentari vengono accantonati in un angolo insieme all’acqua, i vestiti, gli oggetti per i più piccoli. In questi giorni anche le associazioni umanitarie da Intersos a Caritas a Medici senza frontiere hanno portato coperte e altri beni necessari. Il Bambino Gesù, l’ospedale pediatrico di Roma, ha parcheggiato fuori dall’ingresso il suo camper mobile per effettuare visite sui bambini. “Questo stabile lo chiamano il palazzo dei bambini perché ce ne sono tanti, 141 – aggiunge Roberto Giordano della Cgil di Roma e del Lazio -. Noi abbiamo portato tremila bottiglie d’acqua la settimana scorsa e altrettante ne porteremo la prossima settimana. Riteniamo che il tema sia più generale: oggi in Italia si parla solo di migranti e occupazioni, il problema, invece, sono le disuguaglianze”. Sulla stessa scia Giuseppe De Marzo di Libera e della Rete dei numeri pari . “Siamo venuti qui a portare solidarietà a queste persone, chiediamo che siano ripristinate in via definitiva luce e acqua – sottolinea – A questa situazione non ci sono alternative, e vanno garantiti innanzitutto i diritti dei bambini. Noi non possiamo non denunciare che a Roma le diverse amministrazioni stanno tagliando i servizi sociali e parallelamente i diritti sociali”. “E’ scritto nella Costituzione che i più deboli vanno difesi – aggiunge Gianfranco Giombini dell’Anpi- dovrebbe essere ovvio e invece non lo è. E questo mi preoccupa sempre di più”. (Eleonora Camilli)