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L’alleanza “indivisibile”. Metodologie per coalizioni durature

La grande risposta del 10 novembre e l’alleanza “indivisibile”. Metodologie per coalizioni durature

di Piero Bernocchi

Comunque sia, il dato di fatto al momento è che i veri punti di forza di questo governo, e in particolare della Lega, sono proprio quelli che a noi più ripugnano: il razzismo, la guerra ai migranti, la xenofobia, il culto delle armi, della repressione e del regime di polizia, il violentismo fisico e verbale, la fabbrica dell’odio e della paura in attività permanente. Non è un caso dunque che la prima grande reazione e risposta a questo governo sia avvenuta proprio su tali terreni. Il 10 novembre 2018 una fiumana ininterrotta di “indivisibili”, almeno centomila persone, ha riempito, come non accadeva da molti anni, Piazza S. Giovanni, per protestare contro le politiche governative, contro il decreto “in-sicurezza” di Salvini e contro l’odio razzista nei confronti dei più deboli e indifesi che vengono in Italia e in Europa per cercare un po’ di pace e di giustizia sociale.  Molto ha contato, nel successo oltre le più rosee aspettative, l’alleanza includente e rispettosa di tutte le componenti che si è realizzata tra forze sociali, sindacali e politiche e che ha favorito l’enorme adesione (oltre 500 associazioni) di strutture che accolgono i migranti, di decine di comunità di immigrati, di movimenti per l’abitare e occupanti di case, di centri sociali, COBAS, partiti, reti nazionali e comitati locali. Ma, al di là delle forze organizzatrici, circa i due terzi dei partecipanti sono venuti in forma autonoma rispetto alle strutture consolidate. Si è, cioè, manifestata in piazza l’avanguardia di una larga opposizione, seppur non maggioritaria nel paese al momento, contro il decreto Salvini e contro le politiche reazionarie, razziste e ultra-autoritarie del governo Lega-5Stelle, fomentatrici di odio verso i più deboli, che ha detto NO all’esclusione sociale, ai respingimenti, alle espulsioni, agli sgomberi, al disegno di legge Pillon, alla violenza sulle donne, all’omofobia. Abbiamo raccolto una parte dell’indignazione di milioni di persone – certo non la maggioranza degli italiani/e, certo non i sentimenti di un “popolaccio” che invece di lottare contro i “primi” della società vuole calpestare gli “ultimi” illudendosi di ritrovare così la propria dignità e un ruolo sociale – che non trovano più riferimenti nei partiti e nei sindacati “storici” e men che meno in un PD che, dopo aver creato tutte le condizioni per l’ascesa di un governo così reazionario, continua a dilaniarsi in una grottesca lotta intestina. E ci siamo riusciti, almeno per una giornata, non solo per i temi e gli obiettivi che abbiamo indicato ma anche, e forse addirittura soprattutto, per il metodo, per una volta decisamente positivo, che abbiamo adottato.

Guardando al recente passato, balza agli occhi come, pur in presenza di una vasta gamma di movimenti, di reti, di organizzazioni, di sindacati di base e di comitati, collettivi e associazioni che in questi anni si sono battuti contro il liberismo e il razzismo, per giustizia sociale ed economica, per i Beni comuni, la difesa ambientale, il lavoro stabile e adeguatamente retribuito, non si è mai riusciti a stabilizzare alleanze e coalizioni durature, in grado di sintetizzare e collegare obiettivi e tematiche e di costituire un’alternativa credibile generale alle politiche dominanti. Mentre in altri paesi europei – dove pure la conflittualità tra le forze alternative era stata elevata per decenni –  si è alfine riusciti a dare vita a coalizioni che hanno occupato un importante spazio politico e istituzionale, in Italia nessuna coalizione o alleanza politico-sociale-sindacale antiliberista e di base è riuscita a durare, ad ottenere risultati rilevanti e ad avere un ruolo significativo anche nelle istituzioni nazionali e locali. Nella grande maggioranza dei casi tali alleanze stabili non sono state impedite da profonde divergenze strategiche o di programma, ma per lo più da questioni di metodo, dalle “regole del gioco”, dalle modalità di funzionamento delle alleanze stesse. Tali regole dovrebbero, a nostro parere, tenere massimamente conto delle seguenti considerazioni. 1) Nel conflitto con un capitalismo dalle mille facce è impensabile ritenere possibile una “reductio ad unum” della opposizione. Non ci sono più (anzi, a mio avviso non ci sono mai state nei fatti, al di là delle ideologie) classi o ceti-guida che possano imporre subordinazione a tutti gli altri settori sociali “senza potere e senza proprietà”; o partiti piglia-tutto con una schiera di possibili alleati da usare finché sottoscrivono la volontà del partito-padrone. 2) La costituzione di una alleanza/coalizione, che usi magari una sigla riconoscibile, non implica affatto la sparizione delle sigle, delle bandiere, delle identità delle forze componenti la coalizione. Anzi: la massima valorizzazione delle rispettive piattaforme e identità è il modo migliore per arricchire la coalizione. Chi dice: “togliete tutte le bandiere” (e le identità), in genere vuole imporre una nuova bandiera (la propria) e una identità dominante (sempre la propria). 3) Costituire una coalizione non significa imporre unanimità permanente e assoluta compattezza decisionale. Si può stare insieme su tante cose importanti ma trovarsi in disaccordo su alcune scelte o decisioni. In questi casi, la soluzione migliore è quella di non fare uso della sigla comune ma di firmare le iniziative con le componenti della coalizione che sono d’accordo, senza per questo rompere con gli altri e senza dover essere sottoposti a boicottaggio da chi non condivide l’iniziativa. Ci si separa in quell’occasione, non ci si pesta i piedi ma poi si riparte insieme. 4) Si può affermare all’interno di un’alleanza una leadership di “volti” più popolari di altri, ma va escluso che una coalizione possa davvero esprimersi con una sola faccia e una sola voce in permanenza. Sta alle leadership in formazione capire la necessità di esprimersi in alcune occasioni con una sola voce e in altre con una pluralità che non sia però cacofonica. 5) In un alleanza, non è pensabile votare con maggioranze del 51% ma si può e si deve decidere solo con larghissimo consenso.

Mi pare che il successo oltre ogni più rosea aspettativa del 10 novembre sia stato dovuto anche all’applicazione di buona parte di queste “regole del gioco”, con pazienza e senza tentativi egemonici (abbiamo addirittura annullato una conferenza-stampa pur di non creare inutili e dannose conflittualità per la scelta dei nomi da proporre per essa; e lo stesso abbiamo fatto per gli interventi finali al comizio di P. S. Giovanni, evitando di dare la parola ai rappresentanti delle forze più significative e consistenti). Però questo è stato solo il primo passo: bisognerà vedere ora se la gravità delle attuali politiche governative e l’unità sui contenuti fin qui realizzata saranno sufficienti per superare quella sindrome dell’egemonismo e/o della reductio ad unum che ha sempre causato negli ultimi anni la disgregazione delle coalizioni create. Un passaggio cruciale sarà quello dell’Assemblea del 10 febbraio a Macerata dove la coalizione “indivisibile” dovrà dimostrare di essere veramente tale, dopo che nella settimana precedente (dal 3 al 9 febbraio) proverà a mettere in campo una miriade di mobilitazioni locali che riprendano il filo del discorso avviato il 10 novembre. A Macerata dovremo innanzitutto verificare se crediamo davvero ad una nuova metodologia dei rapporti di coalizione, se non ci faremo fuorviare da impulsi frettolosi a stringere le fila di quanto abbiamo avviato, magari sottovalutando il fatto che le 500 organizzazioni e collettivi che hanno supportato il 10 novembre non per questo ci hanno dato (intendo: alle forze più consistenti numericamente e per presenza sul territorio) una delega in bianco per imporre sigle o strutture vincolanti quando il percorso contro il razzismo, il decreto Salvini e un regime securitario, poliziesco e reazionario è ancora ai primi passi e non ha coinvolto ancora varie forze disponibili almeno sulla carta. In tal senso crediamo che a Macerata si possa avviare, ma non già concludere, la costituzione di una sorta di Forum – sul modello di quelli nazionali e mondiali del primo decennio del XXI secolo – di cui si è parlato nell’ultima assemblea del 16 dicembre a Roma, un Forum certamente antirazzista ma anche contro l’esclusione sociale e la deriva poliziesca e ultra-securitaria della Lega e del governo, dal decreto Salvini alla legge sull’”autodifesa armata”. Un atto conclusivo in tal senso, a nostro giudizio, dovrebbe avvenire dopo un ulteriore, ampio tentativo di inclusione e di allargamento della coalizione, che potrebbe venir sanzionato da quel Meeting di due giorni, di libero e approfondito confronto, di cui pure si è parlato nell’ultima Assemblea, da realizzare possibilmente prima dell’estate.

 

 L’anticapitalismo e le coalizioni sono Arcobaleno, non monocolori

 Ma c’é un altro compito, altrettanto importante, che l’Assemblea di Macerata dovrebbe assumersi: e riguarda il rispetto del primo punto di quella sorta di “penta-logo della Buona Coalizione” che ho presentato nelle righe precedenti. Bisogna tutti/e convincerci che non esiste un tema-chiave che tutti gli altri riassume e ingloba, non c’è una unica leva per sollevare il mondo e cambiarlo. Lo abbiamo capito definitivamente nell’ultimo ventennio, anche e soprattutto alla luce delle esperienze migliori del movimento alter-mondialista, dei Forum mondiali e continentali: noi che pure, come esperienza personale e collettiva di una generazione sessantottina e di un collettivo sindacal-politico-culturale come i COBAS, ritenevamo che il conflitto Capitale-Lavoro potesse includere e riassorbire tutti gli altri in chiave anticapitalista. In realtà, nell’antagonismo alla società dominata dal Capitale e dalla Mercificazione globale, non esiste un solo colore dominante, il Rosso, il conflitto del marxismo tradizionale e del comunismo novecentesco, ma un Arcobaleno di colori, cioè un intreccio di conflitti e di antagonismi che devono imparare a conoscersi, a relazionarsi, a integrarsi, a collaborare, senza gerarchie di temi, di forze organizzate, di contenuti prioritari.

In questo senso, il movimento che ha fatto il suo esordio il 10 novembre deve provare a stabilire, fin dall’Assemblea di Macerata, una interrelazione proficua e aperta almeno con gli altri due movimenti che in questi ultimi mesi, di fronte alle barbarie del governo Salvini-Di Maio, si sono rafforzati e si preparano a segnare un ulteriore salto di qualità nel loro percorso: il movimento ambientalista e contro le Grandi Opere (n.b. anche se l’aggettivo mi pare inadeguato e fuorviante, perché non è la grandezza delle opere a suscitare la diffusa ostilità, ma la loro inutilità e dannosità, che varrebbe anche se le loro dimensioni fossero più ridotte; magari lo Stato mettesse in cantiere le tante Grandi opere davvero utili per l’Italia, quelle, anzi, sempre più necessarie e indispensabili!) inutili e dannose; e il movimento femminista rilanciato dalla coalizione di Non Una Di Meno (NUDM). Per quel che riguarda la prima coalizione, essa ha dato ottima prova di sé anche negli ultimi tempi soprattutto con le manifestazioni No TAV a Torino, che ne hanno riconfermato la vitalità e l’estensione; e si prepara a mettere in campo molte decine di migliaia di persone il 23 marzo a Roma, in quella che si prospetta come una grandissima manifestazione nazionale. In quanto COBAS noi siamo pienamente interni e co-protagonisti di quei movimenti e di quella coalizione: ma ciò che auspichiamo non è solo la presenza significativa il 23 marzo almeno delle principali forze che hanno promosso il 10 novembre, ma pure un fecondo tentativo di dialogo che ci porti magari ad ipotizzare un Meeting a maggio-giugno che allarghi i confini di quello di cui abbiamo discusso nell’Assemblea ultima dell’alleanza “indivisibile”, trasformandolo in un Meeting della Conflittualità contro questo governo e le sue politiche reazionarie, che ci consenta di riproporre e migliorare le metodiche dei Forum mondiali, permettendo la miglior conoscenza reciproca, un dialogo profondo e una programmazione congiunta delle diverse iniziative che ne potenzi l’efficacia e la sinergia collettive. In tale direzione, sarebbe ottimale trovare un’intesa, pur rispettandone il desiderio di forte autonomia, anche con il movimento delle donne, che favorisse un miglior dialogo trasversale e un reciproco riconoscimento che vada oltre la semplice e epidermica solidarietà generale. Anche la partecipazione di ampi settori degli altri movimenti e coalizioni alla giornata di lotta dell’8 marzo prossimo – giornata nella quale i COBAS, raccogliendo l’appello di NUDM, convocheranno lo sciopero generale – sarebbe il miglior viatico per tentare un incontro approfondito nel Meeting della Conflittualità già citato, che potrebbe essere un tassello rilevante di una nuova metodologia per consentire alle coalizione, alle alleanze e ai movimenti di intersecarsi e stabilizzare efficacemente le reciproche relazioni nel conflitto contro il liberismo, il razzismo, l’autoritarismo poliziesco e fascistoide che caratterizzano, anche più dei precedenti, l’attuale governo.

La versione completa di questo articolo è sul blog dell’autore

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