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Golpe in Venezuela, scontri, morti e la benedizione di Trump e Ue

Venezuela, il capo dell’opposizione  Juan Guaidò si autoproclama presidente. Podemos, Prc, Sinistra Anticapitalista: no al golpe, no alle ingerenze imperialiste

Sono 9 le persone morte in Venezuela nella repressione delle proteste antigovernative svoltesi in vari punti del paese, secondo un primo bilancio su Twitter dalla corrispondente locale di El Pais. Secondo informazioni raccolte alle 17.30 (le 22.30 in Italia), i 9 sono morti negli stati di Barinas, Bolvar, Amazonas, Tachira e a Caracas, dopo che il presidente dell’Assemblea Nazionale, Juan Guaidò, ha assunto le funzioni dell’Esecutivo durante un meeting dell’opposizione. Il giorno prima erano rimaste uccise 5 persone.

In Plaza Venezuela, il cuore di Caracas, decine di migliaia di persone erano ad ascoltare il capo dell’opposizione e leader dell’Assemblea nazionale, Juan Guaidò, che giurava sulla costituzione, autoproclamandosi presidente ad interim fino a che non ci saranno nuove elezioni democratiche. Passano pochissimi minuti e dalla Casa Bianca arriva l’atteso riconoscimento ufficiale nei confronti di Guaidò: «Nicolas Maduro e il suo regime sono illegittimi – afferma Donald Trump – e il popolo del Venezuela ha fatto sentire con coraggio la sua voce chiedendo libertà e rispetto della legge». La risposta non si è fatta attendere, con Maduro che parlando dal balcone a una folla di sostenitori annuncia la rottura delle relazioni diplomatiche con gli Usa, dando ai diplomatici americani 72 ore di tempo per lasciare il Paese. «Ci difenderemo a ogni costo», promette, mentre da Washington il tycoon ricorda come «tutte le opzioni sono sul tavolo». Una mossa annunciata quella di Trump: da sempre il presidente americano considera Maduro un usurpatore e un dittatore, mentre il presidente dell’Assemblea nazionale autoproclamatosi leader rappresenta per Washington l’unica figura legittimamente eletta dopo le contestate elezioni politiche nel Paese. Per questo l’amministrazione Usa ha lanciato un appello a tutte le capitali occidentali affinché seguano il suo esempio. Il primo a farlo è stato il Canada di Justin Trudeau, seguito da larga parte dei latinoamericani, anche se in soccorso di Maduro arrivano il Messico e la Bolivia. Mrs. Pesc, invece, si allinea con Trump: «L’Europa sostiene pienamente l’Assemblea nazionale in quanto democraticamente eletta, i cui poteri vanno ripristinati e rispettati. È necessario assicurare e rispettare i diritti civili, la libertà e la sicurezza di tutti i membri dell’Assemblea, incluso il suo presidente Juan Guaidò. La violenza e l’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza è completamente inaccettabile, e certamente non risolveranno la crisi. Il popolo venezuelano ha il diritto di manifestare pacificamente, scegliere liberamente i propri leader e determinare il proprio futuro», così l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Federica Mogherini in un comunicato. «In Venezuela sta andando in scena un tentativo di colpo di Stato organizzato dagli Usa, proprio come nelle peggiori tradizioni. L’Unione Europea non può appoggiare il golpismo di Trump», ribatte l’eurodeputata del Gue, Eleonora Forenza.

Per Maduro, 56 anni, al potere dal 2013 quando successe a Hugo Chavez, è stato decisamente il giorno più lungo, dopo che lo scorso 11 gennaio si è insediato per il suo secondo mandato. E la tensione a Caracas e in tutto il Paese è alle stelle. Una folla enorme si è riversata in strada e solo nella capitale, a seguito degli scontri con la polizia e con la guardia nazionale, si registrano almeno cinque morti (qualcuno parla di otto) e diversi feriti. «Resteremo qui finché il Venezuela non sarà liberato», ha promesso Guaidò dopo il giuramento, chiedendo all’esercito di mollare Maduro e di ristabilire i dettami della Costituzione. «Gli occhi del mondo sono tutti puntati su di noi», ha tirato però dritto Guaidò.

Già nei primi giorni dell’anno, alla vigilia del reinsediamento di Maduro, l’opposizione di estrema sinistra, gruppi come Marea socialista, denunciavano «il confronto tra due poteri dello Stato per il controllo del paese. Entrambi coinvolti in gravi violazioni della Costituzione lottano per imporre l’uno sull’altro e sul popolo». Da un lato, la maggioranza dell’Assemblea nazionale, fedele agli interessi delle grandi imprese e docile al dominio degli Stati Uniti. Ha lo scopo di rovesciare la presidenza di Nicolas Maduro con un colpo di stato parlamentare e una possibile manovra interventista dall’estero, articolata con il cosiddetto “Gruppo di Lima” e il governo Trump.

Dall’altro lato, l’esecutivo con altri rami dominati da lui (ANC, TSJ e istituzioni Poder Ciudadano), il cui Presidente Nicolas Maduro, dopo elezioni altamente discutibili, è pronto per iniziare un nuovo periodo di sei anni. «Il governo militare Maduro-PSUV agisce in modo autoritario e repressivo, in violazione della Costituzione», denunciano questi settori dell’estrema sinistra. E’ il governo di una casta burocratica corrotta che sta distruggendo la rivoluzione bolivariana con l’implementazione di un modello economico rentier predatorio contro la sovranità nazionale e scaricando il peso della crisi sulla classe operaia e i settori popolari. Maduro ha imposto al popolo venezuelano gran parte del piano neoliberista che la borghesia ha sempre voluto applicare, polverizzando salari, diritti e benefici della contrattazione collettiva, subordinando i sindacati e reprimendo le lotte, facendo grandi affari privati con il capitale straniero. Ma la borghesia tradizionale vuole recuperare il controllo diretto di ciò che la rivoluzione bolivariana aveva tentato di strappare. Non è una posizione facile quella di Marea Socialista che respinge fermamente e si opporrà attivamente all’operazione interventista ma rifiuta i termini del governo Maduro. E, nella crisi senza fine, le masse popolari sono schiacciate tra la burocrazia e la borghesia tradizionale, tra autoritarismo e interventismo.

Il portavoce del presidente messicano Lopez Obrador ha detto oggi che «per ora non c’è nessun cambiamento di posizione riguardo al Venezuela: Messico continua a riconoscere Nicolas Maduro come presidente del paese». Il Brasile, al contrario, ha riconosciuto per primo la legittimità di Juan Guaidò ma, ha detto il vicepresidente brasiliano, Hamilton Mourao «il Brasile non parteciperà in nessun intervento, non fa parte della nostra politica esterna l’intervenire nelle questioni interne di altri paesi».

Il ministro della Difesa venezuelano, generale Vladimir Padrino Lopez, ha dichiarato in un tweet che le Forze Armate del suo paese «non accettano un presidente imposto da oscuri interessi o che si è autoproclamato a margine della legge», confermando il suo appoggio a Nicolas Maduro. «La disperazione e l’intolleranza stanno aggredendo la pace della Nazione», ha sottolineato Padrino Lopez, secondo il quale «i soldati della Patria» non accettano la presidenza di Guaidò perché le Forze Armate «difendono la nostra Costituzione e sono garanti della sovranità nazionale».

«Trump e i suoi alleati non sono interessati alla democrazia e ai diritti umani in Venezuela, sono interessati solo al loro petrolio. La Spagna e l’Europa devono sostenere la legalità internazionale, il dialogo e la mediazione pacifica, non un colpo di Stato»: così il leader di Podemos, lo spagnolo Pablo Iglesias, via Twitter. Dall’Italia, Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione rilancia sui social le immagini delle enormi manifestazioni «a sostegno del legittimo Presidente Maduro e contro il golpe made in Usa. Una cosa è certa: gli USA non hanno alcun diritto di destabilizzare sul piano economico e politico un paese sovrano e di rovesciare un governo non gradito». E anche Sinistra Anticapitalista: «Il colpo di Stato in Venezuela non è neanche terminato che già il governo Usa, importanti rappresentanti dell’Ue, e quasi tutti gli Stati latinoamericani si precipitano a riconoscere il “nuovo governo”, in nome della “democrazia”. Il rischio di una sanguinosa e aperta guerra civile è dietro l’angolo. Per parte nostra, abbiamo chiara una cosa: no al golpe, no alle ingerenze imperialiste!».

 

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